venerdì 11 maggio 2007

Giustizia uguale vergogna. il Foglio

Rignano, 5 esseri umani travolti dalle favole. Contrada, processo incubo.

Cinque persone sono state sbattute per settimane in galera per pedofilia ed altri reati collegati, in un delirio di morbosità giudiziario-mediatica di cui ci si vergognerà a lungo, salvo l’eccezione di coraggiosi cronisti (Bonini di Repubblica, il nostro Cerasa e qualche altro) che hanno fiutato l’orrore e lo hanno raccontato. La cosa, ha stabilito un giudice, non si regge in piedi, e i cinque sono stati scarcerati. L’orrore di Rignano, stazione dell’apocalisse antropologica, cioè di una tendenza alla caccia alle streghe che s’insinua nel cuore delle famiglie, che tocca i bambini e fa di loro gli impossibili testimoni d’accusa di vicende che dovrebbero essere indagate con scrupolo e valutate con cultura e rigore, e invece spesso non lo sono. Persone distrutte, letteralmente distrutte, nell’identità e nell’onore personale, e bisogna ringraziare il cielo che in questo caso non ci siano stati suicidi. Un caso che si aggiunge ad altri casi celebri di impazzimento, prima delle coscienze di chi guarda e valuta, poi del meccanismo giudiziario, compresi gli esperti psicologi e assistenti sociali da talk show; e a Rignano, in più, si è scatenato il finimondo comunitario, la messa in discussione senza prove della responsabilità presunta del vicino, in una costruzione fatta di confusione sociale e di crisi patente dei ruoli familiari e di ogni principio educativo stabile e serio. Si può finire in galera per le fantasmagorie crudeli da telefilm di serie B che si insediano nella mente collettiva di una comunità e poi strisciano come serpenti velenosi fino a trovare personale impreparato a indagare e a giudicare, visto che le ordinanze di custodia cautelare in carcere le firma un giudice dell’indagine preliminare, su proposta del pm. Se questo fosse un governo di sinistra e liberale, come pretende di essere, darebbe subito al Guardasigilli la delega per misure draconiane di riequilibrio dei diritti della difesa, e se fosse un paese serio, intellettuali e giornalisti alzerebbero la testa e rovescerebbero il loro indifferente cinismo in tema di diritti umani. Ma non succederà, e saremo ricoperti di vergogna per questo.

L’altra vergogna è duplice, e riguarda un servitore dello stato, il dottor Bruno Contrada, che ieri la Cassazione ha consegnato al carcere di Forte Boccea per dieci anni di reclusione, convalidando la condanna in appello per concorso esterno in mafia emessa nel febbraio del 2006. In appello il pm aveva detto che Contrada era colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Affermazione paradossale e a nostro rispettoso giudizio risibile, visto che quel processo era il rifacimento di un altro processo in cui Contrada era stato assolto. Come il legislatore aveva giustamente stabilito, non ha senso condannare al di là di ogni ragionevole dubbio una persona che è stata assolta per le stesse accuse, perché il dubbio resterà sempre, visto che una Corte lo ha fissato in una sentenza. Essere processati due volte per lo stesso reato è un principio volgarmente contrario all’idea accusatoria e liberale di giustizia degli anglosassoni, e pericolosamente vicino alla deforme caricatura di giustizia della nostra cultura inquisitoria, lontana da ogni garantismo civile. La Corte costituzionale, con una decisione di burocrazia giuridica ispirata alla cosiddetta parità delle parti nel processo, pm e difesa che tutti e due dovrebbero avere sempre il potere di ricorso, anche in caso di assoluzione, aveva abrogato quella legge giusta, con ciò abrogando un principio di civiltà che viene dal meglio del diritto romano: nel dubbio, ci si pronuncia per la libertà del reo. Ed eccoci di nuovo davanti a una patente malagiustizia, in una catena di pronunciamenti che contraddice il senso comune e il diritto naturale, oltre che positivo, a non essere perseguiti con accanimento quando si è oggetto di indagine e di imputazione.
Ma nel caso Contrada ci sono altri elementi decisivi che ci fanno sentire disarmati di fronte all’inerzia da mozzorecchi con cui continuiamo a gestire i diritti civili dei cittadini, quelli veri, quelli al giusto processo, il fair trial. Il capo di reato di concorso esterno in associazione mafiosa è un obbrobrio emergenziale, costruito con l’artificiale sovrapposizione di due articoli del codice penale, e fatto apposta per colpire in modo indistinto, a seconda delle convenienze di potere che allignano nelle istituzioni deputate a fare giustizia e di altre convenienze. Se sei un grande poliziotto, come Contrada è stato per testimonianza congiunta in tribunale di altri capi della polizia, di titolari dei servizi di intelligence, di ministri dell’Interno, ma ti fai nemica la persona sbagliata, sarà un gioco da ragazzi incastrarti per la tua “vicinanza”, appunto il concorso esterno, a criminali dai quali, facendo il tuo mestiere nella zona grigia della confidenza e dei confidenti, hai cercato di estrarre informazioni in uno scambio diretto a favorire l’opera di repressione. Se sei un politico o un uomo d’affari siciliano (i casi celebri sono quelli di Calogero Mannino e Marcello Dell’Utri) sarà facile incastrarti nelle tue amicizie e frequentazioni, e sbatterti in galera senza mai avere dimostrato la tua mafiosità. Basta un impalpabile concorso esterno.

L' "altra" inchiesta. Lino Jannuzzi

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=176993

Perché i giudici hanno condannato Contrada credendo ai "pentiti" e non alle innumerevoli testimonianze favorevoli? Chi aveva interesse a "togliere di mezzo" un fedele servitore dello Stato?
Un articolo che deve essere letto dai "giustizialisti" a oltranza.

giovedì 10 maggio 2007

"Sulle pensioni il Governo truffa i giovani". Emanuela Zoncu

E’ un fiume in piena l’ex viceministro del governo Berlusconi, Mario Baldassarri. Non gli va giù di essere preso in giro con numeri che non trovano riscontro nella realtà e di litigare per un tesoretto che non può essere distribuito perché occorrerebbe prima metterlo nel bilancio di assestamento di giugno. E lo scontro relativo alla riforma previdenziale? Quello per il senatore di An è un film già visto, dove le pensioni sono solo i titoli di coda di una pellicola falsata.

Padoa Schioppa ha detto: c’è tempo fino a giugno per raggiungere accordo, altrimenti rimane la legislazione vigente. La sinistra radicale insorge. Cosa sta succedendo?
Quello che sapevamo fin dalla campagna elettorale

Cioè?
Questa è una squadra che si è messa insieme per battere il centrodestra e mandare a casa Berlusconi ma che sui temi di governo non ha elementi di consenso. Le pensioni sono solo un caso, ce ne sono altri venti: la politica estera o le tasse per esempio.

Perché non si raggiunge un accordo?
C’è la cosiddetta ala moderata riformista della sinistra che si rende conto che occorre completare la riforma Dini e quella Maroni. Mentre l’ala radicale pensa che bisogna aumentare la spesa pensionistica e poi aumentare le tasse con l’illusione di far pagare le imposte ai ricchi. In realtà le tasse le pagano i poveri. Ma questa è la storia della sinistra in Europa e nel mondo.
Padoa Schioppa ha messo sul piatto 2,5 miliardi, le risorse che rimarrebbero dagli 8-10 miliardi in più rispetto alle stime di settembre. I conti quindi non erano allo sfascio?Certo che no. Prodi ha detto che il deficit 2007 sarà al 2,3%. Ma era al 2,3% anche un anno fa, nel 2006. Invece loro sa cosa hanno fatto?

No, cosa?
Lo hanno nascosto facendo un altro falso in bilancio. Nel 2006 hanno messo a deficit due tipi di pregressi: la sentenza Iva sulle automobili che risale al ’76 e lo spostamento del debito della Tav allo Stato. E hanno mandato all’Unione Europea la comunicazione che c’era un deficit del 4.4%. Ma semplicemente perché hanno preso un pezzo di stato patrimoniale (debito) e lo hanno messo nel conto economico. Se lo fa l’amministratore di una società va in galera.

Torniamo alle pensioni, cosa comporta l’abbattimento dello scalone come vuole la sinistra radicale?
Comporta nove miliardi di euro di spesa in più, esattamente quello che era la correzione sulla spesa pensionistica determinata dallo scalone. Lo scalone è nato perché è necessario aumentare l’età pensionabile. Se questa cosa fosse stata fatta nel ’95 con la riforma Dini, avremmo avuto 13 anni di tempo per arrivarci in modo graduale. Se noi, governo Berlusconi , l’avessimo adottata subito e fosse cominciata già nel 2005 saremmo arrivati nel 2008 in maniera più graduale

Sta facendo mea culpa, professore?
Sto facendo un appunto al nostro governo, questo sì. Il nostro governo mise un paletto: non volete alzare l’età pensionabile subito? Sappiate però che dal 2008 l’età passerà da 57 a 60 anni. Dico che potevamo arrivare a 60 anni o 62 anni cominciando nel 95: si diceva che si aumentava un anno ogni due e in 13 anni, oggi saremo già a 63. Ma il dato di partenza è un altro.

Quale?
Quando è stato fatto il sistema di ripartizione nel ’69, la riforma Brodolini, noi avevamo 4 lavoratori dipendenti che allora pagavano il 25% di contributi e quindi in quel momento potevamo garantire il 100% dell’ultimo stipendio all’unico pensionato che c’era: avevamo 4 lavoratori che potevano mantenere un pensionato. Oggi il rapporto è quasi uno a uno. Quindi dovremo dire al lavoratore più giovane di pagare il 50% di contributi per pagare al pensionato il 50% della pensione. Non solo: prima con 35 anni di contributi uno prendeva dieci anni di pensione perché campava fino a 67 anni, oggi con 35 anni di contributi prende venti anni di pensione perché l’età media è aumentata ed è arrivata a 77 anni.

Quindi i conti non tornano
Infatti. Perché se lei paga gli stessi contributi ma riscuote la pensione per un periodo che è doppio è evidente che con 35 anni di contributi lei non può andare in pensione a 57 anni. La cosa morbida è quella di dire: lavora un po’ di più per avere una pensione consistente.

L’alternativa?
L’alternativa è quella di correggere i coefficienti. Che vuol dire: va bene, vai in pensione dopo 35 anni. Già, però prendi una pensione che è la metà. Se uno campa dieci anni in più, qualcuno dovrà pur pagare quei contributi: o in parte li paga lavorando di più oppure li paga prendendo una pensione più bassa

Ma la sinistra radicale non vuole mettere mano ai coefficienti di trasformazione
Esatto, semplicemente perché ideologicamente vuole più spesa pubblica e più tasse. Tutto qui.

E’ vero che i giovani stanno lavorando per pagare le pensioni di oggi?
Certo, perché non c’è capitalizzazione. I giovani assunti dopo il 1995 già da 13 anni sono con il sistema contributivo, quindi andranno in pensione con un assegno che sarà pari al 35% dello stipendio. Mentre noi continuiamo a mandare a casa quelli più anziani, che prendono l’80% della retribuzione (chi aveva più di 18 anni di anzianità di lavoro nel ’95, fino al 2012 conta sul vecchio sistema retributivo). Insomma: abbiamo persone che vanno in pensione con l’80% dell’ultimo stipendio e stiamo dicendo ai giovani che quando ci andranno loro avranno il 35% e i loro contributi di oggi servono per pagare le pensioni di oggi all’80%. Dopodiché gli abbiamo spiegato: però voi vi potete fare il fondo pensione e questo governo come sappiamo prende il Tfr e lo porta all’Inps. Prima di tutto è un furto, poi è una contraddizione.

Perché?
Perché dicono che vogliono agevolare i fondi pensione e poi che fanno? Si prendono i soldi e li portano all’Inps. C’è un conflitto d’interesse. Ma loro sono gli avversari dei conflitti di interessi degli altri.

I razzisti rovesciati. Davide Giacalone

Un lettore di Repubblica scrive al quotidiano dicendo che pur essendo lui progressista e di sinistra (ricordate la puttana cantata la Lucio Dalla?), pur essendosi battuto contro lo spostamento dei campi nomadi, pur avendo declamato le parole dell'accoglienza e dell'assimilazione, ora ne ha le tasche piene di zingari che rubano, immigrati che si comportano con violenza, violazioni continue ai danni dei cittadini comuni, e si preoccupa, il poveretto, d'essere diventato razzista. Si rassicuri: lui, e quelli come lui, razzisti lo sono sempre stati, non lo sono diventati.

