Per come si porta in Afghanistan, l’Italia può diventare un albergo.
Siamo felici come tutti per il rilascio di Daniele Mastrogiacomo, che ha passato 15 giorni in catene e adesso è restituito alla gioia della libertà, però ci sentiamo in obbligo di riflettere sui costi che comporta questo tipo di presenza italiana nel teatro della guerra al terrorismo. Tanto più che, come avvenne in altri casi, nel clima limpido della festa si inseriscono qualche sporcizia ideologica, omissioni che parlano, esempi di cattivo gusto. La storia del rapimento del giornalista di Repubblica non è una favola a lieto fine di cui compiacersi, rilanciando da destra a sinistra e ritorno una quantità miserevole di complimenti per la trasmissione (con poche ma segnalate eccezioni).
Quella di Daniele è una tragedia, con il suo autista trucidato, con la vedova che abortisce per il dolore, e ben cinque comandanti militari di una formazione terrorista restituiti alla loro libertà di combattere contro tutto ciò che ci dovrebbe essere caro, in nome di un regime e di un’ideologia del terrore che hanno generosamente ospitato, finché non sono stati spazzati via dall’azione di guerra dei nostri alleati, benedetti dall’Onu e sotto il comando Nato, le basi di Osama bin Laden. In un solo caso, quello dei body guard addetti alla sicurezza, abbiamo accettato che la liberazione degli ostaggi avvenisse attraverso un’azione militare, per poi accogliere i reduci con facce meste o imbarazzate, e magari sputare sui resti di uno di loro, Fabrizio Quattrocchi, che aveva commesso la gaffe di dire una frase patriottica prima di essere fucilato su una duna sabbiosa. Giornalisti e operatori umanitari godono di maggior prestigio sociale, a quanto pare, dunque si pagano riscatti e si fanno scambi di prigionieri anche con bande che selezionano l’ostaggio da liberare dietro un prezzo cospicuo dopo aver ucciso quello inutile, l’autista-spia.
Bene, ma non ci vorrebbe un po’ più di sobrietà, e magari qualche visibile segno di imbarazzo, di fronte allo scioglimento di una tragedia che non è un happy end? Non si dovrebbe evitare di fare i complimenti, come Bertinotti, alla “diplomazia dei movimenti”? Non si dovrebbe distinguere tra operatori umanitari neutrali e ambasciatori dichiarati dei talebani presso la Repubblica italiana, come Gino Strada? Nessuno prova un po’ di ribrezzo per la trasformazione del rilascio di un ostaggio, pagato con un prezzo altissimo, in una festicciuola pacifista con il conforto delle più alte autorità? Per come ci comportiamo nella guerra al terrorismo, ieri in Iraq e oggi in Afghanistan, dovremmo ritirare le nostre tuppe d’urgenza, proclamare la neutralità italiana, uscire dalle alleanze internazionali di cui facciamo disonorevolmente parte, e mettere a capo del paese, trasformato in un Grand Hotel & d’Italie, in un resort per il turismo di lusso, una società di gestione commerciale, e forse anche un barman.
martedì 20 marzo 2007
lunedì 19 marzo 2007
Giallo sul "caso Sircana", hanno pagato per far sparire quelle fotografie. Gian Marco Chiocci e Gianluigi Nuzzi
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=164826&START=0&2col=
Nessuno tocchi Sircana, ma è meglio sapere come sono andate esattamente le cose.
Nessuno tocchi Sircana, ma è meglio sapere come sono andate esattamente le cose.
Chi è Cesare Battisti. Adnkronos
L'ex leader dei Pac Cesare Battisti, 52 anni, evaso da un carcere italiano nel 1980 e rifugiatosi in Francia 15 anni fa si era dato alla latitanza il 22 agosto 2004 per sfuggire a un'estradizione che vedeva sempre più vicina. Da tre anni, sulle sue tracce erano gli agenti francesi ed i carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale, che erano riusciti a localizzarlo in Sud America prima che facesse nuovamente perdere le proprie tracce. L'incontro con un esponente dei comitati di sostegno, che avrebbe dovuto consegnargli del denaro, è stato fatale all'ex ''primula rossa'', catturato dalla polizia brasiliana e dagli agenti venuti da Parigi insieme alla sua compagna.
E proprio a Parigi l'ex leader dei Pac, grazie alla 'dottrina Mitterand', si era rifatto una vita: abbandonata la lotta armata, si era dato alla scrittura, diventando un giallista di fama e pubblicando opere in cui proponeva alcune analisi sull'esperienza dell'antagonismo radicale, tra cui 'L'orma rossa', edito da Einaudi. Poi, però, quando l'aria era cominciata a farsi più pesante, Battisti aveva deciso di fuggire. A cambiare le carte in tavola era stato il parere favorevole all'estradizione dato dalla Corte d'appello di Parigi il 30 giugno del 2004. Poco dopo il presidente francese Jacques Chirac aveva fatto sapere che avrebbe dato il via libera all'estradizione nel caso in cui il ricorso in Cassazione presentato dai legali di Battisti fosse stato respinto.
''La dichiarazione di Jacques Chirac, due giorni dopo la decisione della Corte d'appello, è riuscita a togliermi ogni speranza'', aveva detto l'ex leader dei Pac nella lettera inviata agli avvocati Irene Terrel e Jean-Jacques de Felice per spiegare le ragioni della sua fuga. ''Di fronte al baratro, cosa mi resta?'', aveva scritto. ''Soltanto i miei figli e la sottile possibilità, un giorno forse, di potermi spiegare sulle mie responsabilità politiche e di tornare infine su quel passato che l'Italia vorrebbe, mi pare, seppellire per sempre, al prezzo di una contraffazione storica''.
''Non lascerò la Francia, non saprei farlo, è il mio paese e non ne vedo altri nel mio futuro'', aveva scritto Battisti, aggiungendo: ''Continuerò a battermi affinché sia resa giustizia all'uomo e alla storia''. Con la prigione a vita, trent'anni dopo i fatti, ''sarebbe la famiglia, i figli, altre vite a pagare'', aveva spiegato, sottolineando: ''Non posso correre questo rischio, non rivedere più i miei figli, il paese dove sono nati, l'idea mi risulta insopportabile''.
Pochi mesi dopo, il 23 ottobre 2004 il primo ministro francese, Jean Pierre Raffarin, aveva firmato il decreto di estradizione che costringeva l'ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo a scontare la propria pena in Italia. Contro il decreto nel novembre 2004 i legali di Battisti avevano presentato invano ricorso al Consiglio di Stato, che aveva al contrario convalidato il decreto nel marzo 2005.
Gli avvocati ci hanno poi riprovato poco più di un mese fa, presentando un ricorso presso la Corte Europea dei diritti dell'uomo di cui non si conosce l'esito. Pur riconoscendo di aver fatto parte dei Pac, Battisti si era sempre detto innocente. Arrivato in Francia nel 1990 dopo alcuni anni trascorsi in Messico si era appellato alla dichiarazione del presidente della Repubblica François Mitterand, che nel 1985 aveva promesso asilo agli ex militanti della lotta armata che avessero rinunciato alla violenza.
In Italia l'ex leader dei Pac era stato condannato a due ergastoli per quattro omicidi: in due di essi, quello del maresciallo Antonio Santoro, avvenuto a Udine il 6 giugno del '78, e quello dell'agente Andrea Campagna, avvenuto a Milano il 19 aprile del 1979, il terrorista sparò materialmente. Nell'uccisione del macellaio Lino Sabbadin, avvenuta a Mestre il 16 febbraio del '79, invece, Battisti fece da copertura armata al killer Diego Giacomini e, nel caso dell'uccisione del gioielliere Pierluigi Torregiani, avvenuta a Milano il 16 febbraio del '79, venne condannato come co-ideatore e co-organizzatore.
