Il filosofo Pierre Manent ci spiega perché domenica i francesi hanno scelto di contravvenire alla vulgata dei mass media e alle ingiunzioni dei partiti e hanno votato per “l’impresentabile”
Parigi. Esulta Pierre Manent, storico del liberalismo, della ragione della nazione. Anche lui era uno di quelli che si aspettavano un terremoto. E il terremoto c’è stato. Il 6 maggio segna in Francia un cambiamento politico profondo. Ecco perché: “Il sistema era paralizzato, da quando avevano preso piede le monarchie mitterrando-chiracchiane. E in particolare nell’ultimo periodo la democrazia era arrivata a una paralisi perché il voto popolare, con le stesse presidenziali, con Le Pen in ballottaggio nel 2002, con il referendum antieuropeo nel 2005, non aveva sortito alcun effetto”. Il sistema, dice Manent, era rimasto immutato, e questo alimentava la frustrazione popolare. “Il voto di domenica cambia tutto. Cambia innanzitutto il personale politico, con una nuova generazione di cinquantenni pragmatici, proiettati nell’azione e sui risultati. Ma soprattutto cambia il voto degli elettori, perché si oppone a tutto quello che gli avevano detto di fare”. Manent, che è un filosofo della politica educato al realismo da Raymond Aron, sa di cosa parla. Quello che più lo ha colpito di queste elezioni, “è la mobilitazione della classe dei mass media e della politica, per continuare a dire al popolo cosa deve fare. Ora però, per la prima volta nella storia della democrazia francese, il popolo ha votato secondo le sue convinzioni: ha scelto di eleggere presidente l’uomo che veniva rappresentato come il nemico pubblico numero uno, Sarkozy”. E’ questo secondo Manent il dato inedito delle presidenziali 2007. “Abbiamo assistito a una campagna mediatica incredibile, a una pioggia di appelli e petizioni contro Sarkozy, contro la minaccia di un nuovo fascismo. Abbiamo sentito annunciare rivolte, disordini, violenze. I francesi però non si sono lasciati intimidire. Hanno scelto contravvenendo alle ingiunzioni della classe politica. Stavolta dunque la ‘rivolta elettorale’ non sembra essere sterile e fine a se stessa, come nel 2002 e nel 2005, perché ottiene un risultato, legittima cioè con la volontà popolare la possibilità di un cambiamento politico maggiore”.
E’ la prima volta che succede, secondo Manent. Un caso inedito al quale si aggiunge l’altra novità della vittoria della destra senza complessi. “Per la prima volta un uomo di destra che si è sempre presentato come tale, elaborando un programma di destra, viene ad essere eletto senza doversi mascherare da uomo di sinistra”. Una prima assoluta, in un paese di antica tradizione rivoluzionaria come la Francia. “La destra in Francia – dice Manent – non è mai stata eletta in nome proprio, ma ha sempre avuto bisogno di porsi sotto la protezione di qualcun altro, il re, Napoleone, il secondo Impero, De Gaulle. Ora con Sarkozy, per la prima volta, si vede un politico che arriva al potere da destra e in nome della destra”. E’ per questo che è stato tanto demonizzato dalla sinistra? “Certo, perché era un uomo di destra e in Francia, prima di oggi, veniva considerato impossibile essere davvero di destra. Chirac, per esempio, l’aveva capito benissimo visto che ha finito la sua carriera politica come un radicale di sinistra, ostinandosi a spiegare ai suoi elettori che liberalismo e comunismo in fondo sono la stessa cosa, dopo aver diretto la politica francese delegittimando la destra. La novità di Sarkozy, in questo senso è notevole.
Che dire allora di quelli che lo giudicano un bonapartista fuori tempo massimo o un gollista in ritardo? “Non accettano l’idea che un uomo politico di destra possa essere eletto dal popolo, senza un colpo di stato, senza l’aiuto delle baionette. E non si rassegnano”.(il Foglio)
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