Io no, non sono razzista, non concepisco alcuna forma di discriminazione, mi ripugna ogni sottolineatura delle differenze, anche per credi religiosi. Non penso affatto che noi si sia tutti uguali, ma lo siamo (o dovremmo, per la precisione), tutti, davanti alla legge, che è poi un modo per dire che lo siamo nel convivere civilmente. Quindi, se si dice “zingaro” a me non viene in mente “ladro”, e per accogliere gli zingari non penso affatto che si debbano tollerare i ladri. Gli zingari sono nomadi? Buon pro faccia loro. Ma se si fermano nel mio Paese ne devono accettare le regole: i bambini vanno a scuola, i ladri in galera. Non sono stato io a suggerire loro il nomadismo, per cui se si fermano da noi non provvedo a mie spese a farli alloggiare (ricordate gli zingari alloggiati negli alberghi “con il televisore ed il frigobar”, cantati da Gaber?), ma se lo desiderano possono inserirsi nel nostro tessuto civile, nel nostro mondo del lavoro, accettandone tutte le condizioni. E se non lo desiderano? Buon viaggio.
Io non credo che i senegalesi siano spacciatori, i rumeni papponi e mignotte e così via. Credo, però, che se continueremo a tollerare l'ingresso di un'umanità irregolare e disperata, che appena mette piede in Italia ha il primo dovere di saldare il debito con i criminali che hanno organizzato la loro transumanza, è evidente che continueremo a metterci in casa una vasta manodopera criminale. Quindi io vorrei fare entrare tutti quelli che mi servono e che posso ospitare, ma il loro status non è ancora quello di miei concittadini e, pertanto, alla violazione delle regole s'accompagna l'immediata espulsione.
Non credo proprio che l'essere extracomunitario significhi una qualche maggiore vicinanza alla devianza ed al crimine, ma so che, statisticamente, fra questi esseri umani si concentra una maggiore percentuale di devianti e criminali. Questo significa che difetta la nostra capacità di far rispettare le leggi e punire i colpevoli, significa che accumuliamo sacche di extraterritorialità che poi esplodono zozzando la realtà circostante. E se dico che a tutto questo si deve porre fine non mi sento razzista manco per niente, perché non penso che quella criminale sia una caratteristica personale, o razziale, delle persone che ospitiamo, ma una degenerazione del modo in cui li facciamo entrare.
Certo, capisco il disagio di chi ha sfilato dietro ai tamburi colorati, estasiato per la diversità culturale, ha abbracciato le giovani venute dall'est, ammirato per la libertà dei costumi, ha mostrato rispetto per le fedi, nascondendosi davanti a costumi barbari come l'infibulazione, s'è commosso per gli zingarelli, dicendo insensatezze sul popolo che viaggia con il vento, e ora si ritrova circondato da bande, puttane, sfregiatori di bambine e pure senza il portafoglio. E ora si domanda: sarò diventato razzista? No, sei solo uno che s'è raccontato un sacco di balle, e ora i conti non gli tornano più.

Intervista a Benedetto Della Vedova. Dimitri Buffa

“Il conflitto di interessi? Non può essere usato come arma di ricatto politico su Berlusconi a intermittenza. A me sembra un problema interno alla coalizione dell’attuale maggioranza perché qualcuno deve dimostrare di avere fatto qualcosa di anti berlusconiano, ma i nodi della politica e dell’economia non si possono risolvere così”. Benedetto Della Vedova dei Riformatori liberali incarna da sempre l’anima più libertaria, insieme a Marco Taradash, della casa delle libertà. In questa intervista Della Vedova dice la sua a proposito delle privatizzazioni all’italiana, del caso Telecom, delle banche amiche e ovviamente della new entry nel dibattito, cioè la legge sul conflitto di interessi che, unitamente a quella di riforma delle televisioni meglio nota come Gentiloni, sembra destinata a caratterizzare la rissa politica tra i due schieramenti nei mesi a venire.
Onorevole Della Vedova lei cosa legge tra le righe in questa nuova guerra scoppiata tra la sinistra e Berlusconi sulla legge per regolare il conflitto di interessi?
“La sinistra è sempre alla presa con i propri riti e il suo conflitto di interessi consiste nel fatto che le leggi che fa non servono alla collettività ma solo agli apparati politici. Con Berlusconi e la legge contra personam che si sta mettendo in cantiere, unitamente alla riforma Gentiloni sulla tv, non si rende un servigio al paese ma si cerca di dimostrare di avere fatto qualcosa di anti berlusconiano che nell’immaginario dell’Unione oggi, e del futuro partito democratico domani, sta prendendo il posto del “fare qualcosa di sinistra.”
In che senso?
“Che si insista oggi sul conflitto di interessi perché c’è Berlusconi dopo che negli ultimi tredici anni ha fatto per due volte il presidente del consiglio governando per oltre sei anni, di cui cinque tutti di seguito, assomiglia più a una giustificazione a posteriori del perchè la sinistra con lui ha sempre perso le grandi battaglie politiche che a una vera necessità del paese. Sarebbe più logico creare nuove leggi dopo che questa fase sarà passata, dopo tutto Berlusconi non è eterno come nessuno di noi e si potrebbe anche attendere il suo ritiro dalla politica attiva invece che costringerlo a questo con una legge che spaccherà in due il Paese”.
Ma è più in conflitto un imprenditore che con i propri soldi voglia fare politica o un politico che voglia fare impresa con i soldi della collettività?
“Questa è la classica domanda da cento milioni di euro. L’Italia intera si dibatte in mezzo a questo dilemma.”
L’Italia potrà mai diventare un paese liberale?
“Nel dibattito politico non ci sono novità e io non so se questo è un bene o un male. Tutto procede sulla falsa riga della vicenda Telecom, che è il paradigma del sistema economico italiano.”
Cioè?
“Da una parte uno stato che ha formalmente, ma solo formalmente, rinunciato alla gestione diretta delle aziende,e in particolare di questa azienda, ma che in fin dei conti non accetta fin in fondo questa scelta, e questo vale soprattutto per il centro sinistra che però non ha la forza di teorizzare e fare un intervento diretto, dall’altra c’è un sistema industriale che dal punto di vista dei grandi operatori perde pezzi invece che acquisirne e un sistema finanziario che è tutto imperniato sulle banche. Poi manca il coraggio di assumersi le responsabilità: ad esempio nessuno nel governo Prodi dice chiaramente “Telecom ce la ricompriamo noi”. Si cercano soluzioni di compromesso, si sondano le intenzioni della contro parte politica, in questo caso Berlusconi, e si trova sempre un alibi per non volere privatizzare fino in fondo, ora adducendo l’italianità come valore, ora parlando di reti e di strategie, ma di fatto con l’obiettivo di portare a casa un risultato statalista senza darlo a vedere.”
Ma sono le banche a dettare l’agenda alla politica o viceversa?
“Le banche in Italia sono le uniche istituzioni finanziarie solide e quindi le uniche a possedere dei soldi. Su loro pesa il peccato originale delle fondazioni e della legge Amato che di fatto le ha messe in mano alla politica che allo stesso tempo tiene in pugno le sorti delle imprese. Questo corto circuito determina tutte le scelte industriali e di fatto limita il libero mercato. E le fondazioni dalle banche non sono mai uscite, perché, anche se non sono più gli azionisti di maggioranza, di fatto sono gli enti che determinano la politica economica delle banche e condizionano i comportamenti dei grandi operatori anche nel settore delle privatizzazioni come stiamo vedendo con Telecom e Alitalia. L’esempio calzante per fare capire come funzionano le cose è la telefonata di Padoa Schioppa al presidente delle Generali: un ministro del Tesoro che chiama il capo delle assicurazioni più grandi d’Italia dicendogli che gradirebbe un intervento è la nostra maniera di intendere il libero mercato. E queste cose si pagano, perché poi un giorno le Assicurazioni Generali chiederanno al governo un favore che non potrà essere rifiutato. E questo favore sarà a danno della concorrenza.”
Perché in Italia non esistono fondi che operano come quelli stranieri?“E’ una conseguenza di quanto detto prima, in Italia non c’è posto perchè tutto è in mano alle banche. E altri operatori non si azzardano a intervenire perché la politica e i monopoli, o oligopoli, di fatto che si sono creati non lo permetterebbero. Così il circolo vizioso si chiude anche con le mancate privatizzazioni di quei beni dello stato che permetterebbero di ridurre il debito e che invece oggi come oggi di fatto lo accrescono per quanto costano gli interessi bancari che ci vogliono per tenerli in vita. E’ il caso di Alitalia, ma anche di tantissime altre realtà e i lamenti sull’italianità perduta sono tutto fumo negli occhi.”

Il Single Day. Filippo Facci

In un anno ci sono solo 365 day, altrimenti sarebbe davvero il caso di organizzarne uno per i single. In Italia, secondo l'Istat, sono quasi dieci milioni, e molti lo sono per scelta. Di essi, prima della politica, si è accorto come sempre il mercato: sono quelli che spendono di più e comprano e viaggiano e leggono e consumano di più. Negli Usa, nel 1940, i singles erano l'8 per cento: oggi sono il 25. Ci sono film e telefilm solo per loro, libri, periodici, siti internet, ristoranti, addirittura associazioni che li tutelano fiscalmente e socialmente. Un tempo erano snobbati, oggi i candidati alla Casa Bianca se li contendono.
In Italia invece non se li fila nessuno, ed è tanto se trovi la monoporzione al supermercato o se ti rimediano un angolo al ristorante. Quelli italiani sono i più tartassati d'Europa: un lavoratore dipendente con moglie e due figli a carico, e un reddito di 20mila euro annui, paga 1.342 euro di tasse; un single con lo stesso reddito deve sborsarne 3.629, e questo nonostante abbia spese più alte perché non può dividerle. Nel resto d'Europa le differenze fiscali tra nuclei mono e plurifamiliari sono quasi a zero. Allora organizziamo? La questione dei single gay la vedremo poi.

martedì 8 maggio 2007

Gentiloni confessa: lo faccio per i voti. l'Occidentale, orientamento quotidiano

Bisognerebbe consigliare al ministro Gentiloni di rileggersi un paio di volte le interviste che concede prima di dare il via libera. Quella pubblicata dal Corriere di lunedì 7 maggio è chiaramente il frutto di una svista: forse non aveva tempo, forse il suo portavoce era distratto, ma di certo se ci avesse posto un poco più di attenzione ne avrebbe guadagnato in credibilità.
Gentiloni infatti se la piglia subito con Berlusconi accusandolo di agitare lo spettro dell'esproprio di Mediaset per via legislativa solo a scopi elettoralistici. "Qualcuno deve avergli spiegato - suggerisce, capzioso, Gentiloni - che parlando solo dei problemi delle città il centro-destra perderebbe". Ecco dunque che Berlusconi mette in scena la parte della vittima solo per "politicizzare le amministrative".
A questo punto deve aver squillato il telefono o forse è entrata la segretaria perchè quando l'intervista riprende Gentiloni ha evidentemente perso il filo. Il giornalista infatti gli chiede: "Che succede se non si approva la legge?" e qui ci saremmo aspettati qualcosa di edificante del tipo: "La concorrenza ne soffrirebbe, il sistema televisivo sarebbe penalizzato, ci sarebbe meno pluralismo, ecc...". Insomma qualcosa da mettere in contrasto con il rozzo Berlusconi che la butta in politica e guarda solo al risultato elettorale. Invece, candidamente, lo sventurato Gentiloni risponde: "Se non approvassimo quella legge ci sarebbe uno tsunami elettorale", che tradotto vuol dire: il centro-sinistra verrebbe travolto alle prossime elezioni.

Il Corriere giustamente ci fa il titolo: "Spediti sulla mia legge o ci sarà uno tsunami elettorale". Il motivo della fretta è tutto lì. Il ddl Gentiloni è l'assicurazione sulla vita della maggioranza, ma che a dirlo fosse lo stesso Gentiloni non era scontato.
Ma sant'iddio, uno straccio di esperto di comunicazione il ministro della Comunicazione se lo potrebbe pure trovare.
Il filosofo Pierre Manent ci spiega perché domenica i francesi hanno scelto di contravvenire alla vulgata dei mass media e alle ingiunzioni dei partiti e hanno votato per “l’impresentabile”