L'idea alla base di quel biennio di sangue, secondo quanto si appurò in seguito, era quella di colpire, oltre ad esponenti delle forze dell'ordine, i commercianti che si erano difesi durante i cosiddetti 'espropri proletari'. Proprio per questo nel mirino dei Pac finirono il macellaio di Venezia Sabbadin e il gioielliere di Milano Torregiani. In quest'ultimo caso, poi all'omicidio, si aggiunse un ulteriore tragedia: nel corso della colluttazione, il figlio del gioielliere, Adriano, venne colpito da una pallottola sfuggita al padre prima che questi cadesse, e da allora, paraplegico, è sulla sedia a rotelle.
E proprio a Parigi l'ex leader dei Pac, grazie alla 'dottrina Mitterand', si era rifatto una vita: abbandonata la lotta armata, si era dato alla scrittura, diventando un giallista di fama e pubblicando opere in cui proponeva alcune analisi sull'esperienza dell'antagonismo radicale, tra cui 'L'orma rossa', edito da Einaudi. Poi, però, quando l'aria era cominciata a farsi più pesante, Battisti aveva deciso di fuggire. A cambiare le carte in tavola era stato il parere favorevole all'estradizione dato dalla Corte d'appello di Parigi il 30 giugno del 2004. Poco dopo il presidente francese Jacques Chirac aveva fatto sapere che avrebbe dato il via libera all'estradizione nel caso in cui il ricorso in Cassazione presentato dai legali di Battisti fosse stato respinto.
''La dichiarazione di Jacques Chirac, due giorni dopo la decisione della Corte d'appello, è riuscita a togliermi ogni speranza'', aveva detto l'ex leader dei Pac nella lettera inviata agli avvocati Irene Terrel e Jean-Jacques de Felice per spiegare le ragioni della sua fuga. ''Di fronte al baratro, cosa mi resta?'', aveva scritto. ''Soltanto i miei figli e la sottile possibilità, un giorno forse, di potermi spiegare sulle mie responsabilità politiche e di tornare infine su quel passato che l'Italia vorrebbe, mi pare, seppellire per sempre, al prezzo di una contraffazione storica''.
''Non lascerò la Francia, non saprei farlo, è il mio paese e non ne vedo altri nel mio futuro'', aveva scritto Battisti, aggiungendo: ''Continuerò a battermi affinché sia resa giustizia all'uomo e alla storia''. Con la prigione a vita, trent'anni dopo i fatti, ''sarebbe la famiglia, i figli, altre vite a pagare'', aveva spiegato, sottolineando: ''Non posso correre questo rischio, non rivedere più i miei figli, il paese dove sono nati, l'idea mi risulta insopportabile''.
Pochi mesi dopo, il 23 ottobre 2004 il primo ministro francese, Jean Pierre Raffarin, aveva firmato il decreto di estradizione che costringeva l'ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo a scontare la propria pena in Italia. Contro il decreto nel novembre 2004 i legali di Battisti avevano presentato invano ricorso al Consiglio di Stato, che aveva al contrario convalidato il decreto nel marzo 2005.
Gli avvocati ci hanno poi riprovato poco più di un mese fa, presentando un ricorso presso la Corte Europea dei diritti dell'uomo di cui non si conosce l'esito. Pur riconoscendo di aver fatto parte dei Pac, Battisti si era sempre detto innocente. Arrivato in Francia nel 1990 dopo alcuni anni trascorsi in Messico si era appellato alla dichiarazione del presidente della Repubblica François Mitterand, che nel 1985 aveva promesso asilo agli ex militanti della lotta armata che avessero rinunciato alla violenza.
In Italia l'ex leader dei Pac era stato condannato a due ergastoli per quattro omicidi: in due di essi, quello del maresciallo Antonio Santoro, avvenuto a Udine il 6 giugno del '78, e quello dell'agente Andrea Campagna, avvenuto a Milano il 19 aprile del 1979, il terrorista sparò materialmente. Nell'uccisione del macellaio Lino Sabbadin, avvenuta a Mestre il 16 febbraio del '79, invece, Battisti fece da copertura armata al killer Diego Giacomini e, nel caso dell'uccisione del gioielliere Pierluigi Torregiani, avvenuta a Milano il 16 febbraio del '79, venne condannato come co-ideatore e co-organizzatore.
L'idea alla base di quel biennio di sangue, secondo quanto si appurò in seguito, era quella di colpire, oltre ad esponenti delle forze dell'ordine, i commercianti che si erano difesi durante i cosiddetti 'espropri proletari'. Proprio per questo nel mirino dei Pac finirono il macellaio di Venezia Sabbadin e il gioielliere di Milano Torregiani. In quest'ultimo caso, poi all'omicidio, si aggiunse un ulteriore tragedia: nel corso della colluttazione, il figlio del gioielliere, Adriano, venne colpito da una pallottola sfuggita al padre prima che questi cadesse, e da allora, paraplegico, è sulla sedia a rotelle.
giovedì 15 marzo 2007
Che cosa mi tocca fare. Christian Rocca
Mi tocca difendere Belpietro – direttore di uno dei giornali più brutti di tutti i tempi – pur non avendo letto il suo editoriale su Sircana e non avendo nessuna intenzione di leggerlo. Ma ho letto l'inqualificabile e, scusate la citazione, "schifoso" scritto del solitamente ragionevole (ma pur sempre un ex Manifesto) direttore di Europa, Stefano Menichini. Dunque. I nomi e le intercettazioni non si dovrebbero pubblicare, perlomeno nel modo in cui vengono pubblicati ogni giorno dal 1992 su tutti i giornali italiani (e il Giornale è quello che in questi anni ci ha marciato di meno). E' roba da paese incivile, quale siamo. Nel caso specifico: non è che gli altri non abbiano fatto i nomi e li ha fatti solo Belpietro. No. Gli altri hanno fatto tutti i nomi e hanno pubblicato tutto il solito schifo, come fanno regolarmente dal 1992, facendo sparire soltanto il nome di Sircana. Ecco, nello "schifo" generale, credo che abbiano fatto più schifo gli altri quotidiani. Anche perché, se anziché Sircana il nome fosse stato quello di Bonaiuti sarebbe accaduto esattamente l'opposto, naturalmente con Belpietro a protestare vivamente come fa oggi l'ex comunista Menichini.
PS
Scritto in disaccordo con Luca Sofri, il quale però mi pare in disaccordo con se stesso, visto che prima scrive di condividere l'articolo di Menichini e poi spiega perché non lo condivide affatto
PS
Scritto in disaccordo con Luca Sofri, il quale però mi pare in disaccordo con se stesso, visto che prima scrive di condividere l'articolo di Menichini e poi spiega perché non lo condivide affatto
Il cosmopolitismo al governo. Aurora Franceschelli
La sinistra si appresta ad istituzionalizzare la politica delle porte aperte: la prossima settimana approderà al Consiglio dei ministri il ddl delega di riforma della legge Bossi-Fini. L'Unione, così, aggiunge un altro mattone alle mura della sua cittadella rossa, una cittadella che, se da una parte si appresta ad essere eccessivamente permeabile a qualsiasi flusso migratorio, dall'altra si mostra impermeabile, e quindi piuttosto chiusa, alle esigenze dei suoi cittadini, vessati e penalizzati da una politica di vendetta sociale. Mentre i Paesi dell'Unione europea si stanno avviando sulla strada di politiche sempre più severe in tema di concessione della cittadinanza, attraverso un atteggiamento più selettivo in relazione ai flussi migratori e alla loro accoglienza, in Italia la sinistra di Prodi va controcorrente, preferendo investire sulla perpetuazione del suo potere attraverso una politica che si fonda sul principio di un garantismo sfrenato a favore degli immigrati.
