Un lettore di Repubblica scrive al quotidiano dicendo che pur essendo lui progressista e di sinistra (ricordate la puttana cantata la Lucio Dalla?), pur essendosi battuto contro lo spostamento dei campi nomadi, pur avendo declamato le parole dell'accoglienza e dell'assimilazione, ora ne ha le tasche piene di zingari che rubano, immigrati che si comportano con violenza, violazioni continue ai danni dei cittadini comuni, e si preoccupa, il poveretto, d'essere diventato razzista. Si rassicuri: lui, e quelli come lui, razzisti lo sono sempre stati, non lo sono diventati.
Io no, non sono razzista, non concepisco alcuna forma di discriminazione, mi ripugna ogni sottolineatura delle differenze, anche per credi religiosi. Non penso affatto che noi si sia tutti uguali, ma lo siamo (o dovremmo, per la precisione), tutti, davanti alla legge, che è poi un modo per dire che lo siamo nel convivere civilmente. Quindi, se si dice “zingaro” a me non viene in mente “ladro”, e per accogliere gli zingari non penso affatto che si debbano tollerare i ladri. Gli zingari sono nomadi? Buon pro faccia loro. Ma se si fermano nel mio Paese ne devono accettare le regole: i bambini vanno a scuola, i ladri in galera. Non sono stato io a suggerire loro il nomadismo, per cui se si fermano da noi non provvedo a mie spese a farli alloggiare (ricordate gli zingari alloggiati negli alberghi “con il televisore ed il frigobar”, cantati da Gaber?), ma se lo desiderano possono inserirsi nel nostro tessuto civile, nel nostro mondo del lavoro, accettandone tutte le condizioni. E se non lo desiderano? Buon viaggio.
Io non credo che i senegalesi siano spacciatori, i rumeni papponi e mignotte e così via. Credo, però, che se continueremo a tollerare l'ingresso di un'umanità irregolare e disperata, che appena mette piede in Italia ha il primo dovere di saldare il debito con i criminali che hanno organizzato la loro transumanza, è evidente che continueremo a metterci in casa una vasta manodopera criminale. Quindi io vorrei fare entrare tutti quelli che mi servono e che posso ospitare, ma il loro status non è ancora quello di miei concittadini e, pertanto, alla violazione delle regole s'accompagna l'immediata espulsione.
Non credo proprio che l'essere extracomunitario significhi una qualche maggiore vicinanza alla devianza ed al crimine, ma so che, statisticamente, fra questi esseri umani si concentra una maggiore percentuale di devianti e criminali. Questo significa che difetta la nostra capacità di far rispettare le leggi e punire i colpevoli, significa che accumuliamo sacche di extraterritorialità che poi esplodono zozzando la realtà circostante. E se dico che a tutto questo si deve porre fine non mi sento razzista manco per niente, perché non penso che quella criminale sia una caratteristica personale, o razziale, delle persone che ospitiamo, ma una degenerazione del modo in cui li facciamo entrare.
Certo, capisco il disagio di chi ha sfilato dietro ai tamburi colorati, estasiato per la diversità culturale, ha abbracciato le giovani venute dall'est, ammirato per la libertà dei costumi, ha mostrato rispetto per le fedi, nascondendosi davanti a costumi barbari come l'infibulazione, s'è commosso per gli zingarelli, dicendo insensatezze sul popolo che viaggia con il vento, e ora si ritrova circondato da bande, puttane, sfregiatori di bambine e pure senza il portafoglio. E ora si domanda: sarò diventato razzista? No, sei solo uno che s'è raccontato un sacco di balle, e ora i conti non gli tornano più.
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