Parigi. Esulta Pierre Manent, storico del liberalismo, della ragione della nazione. Anche lui era uno di quelli che si aspettavano un terremoto. E il terremoto c’è stato. Il 6 maggio segna in Francia un cambiamento politico profondo. Ecco perché: “Il sistema era paralizzato, da quando avevano preso piede le monarchie mitterrando-chiracchiane. E in particolare nell’ultimo periodo la democrazia era arrivata a una paralisi perché il voto popolare, con le stesse presidenziali, con Le Pen in ballottaggio nel 2002, con il referendum antieuropeo nel 2005, non aveva sortito alcun effetto”. Il sistema, dice Manent, era rimasto immutato, e questo alimentava la frustrazione popolare. “Il voto di domenica cambia tutto. Cambia innanzitutto il personale politico, con una nuova generazione di cinquantenni pragmatici, proiettati nell’azione e sui risultati. Ma soprattutto cambia il voto degli elettori, perché si oppone a tutto quello che gli avevano detto di fare”. Manent, che è un filosofo della politica educato al realismo da Raymond Aron, sa di cosa parla. Quello che più lo ha colpito di queste elezioni, “è la mobilitazione della classe dei mass media e della politica, per continuare a dire al popolo cosa deve fare. Ora però, per la prima volta nella storia della democrazia francese, il popolo ha votato secondo le sue convinzioni: ha scelto di eleggere presidente l’uomo che veniva rappresentato come il nemico pubblico numero uno, Sarkozy”. E’ questo secondo Manent il dato inedito delle presidenziali 2007. “Abbiamo assistito a una campagna mediatica incredibile, a una pioggia di appelli e petizioni contro Sarkozy, contro la minaccia di un nuovo fascismo. Abbiamo sentito annunciare rivolte, disordini, violenze. I francesi però non si sono lasciati intimidire. Hanno scelto contravvenendo alle ingiunzioni della classe politica. Stavolta dunque la ‘rivolta elettorale’ non sembra essere sterile e fine a se stessa, come nel 2002 e nel 2005, perché ottiene un risultato, legittima cioè con la volontà popolare la possibilità di un cambiamento politico maggiore”.
E’ la prima volta che succede, secondo Manent. Un caso inedito al quale si aggiunge l’altra novità della vittoria della destra senza complessi. “Per la prima volta un uomo di destra che si è sempre presentato come tale, elaborando un programma di destra, viene ad essere eletto senza doversi mascherare da uomo di sinistra”. Una prima assoluta, in un paese di antica tradizione rivoluzionaria come la Francia. “La destra in Francia – dice Manent – non è mai stata eletta in nome proprio, ma ha sempre avuto bisogno di porsi sotto la protezione di qualcun altro, il re, Napoleone, il secondo Impero, De Gaulle. Ora con Sarkozy, per la prima volta, si vede un politico che arriva al potere da destra e in nome della destra”. E’ per questo che è stato tanto demonizzato dalla sinistra? “Certo, perché era un uomo di destra e in Francia, prima di oggi, veniva considerato impossibile essere davvero di destra. Chirac, per esempio, l’aveva capito benissimo visto che ha finito la sua carriera politica come un radicale di sinistra, ostinandosi a spiegare ai suoi elettori che liberalismo e comunismo in fondo sono la stessa cosa, dopo aver diretto la politica francese delegittimando la destra. La novità di Sarkozy, in questo senso è notevole.
Che dire allora di quelli che lo giudicano un bonapartista fuori tempo massimo o un gollista in ritardo? “Non accettano l’idea che un uomo politico di destra possa essere eletto dal popolo, senza un colpo di stato, senza l’aiuto delle baionette. E non si rassegnano”.(il Foglio)

Antropologicamente superiori. Martin Venator dal blog dell'Anarca

Non serve scomodare Michele Serra, lo sappiamo che sono superiori, in Italia come in Francia, a sinistra, come à gauche. Ce lo ricordano ogni giorno i nostri sensi di colpa reazionari, i nostri complessi di inferiorità, quel frustrante bisogno di essere accettati che ci portiamo dietro da tempo immemorabile per farci perdonare la nostra intrusione nel mondo. A sinistra sono "antropologicamente superiori", punto è basta. Bisogna farsene una ragione. Non possiamo competere con loro. Non abbiamo la stoffa. Poi chiaro dipende dai casi, dalle latitudini, dalla pronuncia (se la evve è moscia la supeviovità sale). Dipende anche dalla fisiognomica: se uno si confronta con le facce di Prodi, Fassino e Russo Spena… pure pure se la gioca. Ma quando di fronte ha il sorriso di Ségolène Royal, allora non c’è partita. E si è visto. Che poi loro, gli "antropologicamente superiori", stiano prendendo schiaffi in tutta Europa questo è un altro paio di maniche. Può essere il segno del Kali Yuga, oppure della nuova offensiva delle oscure forze della reazione che dal Vaticano, alla Casa Bianca, all’Eliseo, muovono contro i legittimi diritti dei diseredati che gli abitini griffati di quella povera proletaria di Ségolène rappresentavano in pieno. Ma la sconfitta politica non mina certamente quella superiorità di animo e di cultura che promana da ogni pelo di barba di intellettuale sessantotardo, da ogni lacrima isterica della Melandri, da ogni ghigno feroce e stupido di quei figli di papà che rivestono di rivoluzione e molotov la loro frustrazione piccolo borghese. "Antropologicamente superiori" è un dettato costituzionale a cui ci si deve arrendere: basta provare ad ascoltare Ségolène senza ridere o rileggere il discorso di Veltroni al congresso del PD quando dice che quelli di sinistra sono quelli che si preoccupano delle vecchiette sole, lasciando intendere che quelli di destra le vecchiette le puntano con il Suv. E non c’è da sorprendersi se di fronte a questo straordinario editoriale di Maria Laura Rodotà, uno "antropologicamente inferiore" pensa come si possano scrivere tante cazzate in 24 righe…
E quando casualmente, per un bizzarro scherzo del destino, forse aiutata da quella particolare congiunzione astrale che si chiama “culo”, la Destra vince immeritatamente come in Francia, beh allora noi "antropologicamente inferiori" dovremmo perlomeno concedere l’onore delle armi agli sconfitti. E lo faremmo pure se la gauche di Segoléne non si fosse mostrata così meschina e repellente da fare schifo persino al nostro stomaco allenato ai Caruso nostrani. Perché quell’invito a scatenare la rivolta nel caso di vittoria di Sarkozy ha superato per scelleratezza anche le stupidaggini di Gino Strada.
Il problema è se il mondo si rovescia. Se gli "antropologicamente superiori" cominciano a pensare di non esserlo poi così tanto; se un incubo di destra come Sarko inizia a sembrare più superiore di loro. Se la sua vittoria è soprattutto una vittoria di un’idea chiara, precisa, convincente del mondo, delle sfide da raccogliere e del ruolo che il proprio paese deve avere. Se lo sguardo curioso e determinato di Sarkozy è superiore al gelido e finto sorriso della bella signorinella di Lorena.
Massimo Nava sul Corriere ha definito Sarko "un Blair di destra" dimenticando che Blair è stato una "Thatcher di sinistra" e con la differenza che il buon Tony in Europa è stato isolato proprio dalla sinistra europea sui grandi temi che creano oggi un’identità. Ma quel timore che qualcuno voglia esaltare il lato conservatore di Sarkozy e nascondere quello riformista che piace anche a sinistra, è un timore infondato. Perché la destra di governo in Europa ha sempre saputo accelerare i tempi e anticipare i processi. La stessa destra che in forme diverse continua a produrre modernizzazione e cambiamento da almeno 30 anni a questa parte, costringendo la sinistra a rincorrerla o al massimo ad adagiarsi sulle riforme che essa fa (come è stato in Gran Bretagna e Spagna). Margareth Thatcher, Kohl, Aznar, Berlusconi, grandi leader che hanno promosso e accelerato processi di modernizzazione e di cambiamento politico e sociale… ma anche di linguaggi e immaginario simbolico.
Dei grandi leader della destra europea che hanno fatto la storia, Sarkozy ha qualcosa in più. Innanzitutto ha la Francia dietro di sé: un grande paese che riscopre l’orgoglio del proprio ruolo nel mondo. Poi ha la grande tradizione gollista di una destra moderna che Chirac aveva addormentato nella misera gestione del potere. Infine ha la grande visione delle nuove sfide in gioco nel campo dell’identità, dei diritti civili, del ruolo di una laicità capace di considerare la religione come elemento fondante e forza di una democrazia moderna. Ma Sarko incarna anche la consapevolezza che il mito degli "antropologicamente superiori" è pattumiera, come le idee di una sinistra che arranca in tutta Europa impaurita dalle sfide che sono di fronte a noi, rinchiusa nel retaggio ideologico di un ’68 che ha prodotto più danni che altro. Rimane la questione dello stile; e il dito medio con cui gli "antropologicamente superiori" hanno salutato la vittoria di Sarkozy in Francia rappresenta la frustrazione di chi, almeno per una volta, non si sente più tanto superiore.

lunedì 7 maggio 2007

Era lui il più sexy. O no? il Foglio

Perché ci era piaciuto e ci piace l’uomo che ha cancellato Chirac dalla politica francese e battuto la gauche esausta e piena di niente. Ora ci deluderà, certo, ma fino a che punto?

Sembrava un candidato fatto apposta per noi, e lo era, Nicolas Sarkozy. Senso dell’autorità legittima (i casseurs non sono eroi postmoderni, sono racaille, feccia), istintiva antipatia per il correttismo ideologico sentimentale (in piedi, prego, quando entra l’insegnante), liberismo competente con robuste dosi di iniziativa strategica del potere pubblico (un fonctionnaire su tre che va in pensione non lo sostituisco), europeismo limitato nella pomposità e nella retorica dell’allargamento indefinito (la Turchia è Asia minore), attenzione alla nuova dimensione religiosa dell’esistenza politica (la gran legge massonica sulla laicità del 1905 va rivista), amore da immigrato per il modello americano e per Israele (che pena la Francia grandiloquente di Villepin all’Onu, l’inviato della politique arabe di Chirac). Ci piacevano anche i suoi tranquilli compromessi sui Pacs e sui criteri della vita e del morire, pur nel dissenso: Parigi val bene una messa, diceva Enrico IV. Ci piacevano soprattutto, a noi francofili costretti a sparare a palle incatenate contro la peggior Francia di tutti i tempi, i dodici anni della prostrata e opportunista chiracchia, l’abilità e la tenacia con cui aveva costruito – contro il presidente in carica e il suo attendente – il primo Sarko, lo sfidante dell’establishment veterogollista, sapendo a tempo lasciare il passo al secondo Sarkozy, il candidato, il gestore di una dura campagna elettorale in cui dovevano alternarsi prefigurazione, rottura e rassicurazione. Ci era piaciuta la sua capacità di governare la politica del suo paese da destra e da sinistra, in forme radicali e conservatrici, una destra senza complessi ma senza autarchie culturali. Per questo lo abbiamo scovato a tempo nella cronaca politica francese, lo abbiamo seguito, ritratto in ogni suo aspetto, e abbiamo tifato onestamente per lui, cercando di capire questo fenomeno nuovo della politica francese ed europea.
Felici di un risultato indiscutibile, ora cercheremo di raccontarvi il terzo Sarkozy, il presidente, per capire fino a che punto ci deluderà, visto che il potere delude sempre chi ne sappia valutare l’importanza e il significato, e fino a che punto determinerà un nuovo slancio per le idee che ci stanno a cuore.
Ségolène Royal ha perso, e anche la sua sconfitta è indiscutibile, è sua e non solo sua, è una nuova tragica rivelazione per la gauche nel paese che ha inventato la “sinistra”. Come Jospin, come gli elefanti del suo partito che ha battuto nelle primarie in nome delle sue possibilità di vittoria declinate nel segno della novità e della femminilità della candidata, la Royal ha perso perché era indecisa a tutto. Blair ha presieduto a un grande ciclo della sinistra britannica, senza vergognarsi di ereditare e correggere il thatcherismo, e fungendo da secondo pilastro della difesa dell’occidente dall’attacco islamista. Chiaro. Zapatero ha improvvisato contro una destra seria ma triste, e con l’aiuto di un attentato gestito con sapienza mitica nella campagna informativa verdad y paz, una miscela di radicalismo progressista e di cinico liberalismo che è tutta legata alla vivace situazione di mentalità della Spagna in rapida trasformazione, l’eterna movida. Ma lei, intesa come Ségolène, come la gauche? Mezze misure, retorica sentimentale, prima mammismo e poi viraghismo, la totale esclusione di idee forti e sincere dal campo di battaglia, patti e programmi e modalità di raccordo con il centro del povero Bayrou che la logica di ferro della Quinta Repubblica ha spazzato via (un pensiero deferente a quel genio europeo che risponde al nome di Charles de Gaulle). Una gauche che si riduce a una congrega di anime belle, sempre in attesa di un miracolo che la liberi fideisticamente dal cattivo di turno, dall’uomo nero che prepara autoritarismo e disordine costituzionale, sfruttamento e spietata amministrazione di interessi di mercato; perfino in Italia sono riusciti a infilare una falsa vittoria, un falso governo e forse un falso partito, che sarà diretto da un impiegato coordinatore al posto di Prodì, Prodì, il leader inutilmente convocato a comizio dalla Royal per dimostrare che Sarko era come Berlusconì, un cavaliere del male. Spiace non poter dire che è stata una bella battaglia, ma è stata almeno una bella vittoria.