La controriforma targata Amato-Ferrero, che dovrebbe soppiantare la Bossi-Fini, prevede infatti il voto attivo e passivo alle elezioni amministrative per gli immigrati che risiedono in Italia da cinque anni. Tale riforma, vista e considerata la crisi di consensi che ha investito il Governo Prodi, potrebbe costituire un volano elettorale, poichè gli immigrati rappresenterebbero un ottimo bacino di voti per sanare l'emorragia letale di consensi della coalizione di Prodi nel Paese. La nuova legislazione elaborata dalla sinistra potrebbe scardinare un sistema sociale, quello italiano, che già fatica a reggere il peso di uno sviluppo demografico che penalizza le giovani generazioni. La decisione di spalancare le frontiere potrebbe portare a delle spaccature insanabili, dovute all'insostenibilità di un sistema sociale che non reggerebbe alla forza d'urto di flussi migratori poco regolamentati.
La sinistra vive nella contraddizione di chi da una parte, per ragioni strategiche, mostra un volto buonista e solidale nei confronti degli immigrati e dall'altra, dietro la maschera dell'ideologismo multiculturalista, adotta una politica che non appare assolutamente ispirata al principio di solidarietà nei confronti dei propri cittadini. La normativa a cui sta lavorando l'attuale governo, a differenza di quanto statuiva la Bossi-Fini, che collegava l'ingresso legale degli immigrati all'esibizione di un contratto di lavoro, prevede che gli extracomunitari abbiano l'unico dovere, per entrare nel nostro Paese, di esibire il passaporto (non ci sarà più il contratto di soggiorno).
La riforma Amato-Ferrero prevede il mantenimento della cadenza triennale per la determinazione delle quote d'ingresso, che, in alcuni casi, potrebbero comunque essere riviste al rialzo. Sarà inoltre superata la quota prevista per gli ingressi relativi a quegli stranieri che lavorano negli ambiti domestici e di assistenza alle persone. Un'altra novità riguarda la reintroduzione dell'artificio giuridico degli sponsor, che fu introdotto dalla legge Turco-Napolitano: gli stranieri che arriveranno in Italia potranno avvalersi della garanzia economica costituita sia da privati cittadini sia da enti locali (in maggioranza rossi), associazioni volontaristiche e sindacati, che rappresenterebbero una sorta di sponsor istituzionale per gli immigrati. L'immigrato, poi, avrà anche la possibilità di autosponsorizzarsi attraverso una dote che presenterà nel momento in cui decide di entrare nel nostro Paese, dote che poi gli verrà erogata durante il soggiorno. Preoccupa, inoltre, il provvedimento che prevede di ridurre numericamente i Centri di Accoglienza Temporanea (CPT), che Rifondazione, prima o poi, vorrebbe addirittura tentare di eliminare del tutto.
La sinistra, attraverso la nuova normativa Amato-Ferrero, sta tentando di edificare uno Stato sociale che si faccia carico di garantire, in nome di un esasperato multiculturalismo, la tutela assoluta del diritto di ingresso nel nostro Paese. Lo Stato che caratterizza la visione politica dell'Unione sembra abbia più a cuore la necessità di garantire la sicurezza sociale agli stranieri piuttosto che ai propri cittadini, cittadini sulle cui spalle dovrebbero gravare i costi di una politica di solidarismo demagogico volta esclusivamente ad accrescere il proprio bacino elettorale. Evidentemente i voti degli stranieri sono più importanti della necessità di preservare la nostra società da un congestionamento che potrebbe essere deleterio per la stabilità sociale del nostro Paese.
La nuova normativa sull'immigrazione richiede che il nostro Paese abbia la capacità di assorbire più o meno un milione di immigrati ogni tre anni. Ebbene, i ministri Ferrero e Amato si sono posti il problema di come far fronte alle esigenze di un numero così cospicuo di persone, esigenze che vanno dal bisogno di avere un alloggio alla necessità di avere un lavoro e di poter godere di un'assistenza sanitaria? Che senso ha spalancare le frontiere del nostro Paese a un flusso sregolato di stranieri quando poi non siamo in grado di garantire a questi stessi immigrati condizioni di vita accettabili? Gli stranieri si possono integrare nel tessuto socio-economico solo ove vi siano le condizioni e le certezze sociali grazie alle quali è più facile raggiungere una condivisione dei valori fondanti della società che li accoglie. Ma a sinistra, forse, questo aspetto non conta. A contare, evidentemente, sono soli i voti degli immigrati. Quelli per rimanere al potere.
[Questo post è il numero 700]
La controriforma targata Amato-Ferrero, che dovrebbe soppiantare la Bossi-Fini, prevede infatti il voto attivo e passivo alle elezioni amministrative per gli immigrati che risiedono in Italia da cinque anni. Tale riforma, vista e considerata la crisi di consensi che ha investito il Governo Prodi, potrebbe costituire un volano elettorale, poichè gli immigrati rappresenterebbero un ottimo bacino di voti per sanare l'emorragia letale di consensi della coalizione di Prodi nel Paese. La nuova legislazione elaborata dalla sinistra potrebbe scardinare un sistema sociale, quello italiano, che già fatica a reggere il peso di uno sviluppo demografico che penalizza le giovani generazioni. La decisione di spalancare le frontiere potrebbe portare a delle spaccature insanabili, dovute all'insostenibilità di un sistema sociale che non reggerebbe alla forza d'urto di flussi migratori poco regolamentati.
La sinistra vive nella contraddizione di chi da una parte, per ragioni strategiche, mostra un volto buonista e solidale nei confronti degli immigrati e dall'altra, dietro la maschera dell'ideologismo multiculturalista, adotta una politica che non appare assolutamente ispirata al principio di solidarietà nei confronti dei propri cittadini. La normativa a cui sta lavorando l'attuale governo, a differenza di quanto statuiva la Bossi-Fini, che collegava l'ingresso legale degli immigrati all'esibizione di un contratto di lavoro, prevede che gli extracomunitari abbiano l'unico dovere, per entrare nel nostro Paese, di esibire il passaporto (non ci sarà più il contratto di soggiorno).
La riforma Amato-Ferrero prevede il mantenimento della cadenza triennale per la determinazione delle quote d'ingresso, che, in alcuni casi, potrebbero comunque essere riviste al rialzo. Sarà inoltre superata la quota prevista per gli ingressi relativi a quegli stranieri che lavorano negli ambiti domestici e di assistenza alle persone. Un'altra novità riguarda la reintroduzione dell'artificio giuridico degli sponsor, che fu introdotto dalla legge Turco-Napolitano: gli stranieri che arriveranno in Italia potranno avvalersi della garanzia economica costituita sia da privati cittadini sia da enti locali (in maggioranza rossi), associazioni volontaristiche e sindacati, che rappresenterebbero una sorta di sponsor istituzionale per gli immigrati. L'immigrato, poi, avrà anche la possibilità di autosponsorizzarsi attraverso una dote che presenterà nel momento in cui decide di entrare nel nostro Paese, dote che poi gli verrà erogata durante il soggiorno. Preoccupa, inoltre, il provvedimento che prevede di ridurre numericamente i Centri di Accoglienza Temporanea (CPT), che Rifondazione, prima o poi, vorrebbe addirittura tentare di eliminare del tutto.
La sinistra, attraverso la nuova normativa Amato-Ferrero, sta tentando di edificare uno Stato sociale che si faccia carico di garantire, in nome di un esasperato multiculturalismo, la tutela assoluta del diritto di ingresso nel nostro Paese. Lo Stato che caratterizza la visione politica dell'Unione sembra abbia più a cuore la necessità di garantire la sicurezza sociale agli stranieri piuttosto che ai propri cittadini, cittadini sulle cui spalle dovrebbero gravare i costi di una politica di solidarismo demagogico volta esclusivamente ad accrescere il proprio bacino elettorale. Evidentemente i voti degli stranieri sono più importanti della necessità di preservare la nostra società da un congestionamento che potrebbe essere deleterio per la stabilità sociale del nostro Paese.
