Perché ci era piaciuto e ci piace l’uomo che ha cancellato Chirac dalla politica francese e battuto la gauche esausta e piena di niente. Ora ci deluderà, certo, ma fino a che punto?
Sembrava un candidato fatto apposta per noi, e lo era, Nicolas Sarkozy. Senso dell’autorità legittima (i casseurs non sono eroi postmoderni, sono racaille, feccia), istintiva antipatia per il correttismo ideologico sentimentale (in piedi, prego, quando entra l’insegnante), liberismo competente con robuste dosi di iniziativa strategica del potere pubblico (un fonctionnaire su tre che va in pensione non lo sostituisco), europeismo limitato nella pomposità e nella retorica dell’allargamento indefinito (la Turchia è Asia minore), attenzione alla nuova dimensione religiosa dell’esistenza politica (la gran legge massonica sulla laicità del 1905 va rivista), amore da immigrato per il modello americano e per Israele (che pena la Francia grandiloquente di Villepin all’Onu, l’inviato della politique arabe di Chirac). Ci piacevano anche i suoi tranquilli compromessi sui Pacs e sui criteri della vita e del morire, pur nel dissenso: Parigi val bene una messa, diceva Enrico IV. Ci piacevano soprattutto, a noi francofili costretti a sparare a palle incatenate contro la peggior Francia di tutti i tempi, i dodici anni della prostrata e opportunista chiracchia, l’abilità e la tenacia con cui aveva costruito – contro il presidente in carica e il suo attendente – il primo Sarko, lo sfidante dell’establishment veterogollista, sapendo a tempo lasciare il passo al secondo Sarkozy, il candidato, il gestore di una dura campagna elettorale in cui dovevano alternarsi prefigurazione, rottura e rassicurazione. Ci era piaciuta la sua capacità di governare la politica del suo paese da destra e da sinistra, in forme radicali e conservatrici, una destra senza complessi ma senza autarchie culturali. Per questo lo abbiamo scovato a tempo nella cronaca politica francese, lo abbiamo seguito, ritratto in ogni suo aspetto, e abbiamo tifato onestamente per lui, cercando di capire questo fenomeno nuovo della politica francese ed europea.
Felici di un risultato indiscutibile, ora cercheremo di raccontarvi il terzo Sarkozy, il presidente, per capire fino a che punto ci deluderà, visto che il potere delude sempre chi ne sappia valutare l’importanza e il significato, e fino a che punto determinerà un nuovo slancio per le idee che ci stanno a cuore.
Ségolène Royal ha perso, e anche la sua sconfitta è indiscutibile, è sua e non solo sua, è una nuova tragica rivelazione per la gauche nel paese che ha inventato la “sinistra”. Come Jospin, come gli elefanti del suo partito che ha battuto nelle primarie in nome delle sue possibilità di vittoria declinate nel segno della novità e della femminilità della candidata, la Royal ha perso perché era indecisa a tutto. Blair ha presieduto a un grande ciclo della sinistra britannica, senza vergognarsi di ereditare e correggere il thatcherismo, e fungendo da secondo pilastro della difesa dell’occidente dall’attacco islamista. Chiaro. Zapatero ha improvvisato contro una destra seria ma triste, e con l’aiuto di un attentato gestito con sapienza mitica nella campagna informativa verdad y paz, una miscela di radicalismo progressista e di cinico liberalismo che è tutta legata alla vivace situazione di mentalità della Spagna in rapida trasformazione, l’eterna movida. Ma lei, intesa come Ségolène, come la gauche? Mezze misure, retorica sentimentale, prima mammismo e poi viraghismo, la totale esclusione di idee forti e sincere dal campo di battaglia, patti e programmi e modalità di raccordo con il centro del povero Bayrou che la logica di ferro della Quinta Repubblica ha spazzato via (un pensiero deferente a quel genio europeo che risponde al nome di Charles de Gaulle). Una gauche che si riduce a una congrega di anime belle, sempre in attesa di un miracolo che la liberi fideisticamente dal cattivo di turno, dall’uomo nero che prepara autoritarismo e disordine costituzionale, sfruttamento e spietata amministrazione di interessi di mercato; perfino in Italia sono riusciti a infilare una falsa vittoria, un falso governo e forse un falso partito, che sarà diretto da un impiegato coordinatore al posto di Prodì, Prodì, il leader inutilmente convocato a comizio dalla Royal per dimostrare che Sarko era come Berlusconì, un cavaliere del male. Spiace non poter dire che è stata una bella battaglia, ma è stata almeno una bella vittoria.
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