sabato 5 maggio 2007

Due scippi alla democrazia. Paolo Guzzanti

La sinistra purtroppo seguita a far polpette delle regole della democrazia, sostituendole con il proprio bricolage: la scatola di smontaggio della Costituzione. Mentre si appresta a varare una legge incostituzionale totalmente «ad personam» per sbarrare a Silvio Berlusconi il portone di Palazzo Chigi, Bertinotti fa propaganda politica alla radio dimenticando di essere il presidente della Camera. La legge sul conflitto di interessi che si apprestano a presentare è una vera mascalzonata perché crea una discriminazione in base al reddito: se sei un ladruncolo di strada puoi anche guidare un governo o fare il ministro, ma se sei un imprenditore di successo ti devi mettere una stella gialla e chiuderti in casa. Si tratta del più impudente scippo di democrazia che si sia mai visto ed uno scippo non soltanto a Berlusconi ma a quella dozzina di milioni di italiani che lo vorrebbero votare come presidente del Consiglio. La semplice presentazione di un tale progetto configura a parer nostro un colpo di Stato strisciante contro cui è bene che si sollevi subito quell’opinione pubblica che si dichiara libera e liberale, di destra come di sinistra, perché una tale legge di proscrizione non metterebbe al bando Berlusconi, ma gli elettori italiani.
Intanto, il primo bricoleur della democrazia nonché presidente della Camera, Fausto Bertinotti, finge di non capire che un conto è dirigere il partito e un conto è prestare la propria faccia all’istituzione, nel suo caso quella di terza autorità dello Stato. A Bertinotti non piace il referendum elettorale e lo va a dire alla radio. Non ci sarebbe niente di male per un segretario di partito, ma Bertinotti non è più un capo-partito e quindi c’è di male, eccome. Il presidente della Camera, con un contorto giro di parole, sostiene che il referendum elettorale costituirebbe «un colpo inferto» alla democrazia.
Visto il colpo alla democrazia inferto dal progetto di legge elettorale sul conflitto di interessi, bisogna dire che già occorre una buona faccia tosta per fare affermazioni del genere se a farle fosse un segretario politico, ma che sia un presidente della Camera a svolgere tali ragionamenti è inaudito nel senso che finora non si era udito mai nulla di simile. Il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi si è rivolto a Bertinotti in termini civilissimi e anzi affettuosi chiedendogli di fare un passo indietro: se vuoi dire quello che vuoi, lascia il tuo posto a qualcun altro. Ed è la richiesta che ci sentiamo di sottoscrivere con altrettanta fermezza. Ma non senza notare che la sinistra seguita a rendere l’Italia figlia di un Dio minore: abbiamo appena assistito al travolgente dibattito senza esclusione di colpi fra Ségolène Royal e Nicolas Sarkozy, che si sono affrontati in modo aperto davanti agli elettori francesi e ci è tornato in mente con rossore quel groviglio di false regole salva-Prodi con cui Berlusconi fu imbavagliato durante i dibattiti elettorali con l’uomo che ora siede a Palazzo Chigi. Già allora avemmo un bel «colpo inferto» alla democrazia grazie al quale si imbavagliò lo stesso presidente di Forza Italia che ora si vorrebbe rendere meno uguale degli altri introducendo per legge l’apartheid politico. Questi, insomma, vanno avanti come un rullo compressore minacciando ormai sfacciatamente la stessa democrazia che sostengono di voler proteggere.

Riflessione di Christian Rocca

Eppure non mi pare siano entrati in sciopero.
Sono passati sette giorni e i dipendenti di Debenedetti a Repubblica non hanno ancora commentato l'assoluzione del Cav. al processo Sme, dove l'Ingegnere era parte civile.
4 maggio

venerdì 4 maggio 2007

Pregiudizio anti-clericale. Aldo Vitale

http://www.ragionpolitica.it/testo.7646.html

Il ruolo degli intellettuali organici alla sinistra nella polemica con la Chiesa.

venerdì 27 aprile 2007

Sulla riva del fiume, aspettando...

Vi pare che Berlusconi abbia intenzione di mollare?
Siete convinti che rovescerà il tavolo e manderà tutti a quel paese? Errore.
Il Bel rusconi non molla.
Comincia ad intravvedere, a pelo d'acqua, il corpo di Prodi che galleggia a malapena: dalla riva del fiume può vedere altri corpi annaspare, ci sono anche (ex)alleati.
Il partito unico delle libertà? Forza Italia. Attorno al partito del Cavaliere si stanno muovendo gruppi che, inevitabilmente, convergeranno verso la "casa madre".
Se ognuno correrà da solo i piccoli rimarranno schiacciati e non ci sarà la gentile concessione di poltrone.
Non si può tirare troppo la corda senza fare i conti con gli elettori: il centrodestra è costituito da votanti che sanno quello che vogliono e preferiscono orientare i partiti piuttosto che farsi guidare.
Le astensioni delle precedenti elezioni ne sono la prova provata.
Allora, cari partiti minori, alle prossime amministrative mettetevi d'accordo e trovate candidati unici e graditi a tutti: altrimenti il popolo, che non è bue, voterà quello con le maggiori probabilità di battere la sinistra.
E non occorre essere sondaggisti per capire qual è il partito del centrodestra con le maggiori probabilità.

giovedì 26 aprile 2007

Elezioni francesi e anomalia italiana. dal blog dell'Anarca, Martin Venator

Il primo turno delle elezioni francesi ha svelato qual è la vera anomalia della politica italiana. Voi direte: cosa c’entra l’anomalia italiana con le presidenziali francesi? C’entra, c’entra. Per esempio, per molto tempo l'Anarca ha creduto che trovare in Europa una che dicesse più scemenze della Melandri non sarebbe stata cosa facile. La Francia l’ha trovata: Ségolène Royal batte Giovanna Melandri 3 a 0.
Ma l'Anarca pensava anche che trovare in Europa uno più figo e più di destra di Antonio Polito non sarebbe stato possibile. La Francia l’ha trovato: Sarkozy batte Polito 5 a 0 e infatti Polito, uomo intelligente, ha detto che se avesse votato in Francia avrebbe scelto Sarkozy.Ma è evidente che sto guadagnando tempo. Né la Melandri con le sue periodiche scemenze, né Polito così di destra da starsene a sinistra, rappresentano la vera anomalia italiana a cui la Francia ha dato risposta. E allora? Cosa ci stanno aiutando a capire i cugini francesi?
Prendiamola alla lontana: in questi 10 anni tutti i più importanti osservatori italici e europei ci hanno raccontato che l’unica anomalia della politica italiana si chiamava Silvio Berlusconi. Intellettuali, giornalisti, studiosi, insomma la crème di quella incivile “società civile” che cerca da sempre di dare lezioni di civiltà alla società incivile che alla fine è più civile di loro, ce l’ha menata con questa storia del Cavaliere anomalia del nostro sistema democratico: è stata un’anomalia la sua discesa in campo; è un’anomalia il suo impero economico; sono un’anomalia le inchieste giudiziarie che neanche Al Capone, Gengis Khan e Jack lo Squartatore insieme si sarebbero beccati; è un’anomalia il suo conflitto d’interesse; ma soprattutto, per quelli deboli di cuore e la puzza sotto il naso, sono un’anomalia il suo populismo, la sua bandana, lo sfoggio di ricchezza, il fatto che fa le corna nelle foto con i capi di stato europei, che racconta le barzellette sporche e che preferisce a 70 anni la compagnia di belle e formose figliole a quella dei trans (bontà sua). Tutto vero. Quindi in parte hanno ragione… ma per difetto: Berlusconi è molto di più di un’anomalia: è un gene impazzito, un pezzo di dna esposto ad una tempesta di raggi cosmici... è i Fantastici 4 tutti assieme con qualche declinazione verso l’incredibile Hulk. Perché uno che se ne sta una sera a cena con Murdoch e a un certo punto si alza (… è Murdoch stesso che lo ha raccontato) e dice ai presenti: “scusate ma ho un aereo che mi aspetta, devo andare a fondare un partito per salvare l’Italia dal comunismo” e (come non si capacita ancora Murdoch) la cosa incredibile è che lo fa veramente... beh, definirlo un’anomalia è offensivo.
Anche noi che non baratteremmo il Cavaliere, il suo dannunzianesimo post-moderno neanche per De Gaulle e Asterix, magari per l’impresa di Fiume si, di certo non per la Finocchiaro che è la brutta copia di Nilde Jotti, o per le lacrime di Fassino che sono la brutta copia delle lacrime di Occhetto, così come il Pd è la brutta copia di se stesso, non riusciamo a capire come la “società civile” abbia potuto prendere un abbaglio simile.
In passato abbiamo cercato di spiegare che i paranoici di professione, i registi che filmano caimani improbabili, gli epurati televisivi a suon di milioni di euro, insomma quel sottobosco di assistiti arricchiti e famosi proprio grazie all’antiberlusconismo militante, nella loro mediocrità non riuscivano a cogliere la follia del Cavaliere e quindi la sua genialità. E che se volevamo limitarci alla banalità di un’anomalia, ancor più che Belrusconi dovevamo pensare a quel signore che oggi fa il Presidente del Consiglio e che, sotto giuramento, ha dichiarato ad una Commissione parlamentare di aver parlato con un fantasma con tanto di piattino semovibile. Perché per quanto non riusciamo a intravedere in Europa uno come Berlusconi, ci rimane difficile anche immaginare Tony Blair attorno a un tavolino a tre zampe interrogare gli spiriti, o la Merkel con il pendolino in mano e la barba finta predire il futuro del quindicesimo Reich.

Eppure, nonostante tutto questo, le elezioni francesi ci hanno fatto capire che l’anomalia della politica italiana è un’altra. I francesi, anche se sono gente che sotto braccio porta lo sfilatino invece del giornale e si riempie il fegato di salsine indigeribili, non sono scemi del tutto… anzi. Da Carlo Magno a Napoleone, da Robespierre a Michel Platini hanno sempre avuto il gusto di anticipare i tempi della storia; e così, anche in questo caso, hanno deciso di prendere a calci nel culo il ‘900 e gettarlo definitivamente fuori dalla finestra. E per fare questo, prima ancora di scegliere tra il mitico Sarko e la divertente Ségo, hanno ripulito la piazza liquidando i partitini della sinistra radicale fatta da Comunisti, Trotzkisti, Verdi, No global, insomma quell’insieme di pattume politico e culturale che da noi colora la politica e la rende ancora più ridicola di quanto non sia. I francesi hanno deciso di chiudere finalmente nella soffitta della storia ciò che invece noi teniamo ancora in bella mostra nel salotto di casa. Davanti ai Diliberto, ai Bertinotti, ai Caruso ai Russo Spena, si svela la vera anomalia italiana. L’unica democrazia occidentale che consente a queste cianfrusaglie della politica, a questi rigurgiti mai digeriti della storia del ‘900, di stare al governo e di condizionare la politica sociale, economica, estera del Paese. Forse è questa la prima lezione delle presidenziali francesi.Vive la France!

martedì 24 aprile 2007

Manette, segreti e giornalisti. Davide Giacalone

Il Parlamento sta per approvare l'ennesima legge inutile sul segreto istruttorio. Nel mirino ci sono i giornalisti, dei quali ho già scritto il peggio possibile, così come ho sciupato una montagna di carta per difendere la presunzione d'innocenza.

A questo s'aggiunga che della barbarie sono stato ripetutamente vittima, così che sembrerà strana la mia contrarietà alla futura legge.
Si deve sapere che gli atti istruttori devono già restare segreti, ma nessuno ne tiene conto perché ci furono dei signori (Borrelli, Davigo e Colombo, coadiuvati dai Maddalena accorrenti alla facile popolarità) che hanno pubblicamente, ed in toga, teorizzato il contrario. Per tale ragione già non mi piace una legge che vuol punire chi pubblica e lascia eternamente impuniti quelli che forniscono il materiale, ovvero i magistrati. Inoltre, è evidente che ci sono indagini di pubblica rilevanza, delle quali i cittadini non possono non essere informati. Ma qui la nuova legge salva ancora i magistrati, garantendo quello che Mauro Mellini chiama il loro “jus sputtanandi”: si può scrivere che Tizio è accusato di pedofilia, ma non si possono trascrivere gli atti raccolti dai pubblici ministeri. Peccato che Tizio è già fregato così, senza bisogno d'aggiungere altro.Può la presunzione d'innocenza conciliarsi con la libertà dell'informazione? Certo, ma ad una condizione: che i processi si aprano e concludano in tempi ragionevoli. Se vengo accusato oggi ed assolto fra sei mesi subisco un danno, ma ci posso stare. Se, invece, mi assolvono fra dieci anni, quando nessuno neanche più pubblica la notizia, o mi piomba addosso la prescrizione del procedimento che l'ignoranza giustizialista scambierà per una condanna scampata, ed avverso la quale posso ricorrere autocondannandomi a pagare altri dieci anni di spese giudiziarie, allora il diritto va a farsi benedire. Non se ne esce: se la giustizia fa schifo i diritti non si salvano mai.
In quanto ai giornalisti, dovrebbero imparare che, per deontologia e non per legge, mai si dovrebbe scrivere qualche cosa di qualcuno senza avergli offerto la possibilità di aggiungere o replicare. Per troppi pennivendoli gli indagati sono solo carne cacciata di frodo e venduta al contrabbando giudiziario. Ma è laido punire il copista onorando l'autore (tutelato dai colleghi).