La nuova normativa sull'immigrazione richiede che il nostro Paese abbia la capacità di assorbire più o meno un milione di immigrati ogni tre anni. Ebbene, i ministri Ferrero e Amato si sono posti il problema di come far fronte alle esigenze di un numero così cospicuo di persone, esigenze che vanno dal bisogno di avere un alloggio alla necessità di avere un lavoro e di poter godere di un'assistenza sanitaria? Che senso ha spalancare le frontiere del nostro Paese a un flusso sregolato di stranieri quando poi non siamo in grado di garantire a questi stessi immigrati condizioni di vita accettabili? Gli stranieri si possono integrare nel tessuto socio-economico solo ove vi siano le condizioni e le certezze sociali grazie alle quali è più facile raggiungere una condivisione dei valori fondanti della società che li accoglie. Ma a sinistra, forse, questo aspetto non conta. A contare, evidentemente, sono soli i voti degli immigrati. Quelli per rimanere al potere.
[Questo post è il numero 700]
mercoledì 14 marzo 2007
Il pool dei Pippibaudi. Magna Carta
Vale forse la pena di riflettere un po’ a freddo sul fenomeno montante dei conduttori televisivi in preda a sindrome da comizio.I due casi più illustri e recenti sono quelli di Pippo Baudo e Michele Santoro.
Il primo, sull’onda del successo di ascolti del suo Sanremo, si è scagliato in diretta contro “i politici”, colpevoli di mettere in discussione i suoi cachet televisivi “invece di occuparsi dei veri problemi del paese”. Era furioso e irato, Pippo, mentre concionava contro la politica e sullo sfondo si udiva il fragore di applausi di dubbia autenticità.
Peggio ha fatto Michele Santoro durante la puntata di AnnoZero dedicata al tema dei Dico. Subito dopo la polemica uscita di Mastella dalla trasmissione, Santoro è esploso. Con l’occhio fisso sulla telecamera, il dito alzato e la fronte aggrottata ha urlato che “i politici la devono finire”, che “è una vergogna”, che “questi signori della politica si devono abituare alle domande”. Fino a dire, con risibile vittimismo, “cacciatemi pure, non me ne frega niente” (in realtà venne cacciato e gliene fregò moltissimo).
Questi episodi ci sembra vadano al di là del pur riprovevole “uso privato del mezzo televisivo”. Racchiudono una carica di antipolitica (per di più fatta da due politici incalliti) che ricorda fasi brutte e ancora brucianti della storia italiana recente.
I comizi di Baudo e Santoro sembrano la versione aggiornata – con tanto di ricaduta su youtube.com – dei pronunciamenti di Borrelli e soci, dei loro proclami contro la politica infetta davanti alle piazze plaudenti. La politica era debole allora come lo è oggi, e allora venne spazzata via dalla furia purificatrice delle manette.
Baudo e Santoro fanno quello che fanno e dicono quello che dicono perché colgono la stessa debolezza dell’interlocutore e sanno di poter accendere facilmente la furia delle loro platee. Non hanno bisogno di tribunali: hanno gli studi televisivi (da cui guai a evadere); e il loro potere è altrettanto irresponsabile di quello dei magistrati di allora (e di oggi).
I paralleli storici sono sempre pieni di trappole e non vogliamo spingerci oltre. Certo la situazione politica alimenta presagi foschi e il “pool” dei conduttori andrebbe tenuto d’occhio. Perché non sono solo canzonette.
Il primo, sull’onda del successo di ascolti del suo Sanremo, si è scagliato in diretta contro “i politici”, colpevoli di mettere in discussione i suoi cachet televisivi “invece di occuparsi dei veri problemi del paese”. Era furioso e irato, Pippo, mentre concionava contro la politica e sullo sfondo si udiva il fragore di applausi di dubbia autenticità.
Peggio ha fatto Michele Santoro durante la puntata di AnnoZero dedicata al tema dei Dico. Subito dopo la polemica uscita di Mastella dalla trasmissione, Santoro è esploso. Con l’occhio fisso sulla telecamera, il dito alzato e la fronte aggrottata ha urlato che “i politici la devono finire”, che “è una vergogna”, che “questi signori della politica si devono abituare alle domande”. Fino a dire, con risibile vittimismo, “cacciatemi pure, non me ne frega niente” (in realtà venne cacciato e gliene fregò moltissimo).
Questi episodi ci sembra vadano al di là del pur riprovevole “uso privato del mezzo televisivo”. Racchiudono una carica di antipolitica (per di più fatta da due politici incalliti) che ricorda fasi brutte e ancora brucianti della storia italiana recente.
I comizi di Baudo e Santoro sembrano la versione aggiornata – con tanto di ricaduta su youtube.com – dei pronunciamenti di Borrelli e soci, dei loro proclami contro la politica infetta davanti alle piazze plaudenti. La politica era debole allora come lo è oggi, e allora venne spazzata via dalla furia purificatrice delle manette.
Baudo e Santoro fanno quello che fanno e dicono quello che dicono perché colgono la stessa debolezza dell’interlocutore e sanno di poter accendere facilmente la furia delle loro platee. Non hanno bisogno di tribunali: hanno gli studi televisivi (da cui guai a evadere); e il loro potere è altrettanto irresponsabile di quello dei magistrati di allora (e di oggi).
I paralleli storici sono sempre pieni di trappole e non vogliamo spingerci oltre. Certo la situazione politica alimenta presagi foschi e il “pool” dei conduttori andrebbe tenuto d’occhio. Perché non sono solo canzonette.
Bassolino cancella l'Epifania per far posto al Ramadan. il Giornale
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=163697&START=0&2col=
Nell'agenda della pace sparisce anche San Gennaro.
Nell'agenda della pace sparisce anche San Gennaro.
martedì 13 marzo 2007
Anche il Papa entra scalzo in moschea
Mi sembra di giocare a second life.
Forse ho perso dei riferimenti, può darsi che i valori siano andati a puttane, è probabile che abbia trascurato qualche passaggio, ma ho bisogno di fare il punto della situazione, così rispondo anche ai miei interlocutori di blog.
Torri gemelle: non mi sono inventato nulla! La mia è la versione ufficiale che tutto il mondo conosce e che Bin Laden ha avallato rivendicando l'atto terroristico. Nel post che ho pubblicato si smonta una versione alternativa, complottista e fantasiosa che gira assieme ad altre su web e dvd e che non mi convince per niente: se mi permettete, sarò conformista, ma mi attengo alla versione ufficiale.
Caso Corrado Carnevale: è stato assolto e reintegrato nelle funzioni perché era innocente, non aveva "aggiustato" i processi ai mafiosi, ma si era comportato da garantista. Punto e basta.
Non vedo perché dovrei pensarla diversamente dalla Cassazione. E per associazione di idee, ma mi dispiace dirlo, devo rammentare che Adriano Sofri è stato ritenuto mandante del delitto Calabresi e condannato a 22 anni.
La verità ha colore? I fatti non ne hanno. Poi se vogliamo fare dietrologia, se vogliamo fare il tifo per la nostra parte, se vogliamo negare la realtà, allora inevitabilmente i fatti prendono colore.
A me va bene una lettura critica, sono anch'io per mettere il tarlo del dubbio nell'analisi degli avvenimenti: è giusto non prendere tutto per oro colato, ma i fatti sono fatti e le opinioni sono un'altra cosa.
Vorrei fare un'ultima riflessione riguardo all'atteggiamento che abbiamo nei confronti della Chiesa cattolica e dell'Islam.
I musulmani macellano gli animali sgozzandoli, possono avere più mogli, trattarle male e ripudiarle quando vogliono. Nei loro Paesi è vietato persino farsi il segno della croce e i convertiti rischiano la morte. Gli omosessuali sono imprigionati. La pena di morte e la legge del taglione vigono in tutto l'Islam.
C'è chi vuole togliere il crocefisso nella aule e "laicizzare" il Natale.
Però il Vaticano non può criticare i "dico".
Forse ho perso dei riferimenti, può darsi che i valori siano andati a puttane, è probabile che abbia trascurato qualche passaggio, ma ho bisogno di fare il punto della situazione, così rispondo anche ai miei interlocutori di blog.
Torri gemelle: non mi sono inventato nulla! La mia è la versione ufficiale che tutto il mondo conosce e che Bin Laden ha avallato rivendicando l'atto terroristico. Nel post che ho pubblicato si smonta una versione alternativa, complottista e fantasiosa che gira assieme ad altre su web e dvd e che non mi convince per niente: se mi permettete, sarò conformista, ma mi attengo alla versione ufficiale.
