giovedì 20 settembre 2012

Questo Paese non legge la realtà. Mario Sechi

              
  

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Il Tempo- C’è un Paese disteso sul Mediterraneo che ha qualche problema a capire la realtà. Si chiama Italia, è popolato da «brava gente», in passato ha prodotto il meglio nell’arte e nella scienza e ora si dibatte nel dilemma su come confrontarsi con il presente. Vive, insomma, nel paradosso. Perché è un luogo ricco che si sta impoverendo, pieno di uomini e donne intelligenti che si stanno disperdendo. Fu meta del Grand Tour, cantata dai poeti, colorata dai pittori, immortalata dai narratori. È un pezzo di memoria dell’Occidente, ma dimentica i suoi tesori.
Ora questo Paese, l’Italia, è guidato da una classe dirigente poco colta, che viaggia ma non conosce, legge ma non apprende, vive ma non fa esperienza. È un caso unico. I suoi partiti politici sono un avanzo del Novecento e divorano tutto quello che incontrano, come una piaga biblica, le locuste. Hanno incassato in vent’anni oltre due miliardi di soldi pubblici, ne hanno speso un terzo, il resto è servito a finanziare «la politica», parola nobile dietro cui si sono nascosti miseri traffici privati.
Ogni vent’anni l’Italia viene scossa da una rivoluzione che poi, gattopardescamente, cambia tutto per non cambiare nulla. I vent’anni sono arrivati, ancora. Puntuali. E l’Italia strepita, mormora, promette la svolta. Ma i partiti non sentono questo rumore e gli italiani sono inaffidabili anche nell’ira. E così, soavemente, i politici non accettano controlli esterni sui loro conti, sui maneggi e sui magheggi.
Periodicamente, l’Italia inventa un eroe, un salvatore della Patria, che poi, vent’anni dopo, trasforma nel Nemico Pubblico. È una vecchia storia. E ci siamo di nuovo. Ora questo popolo straordinario promette di non affidarsi solo al genio e all’improvvisazione, ma anche al metodo, all’ordine e al rispetto della cosa pubblica, cioè del prossimo. Ma è solo una promessa.
Hanno chiamato un Professore per spegnere un incendio enorme che minacciava di bruciare i loro averi, ma ora sono pronti a dileggiarlo e a chiederne l’esecuzione sommaria. Un capro espiatorio, l’ennesimo, per stare in pace con la coscienza. Hanno visto una grande azienda, la Fiat, sull’orlo del fallimento e poi un italiano educato in Nord America risollevarla fino ad acquistare una leggenda dell’automobile mondiale, la Chrysler. E hanno applaudito. Solo per un minuto. Poi si sono accorti che questo voleva dire fare della Fiat un’azienda «normale», che guarda i conti, che chiede il rispetto dei contratti, che non fa da ammortizzatore sociale dello Stato. E allora tutti hanno cominciato a fischiare quell’uomo nato a Chieti e cresciuto a Toronto. L’Italia non accetta la realtà, ma ne sogna un’altra e guarda chi la fa.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

bellissimo l'articolo, ha centrato in pieno la situazione e la mentalità del nostro popolo e purtroppo non riusciamo, o non vogliamo trovare soluzioni che ci aiutino a risolvere, almeno, qualche problema ci comportiamo come gli struzzi, nascondiamo la testa, sperando che le cose migliorino da sole. Che il Signore ci aiuti,prima sia troppo tardi.m.t.

Anonimo ha detto...

caro seci o sechi,elogi il popolo Italiano solo perchè speri che qualcuno compra la 20 esima copia del giornale che dirigi, si perchè dirigi un giornale che vende 19 copie al giorno, A quanto ammonta il contributo statale al tuo giornale? e, non dirmi che li prendono anche gli altri, non per questo se uno ruba devono rubare anche gli altri.Parli di marchionne come il salvatore della fiat, ma tu lo sai che dal 1973 ad oggi la fiat ha preso dallo stato cioè da noi contribuenti circa settemila milioni di euro. In america i debiti della Chrysler. li hanno pagati i contribuenti americani. scrivi la verità anche se in pochi ti leggono.Spero che mi leggerai

Anonimo ha detto...

pdl: colpito, affondato
glu glu glu...