Seveso, basta la parola. Francesco Ramella

"Sulla Marca è calato lo spettro di una nuova Seveso". (Il Giornale)
"Il lungo giorno vissuto nell'incubo di una nuova Seveso". (La Stampa)"
"L'allarme ha fatto venire alla mente le terrificanti immagini del disastro Seveso, a trentuno anni da quel immane tragedia ambientale". (L'Unità)
"Lì stava scoppiando tutto: temevamo un’altra Seveso". (Corriere della Sera)

Come sempre accade quando si verifica un incidente "chimico", la notizia dell'incendio alla De Longhi di Treviso è andata sulle prime pagine e ha trovato ampio spazio nelle cronache di tutti i giornali.Questa volta, quasi all'unisono, è comparso il riferimento a Seveso, paradigma del danno ambientale tout-court. Ma chissà quanti fra i lettori sanno davvero cosa è successo 30 anni fa a Seveso. Quanti sanno che non vi fu nessun decesso e che, stando allo studio realizzato dalla Fondazione Lombardia per l'ambiente "Seveso vent'anni dopo: dall'incidente al bosco delle querce", nel decennio successivo all’incidente "in nessuna delle tre zone contaminate la mortalità per cancro risultò differire da quella della popolazione di riferimento" (p. 77) e che in due di esse il rischio relativo risultò inferiore ad 1 (se il rischio relativo è maggiore di 1 il fenomeno in esame è in aumento, se è minore di 1 il fenomeno è in diminuzione).Più della diossina, a Seveso potè l'allarmismo: vi furono a seguito dell'incidente trenta aborti giustificati dalla paura di possibili malformazioni, nonostante le informazioni scientifiche disponibili consentissero di escludere tale rischio come allora sostenuto dal professor Bompiani e come verificato a posteriori dall’analisi dei feti abortiti.
Già, ma chi lo sa?

domenica 15 aprile 2007

Un anno di fallimenti. Gianteo Bordero

Poco più di un anno fa l'Unione capitanata da Romano Prodi vinceva (si fa per dire) le elezioni e dava inizio ad un percorso che nelle intenzioni del Professore e dei leaders del centrosinistra avrebbe dovuto riportare l'Italia sulla strada dello sviluppo e della «felicità» dopo il lustro di governo berlusconiano, ma che in realtà, visto con gli occhi di oggi, si è rivelato una vera via crucis tanto per lo schieramento unionista quanto - purtroppo - per il Paese. Fare un elenco delle azioni sciagurate messe in atto dal centrosinistra da un anno a questa parte sarebbe oggettivamente defatigante, e risparmiamo a noi stessi e ai nostri lettori la pena di mettere in fila tutte le malefatte di Prodi e compagni dall'aprile scorso ad oggi - malefatte di cui Ragionpolitica ha dato puntualmente conto con articoli e analisi che potete trovare e consultare facilmente nel nostro archivio.
Soffermiamoci dunque su due fatti recenti, che documentano in maniera chiara il fallimento dell'armata anti-berlusconiana entrata a Palazzo con lo scopo di fare il «bene dell'Italia» e ridotta oggi a poltrire sugli scranni del potere col solo scopo di tirare a campare dopo 12 mesi di liti, debacle, una crisi di governo, proteste popolari di ogni genere e chi più ne ha ne metta... Restiamo allora all'attualità e segnaliamo due capitoli paradigmatici dello stile (anche qui, si fa per dire) di governo unionista alla guida del Paese.
Il primo fatto è la pessima gestione del caso Mastrogiacomo, che ha fatto colare a picco la credibilità dell'Italia nel consesso internazionale, già messa a dura prova dall'oscillante politica estera del ministro D'Alema, prigioniero dei diktat dell'estrema sinistra, e da episodi come quello riguardante l'allargamento della base Usa di Vicenza. Con la gestione del sequestro Mastrogiacomo, però, Prodi e i suoi hanno veramente toccato il fondo. Sono riusciti, nell'ordine, a ricattare il governo afghano minacciando il ritiro delle nostre truppe di stanza a Kabul e a Herat; a mettere in un angolo i nostri servizi segreti, che pure in passato avevano dato ottima prova di sé nei casi di rapimento di nostri connazionali; ad affidare tutta la pratica a Gino Strada, salvo poi scaricarlo nel momento in cui ha presentato il conto chiedendo di far scarcerare il suo emissario arrestato dai servizi di sicurezza di Kabul; a far rilasciare cinque (o forse più) comandanti talebani, che sicuramente torneranno al più presto ad organizzare agguati e attentati contro la popolazione locale e contro i soldati occidentali, tra cui anche i nostri; a creare imbarazzo e sconcerto nelle altre cancellerie occidentali, Usa in primis, poco propense a fare regali ai tagliagole; ancora, a fornire ai taliban un'ottima arma di lotta per ottenere il rilascio dei loro guerriglieri catturati; infine, a far imbestialire gli afghani per il disinteresse mostrato nei confronti della sorte dell'interprete di Mastrogiacomo, trattenuto dopo la liberazione del reporter di Repubblica e barbaramente sgozzato nel giorno di Pasqua.
Come si vede, ce n'è abbastanza per capire che un governo «serio», come Prodi ripete a ogni pie' sospinto essere il suo, avrebbe fatto il contrario di quanto messo in opera da quello capitanato dal Professore. Soprattutto, un esecutivo «serio» non avrebbe svenduto la dignità del Paese che guida solo per rimanere in sella a tutti i costi, cosa che non sarebbe avvenuta se Mastrogiacomo, giornalista di uno dei maggiori «azionisti» del governo, avesse fatto la stessa fine del suo autista e del suo interprete. Siamo tutti felici per il fatto che il reporter sia tornato a casa sano e salvo, ma l'immagine che l'esecutivo Prodi ha dato del nostro Paese e la brutta figura rimediata in campo internazionale si addicono più a una Repubblica delle banane che a una democrazia moderna e occidentale.
Secondo fatto di attualità che testimonia come l'Unione e il governo da essa sostenuto siano politicamente al capolinea è la lettera inviata ieri dal presidente del Consiglio al Corriere della Sera in merito al cosiddetto «tesoretto» (l'extra-gettito dovuto alla buona politica di Tremonti e ai calcoli sbagliati del suo successore, Tommaso Padoa-Schioppa) e ai modi in cui utilizzarlo. Qui il Professore raggiunge veramente il culmine dell'ipocrisia e promette, testualmente, di utilizzare due terzi del suddetto «tesoretto» per sostenere le famiglie disagiate, i pensionati e i disoccupati. Il 66% dell'extra-gettito andrà «a favore di chi - scrive Prodi - affronta con maggior difficoltà il cammino della propria esistenza. Troppe sono le persone che non riescono ad arrivare alla fine del mese e troppe sono le famiglie che non riescono a costruire un futuro per i propri figli. E a loro va il primo e più corposo pensiero».
Ma come? Non erano proprio il Professore e i suoi sostenitori, in campagna elettorale, a promettere che con l'Unione al governo le famiglie stremate - a detta loro - dalle politiche berlusconiane avrebbero trovato immediato sollievo e sarebbero arrivate più agevolmente alla fine delle quattro settimane mensili? Ora invece scopriamo, per implicita ammissione dello stesso Prodi, che in un anno le cose non sono cambiate, che le magnifiche sorti e progressive trionfalmente annunciate dal centrosinistra sono ancora di là da venire. Infatti, come candidamente afferma il presidente del Consiglio, «non abbiamo esitato a prendere misure impopolari, consapevoli che questo è il dovere di ogni buon governo». Il fatto è che, come documenta l'esistenza stessa del «tesoretto», di queste «misure impopolari» (quelle contenute nella Finanziaria 2007) non c'era alcun bisogno: i conti dello Stato non erano al collasso e i sacrifici richiesti a tutti gli italiani - meno abbienti compresi - erano giustificati solo da motivi ideologici che risiedevano in mente Unionis, non in rebus.
Per questo la lettera di Prodi al Corriere della Sera, vergata per promettere ancora una volta mari e monti agli italiani, sortisce invece l'effetto contrario e mostra che anche sul fronte della politica economica il naufragio dell'armata prodiana è totale. Ormai è chiaro che il presidente del Consiglio e i suoi alleati non sanno più dove sbattere la testa, e proprio loro che accusavano Berlusconi di essere un piazzista della politica si riducono a far pubblicare sul maggiore quotidiano nazionale una missiva di vuota e inconcludente propaganda elettorale in vista delle prossime consultazioni amministrative. Cercano di mettere una pezza al verticale crollo di consensi e di credibilità, ma ormai le falle della nave unionista sono tali e tante che solo un marziano - e forse neppure lui - potrebbe credere alle demagogiche promesse prodiane e trangugiare la fuffa propinata dal Professore al popolo italiano, che gli ha già voltato le spalle.

sabato 14 aprile 2007

I pasticci della demagogia. Lodovico Festa

La lettera di Romano Prodi al Corriere della Sera su come spendere il cosiddetto tesoretto, dà la misura della miseria politica del governo. Non colpisce tanto la manovretta elettorale che si annuncia, l'assegnare il 66% delle risorse aggiuntive alle famiglie che hanno meno e il 33% alle imprese. Si è visto nella finanziaria 2007 come i propositi dell'esecutivo si traducano sempre in pasticci: si era parlato di favorire i redditi minori e si è arrivati a tartassare tutti i cittadini che guadagnano più di 16mila euro lordi. E quanto alle imprese, molti dei provvedimenti annunciati sono da attuare. Quello che sconcerta è l'analisi e la filosofia di Prodi. Non vi è verità nella descrizione delle condizioni dell'Italia, nessun riconoscimento di come la linea fiscale di Giulio Tremonti sia quella che oggi paga. Come ha in parte riconosciuto lo stesso Padoa-Schioppa. Abbondano le fantasticherie sulla lotta alla evasione fiscale. Non si parla dell'aumento della pressione fiscale realizzato con un incremento tra i più alti d'Europa. Si parla dei salari bassi evitando di discutere, però, dell'alto costo del lavoro: l'idea di tagliare il cuneo fiscale non si è tradotta in seri provvedimenti. E i pasticci che si annunciano sulla riforma Maroni delle pensioni fanno pensare che poco si farà per ridurre il costo del lavoro. Non manca, poi, un attacco ai redditi dei manager troppo alti e cresciuti troppo negli ultimi anni: il solito refrain sui ricchi cattivi che come diceva Rifondazione «dovrebbero piangere anche loro».
L'ipocrisia, la reticenza, la demagogietta caratterizzano le parole di Prodi, le rendono poco credibili. Questo spiega perché la maggioranza dei manager super ricchi indicati da varie classifiche nei giornali finiscono poi per votare un centrosinistra che alla fine non li toccherà. E spiega anche perché la maggioranza dei lavoratori dipendenti produttivi del Nord voti per il centrodestra, l'unica speranza di sviluppo per l'Italia. D'altra parte che cosa aspettarsi da un governo che si vanta liberalizzatore perché interviene su aspirine e lunedì dei parrucchieri, mentre interferisce in modo sfacciato su qualsiasi impresa privata da Autostrade a Telecom, che non si conforma ai suoi piani di potere?

I pasticci su tesoretto, pensioni, contratto del pubblico impiego, Telecom marchiano lo stato di degrado di un governo che va mandato presto a casa. Il centrodestra, su questo terreno economico ancora più che sulla politica estera, dovrebbe prendere rapidamente iniziative coordinate tra le forze di opposizione, di consultazione delle forze sociali. Recentemente alcune proposte di Maurizio Sacconi e dell'associazione Giovane Italia, in parte analoghe a quelle della fondazione Fare futuro legata ad An, hanno avuto il plauso anche di Cisl e Uil. Tutto il mondo produttivo non ne può più dell'estenuato governo Prodi, va consultato e nelle forme opportune mobilitato.

venerdì 13 aprile 2007

Il falso, nella revisione comunista. Davide Giacalone

Ho il cuore tenero, e mi si spezza nel vedere quel pover'uomo di Fassino continuare a sputare sul passato suo, dei suoi compagni e del suo partito pur di stare a galla. Se lo risparmi, perché tanto è un falso, e gli spiego il perché in meno di 2300 battute.

Che il comunismo sia stato e sia fame, terrore e morte non c'è bisogno che lo dicano loro, lo sanno tutti quelli che non vivono nell'analfabetismo della fede ideologica. Questo giudizio, che non sarà mai smentito, non porta automaticamente all'inferno tutti quanti furono comunisti, perché in quel vasto popolo c'è un esercito di persone che fu in buona fede e credette di essere dalla parte della ragione. Militarono, invece, al fianco d'affamatori e carnefici, mancando loro la capacità ed il coraggio di accorgersene (e sì che alcuni lo gridarono!). Questo vale per il gregge, ma non per i pastori. Loro sapevano. Sapevano che Togliatti fu complice della carneficina, sapevano del Gulag, sapevano delle persecuzioni e della fame, sapevano di essere mantenuti con i soldi inviati dalla potenza militare che avrebbe voluto annientare la libertà. Lo sapevano Fassino, D'Alema, Veltroni, Mussi, ovviamente Berlinguer, Natta & C.. Lo sapevano tutti quelli che sono ancora lì, dato che mancano solo i morti, e sapevano di aver preso soldi sporchi di sangue fino al 1991. Ripeto: fino al 1991.
Contro la loro macchina propagandistica, contro l'enorme potere economico che derivava loro dal sommare i soldi sovietici a quelli della lottizzazione, si batté il mondo democratico, ed in particolar modo la sinistra democratica. Per battersi ebbe bisogno di soldi, e se li procurò chiedendoli in Italia. Dice Violante che si deve riabilitare Craxi. Fassino concorda, io no. Semmai è la sinistra democratica che dovrebbe stabilire se vuol riabilitare questi bugiardi, falsi, persecutori, sfuttatori d'amicizie giudiziarie, inquinatori della democrazia, traditori della sinistra. Manca ancora la verità su tangentopoli, e sulla bugia non si costruisce.
Gli effetti di quegli abominevoli errori li scontiamo ancora, e se fosse sincero il ripensamento dovrebbe riguardare la nostra storia ed i posti dove il Gulag è ancora aperto, come a Cuba. Ma non c'è morale, in quelle parole, solo convenienza e desiderio di conservare il posto avendo perso l'identità.

mercoledì 11 aprile 2007

L'olocausto sovietico: 60 milioni di morti. Giordano Bruno Guerri

Gulag è un acronimo che in russo sta per «Direzione principale dei campi di lavoro correttivi»: erano stati istituiti dagli zar, ma fu Lenin a annunciare - già nel 1917, subito dopo la presa del potere - che tutti i «nemici di classe», sarebbero stati trattati alla stregua dei peggiori criminali, anche in assenza di prove: ex nobili, imprenditori e grandi proprietari terrieri prigionieri, funzionari corrotti, ma soprattutto nemici politici; e tali venivano considerati anche i semplici dissidenti. Nel 1931-32 i Gulag, situati nel gelo siberiano, avevano circa 200mila prigionieri; nel 1935 erano saliti a circa un milione, e dopo la Grande Purga staliniana del 1937 erano quasi due milioni. Presunti corrotti e presunti sabotatori vennero trovati e incarcerati in massa per giustificare la cattiva pianificazione, la sottoproduzione, i cattivi raccolti e gli innumerevoli progetti falliti del sistema sovietico. Si era scoperto ben presto che i Gulag potevano fornire un’immensa forza lavoro a bassissimo costo per sostenere il faticoso sviluppo dell’economia sovietica.