Caso Corrado Carnevale: è stato assolto e reintegrato nelle funzioni perché era innocente, non aveva "aggiustato" i processi ai mafiosi, ma si era comportato da garantista. Punto e basta.
Non vedo perché dovrei pensarla diversamente dalla Cassazione. E per associazione di idee, ma mi dispiace dirlo, devo rammentare che Adriano Sofri è stato ritenuto mandante del delitto Calabresi e condannato a 22 anni.
La verità ha colore? I fatti non ne hanno. Poi se vogliamo fare dietrologia, se vogliamo fare il tifo per la nostra parte, se vogliamo negare la realtà, allora inevitabilmente i fatti prendono colore.
A me va bene una lettura critica, sono anch'io per mettere il tarlo del dubbio nell'analisi degli avvenimenti: è giusto non prendere tutto per oro colato, ma i fatti sono fatti e le opinioni sono un'altra cosa.
Vorrei fare un'ultima riflessione riguardo all'atteggiamento che abbiamo nei confronti della Chiesa cattolica e dell'Islam.
I musulmani macellano gli animali sgozzandoli, possono avere più mogli, trattarle male e ripudiarle quando vogliono. Nei loro Paesi è vietato persino farsi il segno della croce e i convertiti rischiano la morte. Gli omosessuali sono imprigionati. La pena di morte e la legge del taglione vigono in tutto l'Islam.
C'è chi vuole togliere il crocefisso nella aule e "laicizzare" il Natale.
Però il Vaticano non può criticare i "dico".
lunedì 12 marzo 2007
Intervista a Corrado Carnevale: "Tornerà la mia giurisdizione". Dimitri Buffa
“Fino al 2013 i miei nemici non riusciranno a liberarsi di me”
“Meglio tardi che mai, certo non potrò concorrere per posti in cui pure non avrei demeritato ma almeno posso dire alto e forte che nella magistratura non si libereranno di me per i prossimi sei anni, sei mesi e 24 giorni, giusto il periodo che rimasi sospeso per quelle accuse calunniose dei pentiti che si rivelarono tutte puntualmente false”.
Tremate, tremate Carnevale è tornato. E preannuncia in questa intervista di avere intenzione di riprendere il discorso lì dove si era interrotto oramai più di dieci anni fa. Cioè da quella giurisdizione garantista che dopo di lui le sezioni penali della Cassazione per anni hanno avuto paura di applicare. E che solo recentemente è ritornata in auge grazie alla buona volontà di alcuni singoli.
Giudice Corrado Carnevale, sarà contento? Finalmente il Csm ha deciso di ottemperare a una legge dello stato italiano in vigore ormai da più di tre anni..
Sì, l’udienza dell’altro giorno è stata fissata al Csm proprio pochi giorni prima che io mettessi in esecuzione un giudizio di ottemperanza del suo pronunciamento diventato definitivo dopo che il Consiglio di Stato lo aveva confermato a suo tempo. Certo in Italia è veramente difficile convincere certi magistrati ad applicare una semplice legge....
I giornali a lei ostili sottolineano come il Csm si sia spaccato in due nella votazione che la ha riammessa all’interno della suprema corte...
Quello che questi giornali si dimenticano però di fare notare ai propri lettori è che il voto del Csm non riguardava una questione dove è lecito avere opinioni differenti ma la mera applicazione di una legge ormai in vigore da anni che semplicemente aveva stabilito che quelli che come me hanno patito una ingiusta sospensione dal servizio a causa di accuse che poi si sono rivelate destituite di ogni fondamento avevano diritto a un periodo uguale e contrario di tempo in deroga oltre l’età pensionabile per recuperare gli anni perduti. E nel mio caso si tratta di anni sei, mesi sei e giorni 24, il che vuol dire che fino al 2013 lor signori non mi si toglieranno di torno....
E ora che succederà? Dove andrà a far danno, nelle sezioni civili o in quelle penali?
Tutto dipenderà da dove verrò assegnato dal primo presidente, o quello titolare o quello facente funzioni visto che da quasi un anno siamo in regime di vacanza del posto e non si riesce a trovare un candidato per quel posto. Mi auguro di poter riprendere servizio già prima di Pasqua.
Come si sono svolte le ultime puntate della telenovela di cui è stato l’involontario protagonista?
Io avevo promosso il giudizio di ottemperanza nei confronti del Csm ma nel frattempo il presidente del Tar aveva saputo che c’era stata la fissazione della seduta decisiva in seno al Csm e quindi ha ritenuto di attendere l’esito. Poi mercoledì c’è stata questa benedetta decisione che come lei forse saprà si è conclusa con un voto a favore del mio reintegro. Più precisamente 11 voti a favore, 10 contrari e 4 astensioni.
Commenti sul voto?
Mi domando come si potesse votare contro o astenersi quando in ballo c’era soltanto l’applicazione di una legge. Mica era materia di opinioni o dibattiti, era una legge in vigore e si trattava di decidere finalmente di applicare l’esecuzione di una sentenza del Tar ormai passata in giudicato. Quindi non mi spiego i voti contrari né gli astenuti. Però è accaduto. In Italia evidentemente queste cose capitano.
Insomma lei crede che non fosse possibile votare contro il suo reintegro?
No, perché si trattava di ottemperare a una legge dopo una sentenza definitiva del Tar. E io non capisco come il procuratore generale presso la Corte di Cassazione abbia potuto votare contro. C’è da ridere. Sono persone che non sanno cosa è il diritto e di conseguenza non sembrerebbero nemmeno adatti a fare i giudici, o no?.
Uno potrebbe pensare che si tratta solo dell’ennesima riprova che il caso Carnevale fu un caso politico, non giudiziario..
Non c’è dubbio, diciamo che è andata. Adesso mi aspettano, e non solo a me, altri sei anni, sei mesi e 24 giorni di carriera e non ho intenzione di fare un minuto di meno, a meno che il destino non mi colga. Tenga presente che ho 77 anni ma sono in buona salute fisica e soprattutto mentale, cosa che non è scontata nel mio ambiente.
Tornerà ad ammazzare le sentenze?
Tornerò a essere un magistrato scrupoloso e garantista e se sarò assegnato alle sezioni penali riprenderò la mia giurisprudenza lì da dove era stata interrotta la mia carriera. Su questo nessuno può nutrire illusioni. Quanto alle sentenze non ero io che le ammazzavo ma qualcuno che le faceva nascere morte. E ai miei persecutori ricordo di essere sopravvissuto anche a qualcuno di loro, io sono uno che sa sedersi sulla riva del fiume e aspettare.
“Meglio tardi che mai, certo non potrò concorrere per posti in cui pure non avrei demeritato ma almeno posso dire alto e forte che nella magistratura non si libereranno di me per i prossimi sei anni, sei mesi e 24 giorni, giusto il periodo che rimasi sospeso per quelle accuse calunniose dei pentiti che si rivelarono tutte puntualmente false”.
Tremate, tremate Carnevale è tornato. E preannuncia in questa intervista di avere intenzione di riprendere il discorso lì dove si era interrotto oramai più di dieci anni fa. Cioè da quella giurisdizione garantista che dopo di lui le sezioni penali della Cassazione per anni hanno avuto paura di applicare. E che solo recentemente è ritornata in auge grazie alla buona volontà di alcuni singoli.
Giudice Corrado Carnevale, sarà contento? Finalmente il Csm ha deciso di ottemperare a una legge dello stato italiano in vigore ormai da più di tre anni..
Sì, l’udienza dell’altro giorno è stata fissata al Csm proprio pochi giorni prima che io mettessi in esecuzione un giudizio di ottemperanza del suo pronunciamento diventato definitivo dopo che il Consiglio di Stato lo aveva confermato a suo tempo. Certo in Italia è veramente difficile convincere certi magistrati ad applicare una semplice legge....
I giornali a lei ostili sottolineano come il Csm si sia spaccato in due nella votazione che la ha riammessa all’interno della suprema corte...
Quello che questi giornali si dimenticano però di fare notare ai propri lettori è che il voto del Csm non riguardava una questione dove è lecito avere opinioni differenti ma la mera applicazione di una legge ormai in vigore da anni che semplicemente aveva stabilito che quelli che come me hanno patito una ingiusta sospensione dal servizio a causa di accuse che poi si sono rivelate destituite di ogni fondamento avevano diritto a un periodo uguale e contrario di tempo in deroga oltre l’età pensionabile per recuperare gli anni perduti. E nel mio caso si tratta di anni sei, mesi sei e giorni 24, il che vuol dire che fino al 2013 lor signori non mi si toglieranno di torno....
E ora che succederà? Dove andrà a far danno, nelle sezioni civili o in quelle penali?
Tutto dipenderà da dove verrò assegnato dal primo presidente, o quello titolare o quello facente funzioni visto che da quasi un anno siamo in regime di vacanza del posto e non si riesce a trovare un candidato per quel posto. Mi auguro di poter riprendere servizio già prima di Pasqua.
Come si sono svolte le ultime puntate della telenovela di cui è stato l’involontario protagonista?
Io avevo promosso il giudizio di ottemperanza nei confronti del Csm ma nel frattempo il presidente del Tar aveva saputo che c’era stata la fissazione della seduta decisiva in seno al Csm e quindi ha ritenuto di attendere l’esito. Poi mercoledì c’è stata questa benedetta decisione che come lei forse saprà si è conclusa con un voto a favore del mio reintegro. Più precisamente 11 voti a favore, 10 contrari e 4 astensioni.
Commenti sul voto?
Mi domando come si potesse votare contro o astenersi quando in ballo c’era soltanto l’applicazione di una legge. Mica era materia di opinioni o dibattiti, era una legge in vigore e si trattava di decidere finalmente di applicare l’esecuzione di una sentenza del Tar ormai passata in giudicato. Quindi non mi spiego i voti contrari né gli astenuti. Però è accaduto. In Italia evidentemente queste cose capitano.
Insomma lei crede che non fosse possibile votare contro il suo reintegro?
No, perché si trattava di ottemperare a una legge dopo una sentenza definitiva del Tar. E io non capisco come il procuratore generale presso la Corte di Cassazione abbia potuto votare contro. C’è da ridere. Sono persone che non sanno cosa è il diritto e di conseguenza non sembrerebbero nemmeno adatti a fare i giudici, o no?.
Uno potrebbe pensare che si tratta solo dell’ennesima riprova che il caso Carnevale fu un caso politico, non giudiziario..
Non c’è dubbio, diciamo che è andata. Adesso mi aspettano, e non solo a me, altri sei anni, sei mesi e 24 giorni di carriera e non ho intenzione di fare un minuto di meno, a meno che il destino non mi colga. Tenga presente che ho 77 anni ma sono in buona salute fisica e soprattutto mentale, cosa che non è scontata nel mio ambiente.
Tornerà ad ammazzare le sentenze?
Tornerò a essere un magistrato scrupoloso e garantista e se sarò assegnato alle sezioni penali riprenderò la mia giurisprudenza lì da dove era stata interrotta la mia carriera. Su questo nessuno può nutrire illusioni. Quanto alle sentenze non ero io che le ammazzavo ma qualcuno che le faceva nascere morte. E ai miei persecutori ricordo di essere sopravvissuto anche a qualcuno di loro, io sono uno che sa sedersi sulla riva del fiume e aspettare.
domenica 11 marzo 2007
Torri gemelle: inganno globale? no, balla colossale.
http://nuke.crono911.org/Home/tabid/65/Default.aspx
Un sito fondamentale che smonta tutte le ipotesi di complotto sugli attentati dell'11 settembre 2001 con foto, documenti ed un'accurata ricostruzione storica.
Un sito fondamentale che smonta tutte le ipotesi di complotto sugli attentati dell'11 settembre 2001 con foto, documenti ed un'accurata ricostruzione storica.
Governo italiano, scusati. il Foglio
Su Calipari, Abu Omar e gli ostaggi è casomai l’Italia a doversi giustificare
I giudici italiani continuano a tenersi occupati attaccando le truppe americane e gli agenti impegnati nell’antiterrorismo. Ora anche i politici stanno entrando nel gioco. Il ministro degli Esteri D’Alema all’inizio della settimana ha attaccato gli Usa perché non si sono assunti le loro responsabilità nell’uccisione, nel 2005, di un agente italiano in Iraq, e pareva dare il proprio appoggio a una causa illegittima nei confronti di un funzionario americano. Il mese scorso, una corte di Roma ha accusato di omicidio e tentato omicidio un soldato americano che ha ucciso l’agente Nicola Calipari e ferito un ostaggio appena liberato, la giornalista Giuliana Sgrena, colpita a una spalla. “Il nome della persona che ha aperto il fuoco è noto – ha detto D’Alema – Qualunque sia la verità, è stata un’opportunità mancata da parte degli americani.
Ora c’è un bisogno di giustizia da soddisfare”. Se c’è qualcuno che ha perso un’opportunità, quello è il governo italiano che non ha respinto l’accusa nei confronti di un soldato americano che lavora legittimamente in una zona di guerra. Calipari stava raggiungendo un checkpoint americano vicino all’aeroporto di Baghdad in auto con Sgrena. Un’inchiesta congiunta americana e italiana non ha trovato un accordo nell’individuare una responsabilità univoca su quel che è successo. Gli Usa hanno detto che un’auto non identificata stava andando ad alta velocità e gli spari sono partiti solo dopo che il conducente ha ignorato i segnali che chiedevano di rallentare. Gli italiani sostengono che il soldato era inesperto e che ha reagito in modo esagerato. Ma entrambi i governi hanno considerato il caso come un incidente di fuoco amico. Lo stesso non vale per la corte di Roma. La sua affermazione di giurisdizione extraterritoriale è arrivata in un momento in cui era già in corso un’altra battaglia legale contro gli Usa.
Il mese scorso, una corte di Milano ha accusato 26 agenti della Cia per la “rendition” di un sospetto terrorista egiziano (l’imam Abu Omar, ndr), un’operazione realizzata a Milano con l’aiuto di agenti italiani. Il governo di centrosinistra di Romano Prodi non ha avuto il coraggio morale di dire qualcosa contro la parodia giudiziaria di un’incriminazione di agenti americani che, in base al diritto internazionale, sono immuni da procedimenti legali in Italia. Ha resistito alle pressioni sull’estradizione degli agenti della Cia, che in ogni caso gli Usa non concederanno. Nel caso Calipari, gli italiani non sono stati timidi nell’alimentare il contenzioso politico. Ciò che rende il tutto ancora più fastidioso è che il governo precedente di Silvio Berlusconi quasi certamente ha pagato un riscatto per liberare l’ostaggio italiano. Questo non solo ha fornito ai jihadisti i soldi per comprare armi e munizioni per uccidere più americani, ma anche l’incentivo a rapire altri ostaggi, italiani preferibilmente, ma anche di altra nazionalità. Se c’è qualcuno che deve delle scuse, è l’Italia.
© Wall Street Journal per gentile concessione di MF
I giudici italiani continuano a tenersi occupati attaccando le truppe americane e gli agenti impegnati nell’antiterrorismo. Ora anche i politici stanno entrando nel gioco. Il ministro degli Esteri D’Alema all’inizio della settimana ha attaccato gli Usa perché non si sono assunti le loro responsabilità nell’uccisione, nel 2005, di un agente italiano in Iraq, e pareva dare il proprio appoggio a una causa illegittima nei confronti di un funzionario americano. Il mese scorso, una corte di Roma ha accusato di omicidio e tentato omicidio un soldato americano che ha ucciso l’agente Nicola Calipari e ferito un ostaggio appena liberato, la giornalista Giuliana Sgrena, colpita a una spalla. “Il nome della persona che ha aperto il fuoco è noto – ha detto D’Alema – Qualunque sia la verità, è stata un’opportunità mancata da parte degli americani.