Durante gli anni Trenta il terrore staliniano colpì anche le comunità straniere - per quanto comuniste - che vivevano in Unione Sovietica. Secondo le recenti ricerche del Centro Studi Memorial di Mosca, sospettati, nella maggior parte dei casi, di attività antisovietica e di spionaggio, alcune centinaia di italiani, per lo più emigrati politici e giunti in Urss negli anni Venti, per sfuggire al fascismo, incantati dal miraggio del paradiso comunista, «morirono fucilati dopo processi sommari e lunghe sofferenze nei campi di lavoro forzato». La popolazione dei Gulag calò molto durante la Seconda Guerra Mondiale, perché centinaia di migliaia di prigionieri furono mandati d’autorità a morire in prima linea. In compenso, nei campi la mortalità aumentò paurosamente nel 1942-43, per stenti, fame e malattie.

All’inizio degli anni Cinquanta i detenuti dei Gulag erano circa due milioni e mezzo, soltanto in minima parte disertori e criminali. Molti erano russi prigionieri di guerra, accusati di tradimento e di cooperazione con il nemico, perché costretti dai nazisti a lavorare per loro.Molti altri venivano da territori annessi all’Urss dopo la guerra. Una sorte particolarmente iniqua toccò ai discendenti degli italiani che vivevano a Kerc’, in Crimea: 150 famiglie deportate in Kazakistan del Nord e in Siberia, originari di famiglie pugliesi che si erano trasferite in Russia all’inizio dell’Ottocento. Anche i superstiti soldati italiani dell’Armir, accusati strumentalmente di reati comuni, passarono dalla giurisdizione militare a quella del Gulag. Il destino più crudele toccò a quei disgraziati che passarono direttamente dai lager nazisti ai Gulag sovietici. Il tasso di mortalità nei Gulag raggiungeva in molti campi anche l’80 per cento nei primi mesi, a causa delle assurde quote di produzione assegnate ai prigionieri - soprattutto in miniera e nei boschi - della fame, del freddo e della mancanza di cure. Basti pensare che il valore nutrizionale di una razione giornaliera (principalmente da pane di bassa qualità) era intorno alle 1.200 calorie, mentre la necessità minima per chi svolge un lavoro pesante è compresa tra le 3.100-3.900 calorie.

Dopo il XX Congresso del Pcus, nel 1956, in cui Krusciov denunciò i crimini di Stalin, anche le vittime italiane furono riabilitate, ma la maggior parte era ormai morta, e pochissimi riuscirono a tornare in patria. Secondo lo stesso Centro Studi Memorial, in Italia «la memoria delle vittime italiane del Gulag rimase a lungo dimenticata, complice l’ostinato silenzio del Partito comunista italiano che preferiva non ricordare le responsabilità dei propri dirigenti e di Togliatti, presenti a Mosca negli anni Trenta». I Gulag furono soppressi ufficialmente nel 1960. Soltanto fra il 1934 e il 1953 il totale documentabile di vittime del sistema di lavoro correttivo è di 1.054.000 individui, fra prigionieri politici e comuni. Vi si aggiungano circa 800.000 esecuzioni di «controrivoluzionari» eseguite fuori dal sistema dei campi. Ma secondo le denunce di Solgenicyn e di altri dissidenti sovietici, l’«Arcipelago Gulag», ovvero l’intero sistema sovietico, provocò in totale 60 milioni morti, compresi quelli uccisi dalle numerose carestie.

Faccia da salvare e faccia da buttare. Paolo Guzzanti

Silvio Berlusconi è uno statista. Noi no. O almeno io no. Ho visto troppa politica per credere ai buoni sentimenti. E quanto allo scandalo che vede Romano «our man» Prodi al centro del massacro dell’immagine dell’Italia penso che non si debba dare tregua al governo, sia pure con la nobile intenzione di salvare la faccia del Paese. La faccia del Paese starebbe benissimo. La faccia del governo è invece da buttare. L’Italia aveva risalito con Berlusconi la china della mala tradizione che ci aveva voluto inaffidabili, un po’ di qua e un po’ di là, ed eravamo diventati ormai una delle «meglio nazioni» dell’Occidente. Siamo stati noi, con il governo che ha retto questo Paese dal 2001 al 2006 a rimettere in piedi la credibilità dell’Italia e che non ci vengano a ricordare i coraggiosissimi bombardamenti dell’aviazione di D’Alema su Belgrado, né le missioni da crocerossine. Quanto agli ostaggi ricordo una verità sulla quale bisogna avere il coraggio di sfidare la maggioranza con la prova del fuoco di una Commissione parlamentare d’inchiesta su tutte le trattative, passate e presenti, dalle due Simone a Mastrogiacomo, dalla Sgrena con la morte di Calipari a Quattrocchi caduto ringhiando «Vi faccio vedere come muore un italiano». Sfidiamoli: vogliamo tutta la verità. Non c’è da avere paura perché una differenza abissale separa i due modelli, diciamo di destra e di sinistra: quando si trattava col nemico ai tempi di Berlusconi tutto avveniva in una speciale stanza di Palazzo Chigi, alla presenza attiva del direttore del Sismi (giustamente portato sugli allori, allora, dalle sinistre) e dei rappresentanti dei partiti dell’opposizione che partecipavano, decidevano, si assumevano le responsabilità per le decisioni prese e, all’occorrenza, le coprivano e ancora le coprono. Ricordo benissimo il clima di entusiasmo che aleggiava in Senato quando il governo veniva a render conto di ciò che aveva fatto insieme all’opposizione nel segreto di una stanza insonorizzata. Avrà pagato? Lo ha fatto con l’opposizione. Ci ha nascosto qualcosa? Ce l’ha nascosta d’accordo con l’opposizione per il bene superiore della vita umana. L’Italia non riceveva lettere di disprezzo da sei ambasciatori alleati e le nostre truppe erano quotate nella borsa dell’onore. Adesso il re è nudo. O, se volete, la mortadella è nuda. Lo scempio di legalità internazionale cui abbiamo assistito è stato un vero mattatoio di disonore e di sangue per i poveri afgani che hanno perso la testa per salvare quella del signorino italiano per cui la sinistra ha mosso manifestazioni di serie A che non ha organizzato per altre vite di serie B.
Ora, Berlusconi è un uomo di Stato e un uomo buono. E chiede che il buon nome del Paese non venga infangato ulteriormente. Nobile proposito, ma dissentiamo: è scaduto il tempo dell’abbraccio pietoso. È arrivata invece l’ora della trasparenza e della resa dei conti senza timori e senza sconti, il miglior cosmetico per l’immagine dell’Italia.

martedì 10 aprile 2007

Lettera aperta al Presidente della Repubblica. Associazione Galileo 2001

e p.c.
Presidente del Consiglio – On. Romano PRODI

Ministro dell’Economia e delle Finanze – Prof. Tommaso PADOA SCHIOPPA
Ministro dello Sviluppo Economico – On. Perluigi BERSANI
Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – On. Alfonso PECORARO SCANIO
Ministro per le Politiche Europee – On. Emma BONINO
Presidente del Senato – Sen. Franco MARINI
Presidente della Camera dei Deputati – On. Fausto BERTINOTTI
Presidente V Commissione Bilancio Senato – Sen. Enrico MORANDO
Presidente VI Commissione Finanze Senato – Sen. Giorgio BENVENUTO
Presidente X Commissione Industria Senato – Sen. Aldo SCARABOSIO
Presidente XIII Commissione Ambiente Senato – Sen. Tommaso SODANO
Presidente XIV Commissione Politiche UE Senato – Sen. Andrea MANZELLA
Presidente V Commissione Bilancio Camera – On. Lino DUILIO
Presidente VI Commissione Finanze Camera – On. Paolo DEL MESE
Presidente X Commissione Attività Produttive Camera – On. Daniele CAPEZZONE
Presidente VIII Commissione Ambiente Camera – On. Ermete REALACCI
Presidente XIV Commissione UE Camera – On. Franca BIMBI
4 aprile 2007

Illustre Signor Presidente,
è da tempo che l’Associazione Galileo 2001 vede con preoccupazione le decisioni assunte dai Governi e dal Parlamento italiano di ratificare il Protocollo di Kyoto. Maggiore preoccupazione manifestiamo oggi per l’ipotesi di assunzione di impegni ancora più gravosi in sede europea e nazionale relativi alla politica ambientale ed energetica.
Come cittadini e uomini di scienza, avvertiamo il dovere di rilevare che la tesi sottesa al Protocollo, cioè che sia in atto un processo di variazione del clima globale causato quasi esclusivamente dalle emissioni antropiche, è a nostro avviso non dimostrata, essendo l’entità del contributo antropico una questione ancora oggetto di studio.
In ogni caso, anche ammettendo la validità dell’intera teoria dell’effetto serra antropogenico, gli obiettivi proposti dal Protocollo di Kyoto sono inadeguati, poiché inciderebbero solo in modo irrilevante sulla quantità totale di gas serra. Totalmente inadeguati rispetto al loro effetto sul clima ma potenzialmente disastrosi per l’economia del Paese. Dal punto di vista degli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo rileviamo che:
l’Italia si è impegnata a ridurre entro il 2012 le proprie emissioni di gas-serra del 6.5% rispetto alle emissioni del 1990;
poiché da allora le emissioni italiane di gas-serra sono aumentate, per onorare l’impegno assunto dovremmo ridurre quelle odierne del 17%, cioè di circa 1/6;
in considerazione dell’attuale assetto e delle prospettive di evoluzione a breve-medio termine del sistema energetico italiano, il suddetto obiettivo è tecnicamente irraggiungibile nei tempi imposti.

All’impossibilità pratica di rispettare gli impegni assunti fanno riscontro le pesanti sanzioni previste dal Protocollo per i Paesi inadempienti, che rischiano di costare all’Italia oltre 40 miliardi di euro per ciò che avverrà nel solo periodo 2008-2012.
Al fine di indirizzare correttamente le azioni volte al conseguimento degli obiettivi di riduzione, occorre tenere presente che i settori dei trasporti e della produzione elettrica contribuiscono, ciascuno, per circa 1/3 alle emissioni di gas serra (il restante terzo è dovuto all’uso d’energia non elettrica del settore civile/industriale). Giova allora valutare cosa significherebbe tentare di conseguire gli obiettivi del Protocollo in uno dei seguenti modi:

sostituire il 50% del carburante per autotrazione con biocarburante;
sostituire il 50% della produzione elettrica da fonti fossili con tecnologie prive di emissioni.

1.Biocarburanti. Per sostituire il 50% del carburante per autotrazione con bioetanolo, tenendo conto dell’energia netta del suo processo di produzione, sarebbe necessario coltivare a mais 500.000 kmq di territorio, di cui ovviamente non disponiamo. Anche coltivando a mais tutta la superficie agricola attualmente non utilizzata (meno di 10.000 kmq), l’uso dei biocarburanti ci consentirebbe di raggiungere meno del 2% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.

2.Eolico. Sostituire con l’eolico il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili significherebbe installare 80 GW di turbine eoliche, ovvero 80.000 turbine (una ogni 4 kmq del territorio nazionale). Appare evidente il carattere utopico di questa soluzione (che, ad ogni modo, richiederebbe un investimento non inferiore a 80 miliardi di euro). In Germania, il paese che più di tutti al mondo ha scommesso nell’eolico, i 18 GW eolici – oltre il 15% della potenza elettrica installata – producono meno del 5% del fabbisogno elettrico tedesco.

3.Fotovoltaico. Per sostituire con il fotovoltaico il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili sarebbe necessario installare 120 GW fotovoltaici (con un impegno economico non inferiore a 700 miliardi di euro), a fronte di una potenza fotovoltaica attualmente installata nel mondo inferiore a 5 GW. Installando in Italia una potenza fotovoltaica pari a quella installata in tutto il mondo, non conseguiremmo neanche il 4% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.