Ora c’è un bisogno di giustizia da soddisfare”. Se c’è qualcuno che ha perso un’opportunità, quello è il governo italiano che non ha respinto l’accusa nei confronti di un soldato americano che lavora legittimamente in una zona di guerra. Calipari stava raggiungendo un checkpoint americano vicino all’aeroporto di Baghdad in auto con Sgrena. Un’inchiesta congiunta americana e italiana non ha trovato un accordo nell’individuare una responsabilità univoca su quel che è successo. Gli Usa hanno detto che un’auto non identificata stava andando ad alta velocità e gli spari sono partiti solo dopo che il conducente ha ignorato i segnali che chiedevano di rallentare. Gli italiani sostengono che il soldato era inesperto e che ha reagito in modo esagerato. Ma entrambi i governi hanno considerato il caso come un incidente di fuoco amico. Lo stesso non vale per la corte di Roma. La sua affermazione di giurisdizione extraterritoriale è arrivata in un momento in cui era già in corso un’altra battaglia legale contro gli Usa.
Il mese scorso, una corte di Milano ha accusato 26 agenti della Cia per la “rendition” di un sospetto terrorista egiziano (l’imam Abu Omar, ndr), un’operazione realizzata a Milano con l’aiuto di agenti italiani. Il governo di centrosinistra di Romano Prodi non ha avuto il coraggio morale di dire qualcosa contro la parodia giudiziaria di un’incriminazione di agenti americani che, in base al diritto internazionale, sono immuni da procedimenti legali in Italia. Ha resistito alle pressioni sull’estradizione degli agenti della Cia, che in ogni caso gli Usa non concederanno. Nel caso Calipari, gli italiani non sono stati timidi nell’alimentare il contenzioso politico. Ciò che rende il tutto ancora più fastidioso è che il governo precedente di Silvio Berlusconi quasi certamente ha pagato un riscatto per liberare l’ostaggio italiano. Questo non solo ha fornito ai jihadisti i soldi per comprare armi e munizioni per uccidere più americani, ma anche l’incentivo a rapire altri ostaggi, italiani preferibilmente, ma anche di altra nazionalità. Se c’è qualcuno che deve delle scuse, è l’Italia.
© Wall Street Journal per gentile concessione di MF
sabato 10 marzo 2007
Una pedata ci salverà. Paolo Guzzanti
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=162681&START=0&2col=
Il senatore di Forza Italia spiega le ragioni del suo no al rifinanziamento della missione in Afghanistan.
Il senatore di Forza Italia spiega le ragioni del suo no al rifinanziamento della missione in Afghanistan.
venerdì 9 marzo 2007
La conferenza mondiale per la pace e la festa dell'Unità
Alla madre di tutte le feste dell'Unità, quella nazionale, spetta un'attenzione particolare perché è la più seguita-anche dai telegiornali-la più frequentata e la più curata.
Propongo che la conferenza mondiale per la pace in Afghanistan venga curata dai diessini che hanno organizzato la Festa nazionale dell'Unità di Pesaro che si è svolta dal 31 agosto al 19 settembre del 2006.
Scorrendo il programma dei venti giorni di festa si poteva trovare-tra i quasi centoquaranta- l'incontro, il dibattito o il convegno che ti cambiava la vita: solo i fortunati che hanno partecipato possono dire, oggi, di avere le idee più chiare sui massimi sistemi e di poter affrontare il mondo preparati e consapevoli. Non è possibile? Ecco i titoli di alcuni incontri: Il futuro inizia adesso; Chi ha paura della scienza?;Sentendosi sicuri; Memoria: forza del futuro; Diventare vecchi sì, invecchiare no.
Ma la massima espressione della politica ci viene dai sottotitoli degli incontri Verso l'Italia che vogliamo: 1. giusta con i cittadini, 2. forte e responsabile, 3. dalla parte del lavoro, 4. in buona salute, 5. con le donne, 6. investire sul sapere, 7. nobile e pulita, 8. lo sviluppo possibile, 9. scommettere sul futuro, 10. giusta e moderna, 11. il Paese di Galileo, 12. con la famiglia, 13. tra sicurezza e solidarietà, 14. un sud moderno, 15. libera e pluralista.
Nell'ambito della festa dell'Unità si è tenuta la festa nazionale dell'agricoltura: gli agricoltori che non hanno partecipato si sono persi: L'agricoltura italiana verso la conferenza nazionale; L'agricoltura italiana tra Europa e mondo; Diritti e legalità in agricoltura; Agricoltura e welfare; L'impresa agricola di successo al femminile; Le donne protagoniste della nuova agricoltura; Ricerca e innovazione per un'agricoltura competitiva e sostenibile; Agricoltura e stili di vita: nuovi orientamenti agli acquisti dei consumatori; Evoluzione del no food in agricoltura: sviluppo delle bioenergie; Qualità e sostenibilità per l'agricoltura multifunzionale:la sfida della competizione territoriale. Giuro che i titoli sono autentici.
Ma non basta, le credenziali per organizzare la conferenza per la pace non finiscono qui: ci sono serate che rappresentano pietre miliari nella storia delle feste dell'Unità: Vado e riparto da Pesaro; Dopo il referendum:ripensare la repubblica; Appennino risorsa ambientale da proteggere per allargarsi poi a Il patrimonio naturale e culturale del Bel Paese, una risorsa da valorizzare e personalizzando con Uomini,donne...cose nel paesaggio rurale.
Tra gli "imperdibili" segnalo: Pazienti imprevisti? la salute delle persone omosessuali e bisessuali in Italia e nelle Marche; avrei pagato per vedere la faccia dei compagni "duri&puri" che sono intervenuti il 13 settembre alle 18 in Sala verde. La sinistra, la democrazia, la televisione: perché non sono stati ascoltati Marshall Mac Luhan, Pier Paolo Pasolini, Nam June Paik? vada per i primi due, ma il terzo chi è?
Alla portata di tutti, invece, Per la pace in Medio Oriente; Un partito democratico: quale?, Nuovi modelli di cooperazione a partire dalla formazione; Caccia da problema a risorsa; Da cento anni dalla parte del lavoro perché non dei lavoratori, visto che il relatore era Epifani?
Più sul tecnico-politico Costruire l'antimafia del giorno prima nella Società, nelle istituzioni, nella politica; inquietante l'antimafia preventiva che ricorda l'antifascismo precauzionale.
Un governo a misura dei bambini e degli adolescenti, condotto da sole donne, e che potrebbe prestarsi a facili battute con Prodi Presidente.
Chissà se è stato evocato Marco Polo la sera di Progetti sulla nuova via della seta: porti, modalità di trasporto, logistica e servizi. Sicuramente alla proiezione in prima visione del filmato di Gianluigi Brusadini Dalle rotative al popolo, c'erano solo posti in piedi: i vecchi militanti, riferiscono le cronache, avevano le lacrime agli occhi.
Propongo che la conferenza mondiale per la pace in Afghanistan venga curata dai diessini che hanno organizzato la Festa nazionale dell'Unità di Pesaro che si è svolta dal 31 agosto al 19 settembre del 2006.
Scorrendo il programma dei venti giorni di festa si poteva trovare-tra i quasi centoquaranta- l'incontro, il dibattito o il convegno che ti cambiava la vita: solo i fortunati che hanno partecipato possono dire, oggi, di avere le idee più chiare sui massimi sistemi e di poter affrontare il mondo preparati e consapevoli. Non è possibile? Ecco i titoli di alcuni incontri: Il futuro inizia adesso; Chi ha paura della scienza?;Sentendosi sicuri; Memoria: forza del futuro; Diventare vecchi sì, invecchiare no.