4.Nucleare. Per sostituire il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili basterebbe installare 10 reattori del tipo di quelli attualmente in costruzione in Francia o in Finlandia, con un investimento complessivo inferiore a 35 miliardi di euro. Avere 10 reattori nucleari ci metterebbe in linea con gli altri Paesi in Europa (la Svizzera ne ha 5, la Spagna 9, la Svezia 11, la Germania 17, la Gran Bretagna 27, la Francia 58) e consentirebbe all’Italia di produrre da fonte nucleare una quota del proprio fabbisogno elettrico pari alla media europea (circa 30%).

Come si vede, nessuna realistica combinazione tra le prime tre opzioni (attualmente eccessivamente incentivate dallo Stato) può raggiungere neanche il 5% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Agli impegni economici corrispondenti si dovrebbe poi sommare l’onere conseguente all’acquisto delle quote di emissioni o alle sanzioni per il restante 95% non soddisfatto.

Esprimiamo quindi viva preoccupazione per gli indirizzi che il Governo e il Parlamento stanno adottando in tema di politica energetica e ambientale, e chiediamo pertanto:

che si promuova la definizione di un piano energetico nazionale (PEN), anche con la partecipazione di esperti europei, che includa la fonte nucleare – che è sicura e rispettosa dell’ambiente e l’unica, come visto, in grado di affrontare responsabilmente gli obiettivi del Protocollo di Kyoto – e che dia alle fonti rinnovabili la dignità che esse meritano ma entro i limiti di ciò che possono realisticamente offrire;

che la comunità scientifica sia interpellata e coinvolta nella definizione del PEN e che si proceda alla costituzione di una task force qualificata per definire le azioni necessarie a rendere praticabile l’opzione nucleare;

che si interrompa la proliferazione di scoordinati piani energetici comunali, provinciali o regionali e che non siano disposte incentivazioni a favore dell’una o dell’altra tecnologia di produzione energetica al di fuori del quadro programmatico di un PEN trasparente e motivato sul piano scientifico e tecnico-economico.

Restiamo a Sua disposizione, Signor Presidente, per documentarLa puntualmente su quanto affermiamo.

Presidente:

Renato Angelo Ricci

Consiglio di Presidenza:

Franco Battaglia
Carlo Bernadini
Tullio Regge
Giorgio Salvini
Umberto Tirelli
Umberto Veronesi

Consiglio Direttivo:

Cinzia Caporale
Giovanni Carboni
Maurizio Di Paola
Guido Fano
Silvio Garattini
Roberto Habel
Corrado Kropp
Giovanni Vittorio Pallottino
Ernesto Pedrocchi
Francesco Sala
Gian Tommaso Scarascia Mugnozza
Paolo Sequi
Ugo Spezia
Giorgio Trenta
Giulio Valli
Paolo Vecchia

Altri firmatari:

Claudia Baldini
Argeo Benco
Ugo Bilardo
Giuseppe Blasi
Paolo Borrione
Cristiano Bucaioni
Luigi Chilin
Raffaele Conversano
Carlo Cosmelli
Riccardo DeSalvo
Silvano Fuso
Oliviero Fuzzi
Giorgio Giacomelli
Renato Giussani
Luciano Lepori
Carlo Lombardi
Alessandro Longo
Stefano Monti
Antonio Paoletti
Salvatore Raimondi
Marco Ricci
Roberto Rosa
Angela Rosati
Massimo Sepielli
Elena Soetje Baldini
Roberto Vacca
Giuseppe Zollino

Se la classe politica non è all'altezza. Egidio Sterpa

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=169878&START=0&2col=

La vicenda Telecom mette in evidenza la piccineria e l'ingordigia della politica.

venerdì 6 aprile 2007

Il tesoretto della vergogna. Carlo Pelanda

Il governo ha orgogliosamente comunicato che ha già realizzato una trentina delle oltre 350 misure contenute nella Finanziaria. Non c'è vergogna per aver approvato una legge di bilancio surreale, depressiva e piena di opacità. Ricorderò qui i motivi per cui dovrebbe, invece, vergognarsi sperando che servano ad evitare analoga catastrofe per la Finanziaria 2008.

Proprio nell'anno, il 2006, in cui le entrate sono aumentate di circa 38 miliardi più del previsto, un'enormità equivalente a quasi 2,5 punti di Pil, il governo ha aumentato di quasi il 2% la pressione fiscale complessiva. È un evento da storia dell'economia. Ma non è finita. Proprio nel momento in cui la Banca centrale europea annunciava un sensibile aumento del costo del denaro, e quindi dei mutui a tasso variabile, in un Paese dove questi sono tantissimi, il governo non ha calcolato l'effetto di riduzione della capacità di spesa delle famiglie dovuto all'effetto combinato dei due drenaggi contemporanei. Non solo, ha anche aumentato le tariffe e parecchie tasse indirette. Esito: la gran massa del ceto medio ed operaio a stipendio fisso ha meno soldi da spendere. E ciò porta al fenomeno paradossale che stiamo osservando ad inizio 2007: recessione/stagnazione dei consumi pur in presenza di una crescita relativamente buona del Pil.

Governo e sindacati ora cercano di metterci una toppa dando soldi in più agli statali il cui potere d'acquisto è, in effetti, sceso a livelli paurosi. Ma l'adeguamento contrattuale risolverà poco oltre a pesare sulla spesa pubblica. Il modo sano per la ricapitalizzazione di massa e per rivitalizzare la crescita interna via aumento dei consumi è quello, semplicemente, di ridurre le tasse per liberare capitale. Ed è urgente farlo, appunto, per correggere l'effetto depressivo della Finanziaria. Non a caso la Banca centrale italiana ha fatto un appello nella stessa direzione. Bisogna aggiungere che la capacità di spesa media degli italiani era già sotto stress da tempo per i salari generalmente troppo compressi e per il tragico errore di aver accettato, nel 1997, un cambio lira/euro che scontava la crisi svalutativa del passato (1992-95) e non il miglioramento prevedibile nel futuro. Così, tradotti in euro, i salari degli italiani sono risultati inadeguati al costo della vita che, per giunta, intanto aumentava. In sintesi, in un'Italia con il problema strutturale di poca capacità di spesa delle famiglie a salario fisso, il governo, invece di ridurre le tasse in un periodo in cui il buon gettito lo permetterebbe, le alza (2007) e minaccia di non farle scendere nel 2008.

giovedì 5 aprile 2007

GRAZIE Emma

ERITREA: AL BANDO LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI.
MULTA O CARCERE PER CHI NON LE DENUNCERA' ALLE AUTORITA.'

Asmara, 5 apr. (Adnkronos/Dpa) - Il governo eritreo ha deciso di considerare fuorilegge le mutilazioni genitali femminili che rappresentano un rito di passaggio dall'infanzia all'eta' adulta di una significativa maggioranza di donne. Contro tali pratiche il governo del piccolo Paese del Corno d'Africa non aveva mai prima d'ora preso posizione con una legge che e' stata varata lo scorso 31 marzo, secondo quanto precisa una nota del ministero dell'Informazione di Asmara.

Rossi, occasione persa. Davide Giacalone

Guido Rossi è stato chiamato alla presidenza di Telecom Italia da Marco Tronchetti Provera, oramai al culmine dei suoi errori e quando le ruote non rispondevano più allo sterzo. Quel giorno ho previsto una futura rottura fra i due, ma mettendo nel conto le dimissioni di Rossi, non il suo licenziamento.
Insediato alla presidenza Rossi tenne con sé il gruppo dirigente ereditato da Tronchetti, limitandosi a chiedere a Buora di scegliere fra Telecom e Pirelli. La dottrina Tronchetti venne, però, ribaltata. Un esempio per tutti: Tim Brasile era in vendita, acquirente America Movil, e si decise invece di conservarla. I contrasti crebbero quando il socio di riferimento ha tentato e ritentato di vendere la baracca senza neanche consultarne gli amministratori, ed all'ultimo consiglio d'amministrazione fu la proprietà ad essere messa in minoranza. Ma poi accadde che gli stessi che avevano votato per la linea Rossi ci abbiano ripensato, inviandogli una lettera di sfiducia. A quel punto si era all'inedita situazione di una società quotata con in minoranza sia il presidente che il socio di maggioranza relativa.
Adesso che Tronchetti ha scaricato Rossi qualcuno dirà, con il solito cinismo artefatto, che “i quattrini contano” e la proprietà reclama i suoi diritti. Si dirà che questo è il mercato. Ma è qui che sta l'errore ed il trucco: Olimpia, quindi Pirelli e Benetton, non sono affatto i proprietari di Telecom, ma i depositari di una rendita di posizione resa possibile dall'inconsistenza delle autorità di controllo, Consob in testa, e dall'insipienza della politica. Tronchetti continua a trattare Telecom come se fosse roba sua, mentre Olimpia, stracarica di debiti, ne possiede meno del diciotto per cento. Ai diritti del rimanente ottantadue, in tutti questi anni, non ha provveduto nessuno. Con l'aggravante che tanta impunità rende oggi possibile un passaggio all'estero del controllo senza che neanche Telecom sia venduta. Non è allo straniero che ci si deve ribellare, ma agli italiani che hanno consentito questa roba.
Non è un mistero che Rossi, dalla presidenza, ha lavorato e lavora ad una cordata alternativa ad Olimpia. Il che, ancora una volta, non risponde alle regole del mercato, ma alle sue storture, agli sgorbi che si edificano quando le fondamenta sono sbilenche. Ora Rossi, che resterà al suo posto almeno fino all'assemblea, rifletta sul fatto che lui è cancellato dalla lista di Olimpia mentre Buora e Ruggero sono confermati, rifletta, come segnalavamo appena tre giorni fa, sul fatto che l'unico estraneo a quel vecchio gruppo dirigente, responsabile di non pochi guai e quanto meno incapace di vigilare sulle devianze interne, è accompagnato alla porta, e ci dica se non avevamo ragione a ripetere che, se le regole avessero ancora cittadinanza, sarebbe stato giusto e saggio promuovere un'azione di responsabilità nei confronti della passata (in gran parte presente e forse anche futura) dirigenza.
Leggo di diversi esponenti della sinistra, anche uomini di governo, che ricordano, adesso, che ci sono inchieste penali assai gravi che pendono sul capo di chi ha diretto Telecom, al punto da sconsigliare agli stranieri di comprare (sempre Olimpia) e da ipotizzare un improponibile ritiro della concessione (che neanche esiste più). Eccola, avvocato Rossi, la patologia penale di un Paese dove si vive, e si muore, d'inchieste senza processi. Ma è proprio l'incapacità delle società di mettere in circolazione gli anticorpi a far sì che l'infezione dilaghi. Lei lo ha scritto, in passato, ma ha perso una bella occasione per dar corpo a quelle pagine.

mercoledì 4 aprile 2007

La cultura di destra c'è. Angelo Crespi

http://www.ildomenicale.it/editoriale.asp

Le considerazioni del direttore del Domenicale a proposito dei giornalisti del Corriere della sera.

Telecom: Prodi e Bersani nel pallone, a sinistra c'è chi spera in Berlusconi. Carlo Panella

Andrà a finire che il centrosinistra unito chiederà a Berlusconi di salvare la patria e di comprare Telecom. Non è uno scherzo, ma neanche una previsione, è solo una sensazione ampiamente motivata dall’aria che spira nelle tormentate stanze del centrosinistra che da 9 anni si occupa –sempre peggio- di Telecom, che ha favorito irresponsabilmente con D’Alema a suo tempo le più avventate manovre speculative di Colanninno e Gnutti, che è inciampata nel “caso Rovati” e che oggi non sa bene a che santo votarsi. Mentre Di Pietro, Diliberto, Bertinotti e Pecoraro invocano l’interventismo dello Stato, magari “a tutela dell’occupazione”, con la solita confusione di testa tra sindacalisti e economisti, Prodi dà la netta impressione di non sapere bene che fare e di essere travolto, ancora una volta, dagli avvenimenti. La manovra bancaria è sfumata e ora il rilancio operato da Tronchetti rischia di trasformare la controfferta per superare la valutazione delle azioni degli americo-messicani, in una gara al rialzo.
Ma l’Unione non può permettere certo che –Prodi e Ulivo regnanti- gli “amerikani”, straodiati da buona parte della sua base elettorale, mettano le mani sulle nostre telecomunicazioni. Il problema però, è che né Prodi, né Bersani, hanno lavorato nei mesi scorsi all’unica opzione alternativa possibile, quella europea, per la semplice e sporchetta ragione che non hanno rapporti e legami –stile Unipol o Bazoli, per intenderci- con nessun gruppo continentale e quindi hanno puntato tutto sul pool di banche, con evidenti ritorni personali di potere per il loro sempre più urgente progetto di “Iri personale”. Ma le banche, oltre a avere problemi sulla valutazione delle azioni, hanno anche il drammatico problema di non sapere minimamente gestire industrialmente Telecom e una loro vittoria aggraverebbe straordinariamente la “patologia finanziaria” di cui telecom soffre dal 1999, a causa proprio della dissennata privatizzazione pilotata da D’Alema nelle mani di speculatori non industriali..
L’unica alternativa nazionale seria, dotata di capitali adeguati e di know how industriale è dunque Fininvest, magari con un qualche patto o raccordo col gruppo De Benedetti. Ma se così fosse, se i due avversari fossero chiamati a “salvare la patria”, sarebbero evidenti le ricadute politiche. L’uno e l’altro infatti hanno chiare e specifiche strategie di potere. E non è affatto detto che non siano componibili. Una Grosse Koalition tra Mediaset e Repubblica, in fondo, non sarebbe certo peggiore di questo governo sgangherato che un Gino Strada qualsiasi può permettersi il lusso di insultare a sangue (“Un governo di servi e di vigliacchi”, l’ha definito ieri), senza che nessuno gli risponda.

Lettera dal Lussemburgo. MatteoC

Ciao PT,
Saro’ civile stavolta. Ma anche tutt’altro che breve.

Che ne so io della scuola? Mia madre insegna filosofia e storia al liceo classico da 35 anni, la piu’ importante delle mie ex ragazze anche, e io pure ne sono uscito dopo aver fatto bella figura in tutti i concorsi possibili.
Stranamente mia madre è tutt’altro che di sinistra, ma non si presenta a scuola con l’Unità come molti altri.

Detto questo, mi accusi di buttare paroloni a caso. Forse hai ragione. La mia retorica si è un po’ arrugginita, perché poi ho studiato economia.

Ringrazio Dio ogni giorno di questa scelta, e non solo perché se avessi fatto lettere avrei passato quattro anni in un inferno di zecche strafatte di canne, straccione e aggressive.

Ma soprattutto perché adesso non sarei quadro nella banca svizzera piu’ importante del mondo, sede lussemburghese, non parlerei tre lingue (inglese e francese, non ci metto il tedesco, perché non riesco ancora a sostenere una discussione di lavoro), e non avrei comprato due case da dicembre 2006 ad oggi, una a Bratislava (perché, per tornare al discorso tuo, per le marchette preferisco le slovacche alle liceali che in genere sono imbranate, sboccate e truccate malissimo) e l’altra a Treviri, in Germania, perché non essendo stata bombardata in guerra, si trovano ancora delle belle case liberty in centro coi soffitti alti alti e i bei finestroni che facevano una volta.

Perché ti dico tutto questo? Perché forse hai ragione, per il lavoro che faccio dovrei davvero votare Prodi: lui è il nostro salvatore, il nostro socio di maggioranza.

Una parola sua, o meglio ancora di Bertinotti, ci porta milioni di euro. Da aprile ad oggi i miei colleghi dell’Italian Desk hanno sorrisoni che Berlusconi in confronto è Pierrot piangente. Con lo scudo fiscale di Silvio ce la siamo passata davvero male, e infatti il numero di banche in Lussemburgo è passato da 200 circa a 174 dal 2002 al 2006 (dati sul sito CSSF.lu, la Consob lussemburghese), ma da aprile i rubinetti si sono riaperti.

Tu davvero credi che tutte le bertinottate di redistribuzione del reddito, di tassa sui BOT, di imposizione sui capital gains, di accisa sugli interessi, di European Savings Directive faccia piangere i ricchi?

Andiamo! Per i piccoli risparmiatori, questo si’, è terribile, perché non possono permettersi di pagare le nostre commissioni di tenuta conto e servizi vari (fino all’1% annuo); ma i ricchi veri, quelli non piangono mai. Perché ci siamo NOI.

Ci sono i miei colleghi di Products & Services, pagatissimi per sfornare prodotti che scivolano dalle maglie delle vostre trovate, vere reti contro natura che stritolano la sardina e lasciano passare lo squalo.

E piu’ voi serrate le maglie con interventi liberticidi, piu’ impoverite i poveri e arricchite i ricchi. Ma del resto, non lo diceva anche Gesu’ Cristo “a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha?” Bravi, ci siete riusciti. Solo che Cristo parlava di spirito, voi ammazzate panettieri e idraulici.

Siamo noi gli angeli custodi degli squali. Siamo noi ad avere paura di Berlusconi. Perché lui sa come ragioniamo, ha fatto affari con noi tutta la vita, e sa cosa ci fa male.Ma ho un cuore, una coscienza anch’io, e posso permettermi di fare il sepolcro imbiancato, votare Berlusconi e godermi i bonus di Prodi...Tanto, detto tra noi, prima che il mio datore di lavoro vada a puttane, deve suonare la settima tromba dell’Apocalisse.

Credi che i gruppi editoriali dei giornali con l’anima bella che leggi tu non abbiano le loro strutture complicatissime quassu’? AH AH AH AH – scusa, all’inizio quasi non ci credevo neanch’io.

Quindi: chi ha pochi soldi, diciamo fino a 100 000 euro (quindi pensaci bene, i tuoi genitori, i tuoi nonni), non puo’ venire quassu’ e si fa massacrare dalle tasse. Chi ha i milioni fa una bella holding qui, le intesta le obbligazioni, le obbligazioni pagano interessi alla holding, poi la holding paga i dividendi che NON sono assoggettati alle vostre tasse, e sono tutti contenti. Il socio della holding, i revisori dei conti che sono pagati ogni anno per fare la revisione delle holding (ero revisore fino a 9 mesi fa), e le banche che domiciliano la holding.

Detto questo, ci siamo insultati. Ci siamo azzuffati. Non me ne pento e non chiedo scusa, perché per entrambi è stato bello. Ma ogni bel gioco dura poco, e non voglio continuare su questo tasto, la scurrilità è divertente per 4 e-mail, dopo diventa di una nullità esasperante.

Dici che sono un deficiente che butta paroloni, e quindi, ad abundantiam, che sono un superficiale.

Ma la mia vita l’ho fatta anch’io. Ho 29 anni e 3 mesi, pochi lo riconosco, ma ho già lavorato a Roma, a Londra, a Bruxelles e in Lussemburgo. E’ dura. Ogni volta una lingua diversa, giornali diversi, colleghi diversi, mentalità diverse, giornali diversi, indirizzi diversi, pietanze diverse.

E’ dura vedere mamma 3 volte l’anno, e da dieci anni è cosi’; e’ dura scopare in un’altra lingua e lavarsi il culo nel lavandino perché il bidet non c’è. E’ dura ogni volta dover imparare come si dice “motorizzazione civile”, “ufficio immigrazione” (anche se, lo ammetto, l’immigrazione coi soldi ha i suoi lati positivi), “aspirapolvere”, “letto”, “armadio” eccetera…Specie per me che detesto l’IKEA, preferisco i legni duri (noce, ciliegio, castagno) alle schifezze di abetaccio impiallacciato scandinavo.

Tutto questo per dire che da parte mia, m’impegno ad abbassare il tono della discussione; ma sinceramente, che TU dia a me del DEFICIENTE, senza conoscermi e sulla base di una non meglio identificata superiorità morale, mi spiace ma e’ TROPPO FACILE.

Non so cos’è che anima la tua acredine, certamente il risentimento ha la sua bella responsabilità, ma il solo fatto che voialtri gridiate piu’ di noi non significa niente. NIENTE.

Noi non urliamo perché il nostro tempo preferiamo passarlo a costruire case, famiglie e ricchezze, bere e scopare, guidare belle macchine e ascoltare bella musica nell’amplificatore Marantz di ferro da otto chili, ma tutti i nostri hobby CE LI SIAMO PAGATI, STUDIANDO E LAVORANDO COME BESTIE, senza sabati in discoteca e domeniche di doposbronza, senza mesi di occupazione, senza comizi politici e senza vetrine rotte e senza tutte le belle cose che animano le adolescenze vuote e banali e senza Dio di molti.

E voi non ce lo prenderete. Vi piacerebbe, ma non lo avrete mai.

Perché se davvero pensi che qualunque politica redistributiva che non sia basata sulla meritocrazia e sulla libera impresa possa dare qualche frutto, allora davvero fai bene a passare il tuo tempo a rosicare sui siti di centrodestra, a insultare persone che non potrai mai ferire nel cuore, per quanto violento e bestiale l’attacco possa essere.

Perché - e qui ipotizzo, capo se mi sbaglio dillo - Maurom ha fatto si' questo sito, ma la sua vita ha anche ALTRO, e se non t'ha ancora cancellato e ti lascia sbraitare vuol dire che coi tuoi insulti beceri ci si fa un bello shampoo tonificante allo scroto (o almeno, è quello che mi farei)

Quanto a noi e alla nostra anima stai tranquillo, facciamo molto piu’ noi con la beneficenza in chiesa, o adottando bambini in India, di tutti i soldi che scucirete mai voi tra un festival dell’Unità e un sit-in di solidarietà.

Se poi volessi cambiare il tono degli interventi sul post, for the sake of kindness, politeness and humanity, ben venga, avrai in me un interlocutore attento e oggettivo come non sono mai stato finora.

Scusa, Mauro, per l’articolessa…Per uno che fa della sintesi il bene supremo, stavolta sono andato davvero fuori dal vaso.

Va là, PT, che nessuno m'aveva mai fatto perdere tanto tempo, quasi m'hai fatto affezionare, hai visto mai che ti offriro' da bere un giorno...Le vie del Signore sono infinite.

martedì 3 aprile 2007

Telecom e la debolezza morale. Davide Giacalone

Gattini ciechi, ed irresponsabili, al governo. Per la faccenda Telecom Italia sono “sconcertati” (Bersani), “preoccupatissimi” (Gentiloni), desiderosi di “reagire” (Di Pietro), ma si sono dimenticati che la colpa è del loro presidente del Consiglio, Romano Prodi, e del loro collega agli esteri, Massimo Dalema.
Il primo, nel 1997, garantì che nessuno, mai, avrebbe controllato più del 3% della società, che sarebbe stata un public company, il secondo, nel 1999, tirò lo sciacquone sulla garanzia, favorendo la vendita a società lussemburghesi. I signori oggi sconcertati, preoccupati o reagenti se ne stettero zitti, siedono oggi al governo con i responsabili, e non si vede dunque di cosa si lamentino. Ma il problema non sono i loro miagolii inutili, il problema è Telecom, l'opacità che la avvolge, le deviazioni che ne promanano.
Daniele Capezzone dice che la politica non deve intromettersi, si deve lasciar fare al mercato e non si deve avere paura dello straniero. Aggiungo che lo straniero potrebbe essere un bene, se sarà capace di segnare una rottura gestionale, avvierà le azioni di responsabilità che i connazionali s'impauriscono a promuovere, romperà i legami con l'editoria relazionale e non ricorrerà allo spionaggio ed alla diffamazione. Lo straniero sarebbe un bene se desse una lezione al capitalismo asfittico di finanzieri alla ricerca di rendite, se spiegasse che è scandaloso un mercato azionario nel quale il più pagato degli amministratori (Carlo Buora) è il responsabile di due società che vanno malissimo. Ma, mio caro Daniele, non è questo che Tronchetti Provera ha annunciato alla stampa presentando il suo ennesimo compratore estero e per l'ennesima volta influenzando il valore delle azioni. Americani (At&T) e messicani (America Movil), oggi di turno, non sono candidati ad acquistare Telecom Italia, che andrebbe benissimo, ma a divenire soci di Tronchetti Provera in Olimpia. Che è una porcheria.
Ciò è possibile, lo dicevo e lo ripeto, per colpa di Prodi e Dalema, ma anche perché nel nostro Paese non funzionano le autorità di garanzia e controllo. La Consob non ha fatto il suo dovere e chi oggi comprasse il 18% di Telecom in Borsa rischierebbe di essere costretto ad un'Opa cui non si costrinse Olimpia, il che crea una rendita di posizione nelle mani di Pirelli e Benetton, ma mette in evidenza un difetto strutturale del nostro mercato. L'Agcom osserva silente il mercato dell'operatore mobile virtuale, dove in opacità assoluta valgono solo gli accordi fra gruppi (con le Coop che si accordano con Tim, memori degli ottimi affari di Consorte) anziché le regole del mercato e della concorrenza. La magistratura penale procede, ma con infinita lentezza. In queste condizioni l'investimento estero non sarebbe su un mercato in sviluppo (che andrebbe bene), ma sull'arretratezza istituzionale e politica (che è un male).La politica che frigna sulla “rete” mostra di non sapere nulla delle moderne telecomunicazioni, giacché, semmai, sarebbe da cogliersi l'occasione per destrutturarla, aprendo il mercato alla larga banda senza fili ed a nuovi concorrenti. Quella politica sta difendendo le tlc di venti anni fa, ed è con la testa indietro di quaranta che tifa per le banche, secondo lo schema Iri che, del resto, ha dato alla vita Prodi. Il quale Prodi è più furbo e ha dato il via libera a Tronchetti Provera, senza neanche informare i suoi agitati e preoccupati ministri.
In tutto questo non mi stupisce o scandalizza l'abilità manovriera di questo o di quello, ma l'assenza di anticorpi, l'assenza di voci forti che indichino l'imbroglio e non tacciano le responsabilità. Mi preoccupa una stampa che ancora ammira le trovate del padrone che ha fallito. Questi sono i sintomi di un Paese impoverito moralmente, incapace di etica pubblica, dove passano per stravaganti le poche schiene dritte.

domenica 1 aprile 2007

L'Università azzoppata dalla sinistra. Gaetano Quagliariello

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=168031&START=0&2col=

I docenti e gli studenti di sinistra hanno portato alla sclerosi dell'Università.