Ma la massima espressione della politica ci viene dai sottotitoli degli incontri Verso l'Italia che vogliamo: 1. giusta con i cittadini, 2. forte e responsabile, 3. dalla parte del lavoro, 4. in buona salute, 5. con le donne, 6. investire sul sapere, 7. nobile e pulita, 8. lo sviluppo possibile, 9. scommettere sul futuro, 10. giusta e moderna, 11. il Paese di Galileo, 12. con la famiglia, 13. tra sicurezza e solidarietà, 14. un sud moderno, 15. libera e pluralista.
Nell'ambito della festa dell'Unità si è tenuta la festa nazionale dell'agricoltura: gli agricoltori che non hanno partecipato si sono persi: L'agricoltura italiana verso la conferenza nazionale; L'agricoltura italiana tra Europa e mondo; Diritti e legalità in agricoltura; Agricoltura e welfare; L'impresa agricola di successo al femminile; Le donne protagoniste della nuova agricoltura; Ricerca e innovazione per un'agricoltura competitiva e sostenibile; Agricoltura e stili di vita: nuovi orientamenti agli acquisti dei consumatori; Evoluzione del no food in agricoltura: sviluppo delle bioenergie; Qualità e sostenibilità per l'agricoltura multifunzionale:la sfida della competizione territoriale. Giuro che i titoli sono autentici.
Ma non basta, le credenziali per organizzare la conferenza per la pace non finiscono qui: ci sono serate che rappresentano pietre miliari nella storia delle feste dell'Unità: Vado e riparto da Pesaro; Dopo il referendum:ripensare la repubblica; Appennino risorsa ambientale da proteggere per allargarsi poi a Il patrimonio naturale e culturale del Bel Paese, una risorsa da valorizzare e personalizzando con Uomini,donne...cose nel paesaggio rurale.
Tra gli "imperdibili" segnalo: Pazienti imprevisti? la salute delle persone omosessuali e bisessuali in Italia e nelle Marche; avrei pagato per vedere la faccia dei compagni "duri&puri" che sono intervenuti il 13 settembre alle 18 in Sala verde. La sinistra, la democrazia, la televisione: perché non sono stati ascoltati Marshall Mac Luhan, Pier Paolo Pasolini, Nam June Paik? vada per i primi due, ma il terzo chi è?
Alla portata di tutti, invece, Per la pace in Medio Oriente; Un partito democratico: quale?, Nuovi modelli di cooperazione a partire dalla formazione; Caccia da problema a risorsa; Da cento anni dalla parte del lavoro perché non dei lavoratori, visto che il relatore era Epifani?
Più sul tecnico-politico Costruire l'antimafia del giorno prima nella Società, nelle istituzioni, nella politica; inquietante l'antimafia preventiva che ricorda l'antifascismo precauzionale.
Un governo a misura dei bambini e degli adolescenti, condotto da sole donne, e che potrebbe prestarsi a facili battute con Prodi Presidente.
Chissà se è stato evocato Marco Polo la sera di Progetti sulla nuova via della seta: porti, modalità di trasporto, logistica e servizi. Sicuramente alla proiezione in prima visione del filmato di Gianluigi Brusadini Dalle rotative al popolo, c'erano solo posti in piedi: i vecchi militanti, riferiscono le cronache, avevano le lacrime agli occhi.
giovedì 8 marzo 2007
La scuola che vogliamo. Davide Giacalone
Da molte parti si celebra il '77. Fu anno di violenze e d'indiani metropolitani. Più che celebrare ci sarebbe da commiserare. Fra chi ne pagò le conseguenze vi sono molti studenti di famiglie disagiate, ragazze e ragazzi che hanno visto i contestatori privilegiati conservare i loro privilegi, lasciando agli altri povertà ed emarginazione, lasciando agli ottusi la galera per terrorismo ed ai deboli l'inferno della tossicodipendenza. Averne nostalgia è folle.
Allora si disse di non volere una scuola di classe. Adottando questa categoria marxiana dirò che neanche noi vogliamo una scuola di classe. Per questo vogliamo, come dice Tony Blair, una scuola dove all'ingresso dei professori gli studenti si alzino in piedi. Il rispetto della pubblica autorità è condizione perché venga meno l'esclusività del rispetto per i privilegiati. E vogliamo docenti che meritino quel rispetto, selezionati prima d'essere selezionatori. Vogliamo una scuola meritocratica, severa, che premi i bravi e bocci i somari. Non vogliamo una scuola consolatrice, accompagnatrice d'ignoranza a salvaguardia di un'eguaglianza che è solo ripetizione e conservazione delle disuguaglianze. Vogliamo una scuola libera, di cui si preservi il valore ed il pluralismo culturale abbattendo il totem del valore legale del titolo di studio. Non della legalità del titolo, ovviamente, ma dell'idea che il valore della formazione non stia nella persona che ha acquisito conoscenze, saperi e professionalità, ma nel titolo, nel pezzo di carta che attesta non si sa cosa e pretende di garantire un privilegio. Alla fine vale solo nella pubblica amministrazione, paradiso dell'improduttività.Dal mondo non potranno mai essere eliminate le disuguaglianze e l'essere poveri resterà spesso un'ingiustizia. Ma la cosa più straziante della povertà è il pensare che in quella condizione resteranno anche i nostri figli. Per rompere quel cerchio vogliamo che il sapere sia strumento d'ascesa sociale, e l'ignoranza una buna ragione per discendere. Per i viziatelli del '77, forti dalla parte dei forti, la meritocrazia era autoritarismo, la promozione garantita una libertà. Noi stiamo dalla parte dei deboli e speriamo che presto la cultura italiana faccia un passo avanti, liberandoci dagli avanzi piagnucolosi di quella stagione d'odio e miseria morale.
Allora si disse di non volere una scuola di classe. Adottando questa categoria marxiana dirò che neanche noi vogliamo una scuola di classe. Per questo vogliamo, come dice Tony Blair, una scuola dove all'ingresso dei professori gli studenti si alzino in piedi. Il rispetto della pubblica autorità è condizione perché venga meno l'esclusività del rispetto per i privilegiati. E vogliamo docenti che meritino quel rispetto, selezionati prima d'essere selezionatori. Vogliamo una scuola meritocratica, severa, che premi i bravi e bocci i somari. Non vogliamo una scuola consolatrice, accompagnatrice d'ignoranza a salvaguardia di un'eguaglianza che è solo ripetizione e conservazione delle disuguaglianze. Vogliamo una scuola libera, di cui si preservi il valore ed il pluralismo culturale abbattendo il totem del valore legale del titolo di studio. Non della legalità del titolo, ovviamente, ma dell'idea che il valore della formazione non stia nella persona che ha acquisito conoscenze, saperi e professionalità, ma nel titolo, nel pezzo di carta che attesta non si sa cosa e pretende di garantire un privilegio. Alla fine vale solo nella pubblica amministrazione, paradiso dell'improduttività.Dal mondo non potranno mai essere eliminate le disuguaglianze e l'essere poveri resterà spesso un'ingiustizia. Ma la cosa più straziante della povertà è il pensare che in quella condizione resteranno anche i nostri figli. Per rompere quel cerchio vogliamo che il sapere sia strumento d'ascesa sociale, e l'ignoranza una buna ragione per discendere. Per i viziatelli del '77, forti dalla parte dei forti, la meritocrazia era autoritarismo, la promozione garantita una libertà. Noi stiamo dalla parte dei deboli e speriamo che presto la cultura italiana faccia un passo avanti, liberandoci dagli avanzi piagnucolosi di quella stagione d'odio e miseria morale.
martedì 6 marzo 2007
Il sociale frantumato nel comunismo "rifondato". Raffaele Iannuzzi
Dalla lotta di classe al teatro senza classe
Il ministro Ferrero, ad un dibattito a La7, ha dichiarato, con malcelato orgoglio, che Rifondazione Comunista ha oggi più che mai un progetto da realizzare: ascoltare il malessere della società che tracima addirittura dalle canzoni presentate a Sanremo. Se Sanremo mette in scena il disagio sociale, questa la tesi di Ferrero, è chiaro che viviamo in un momento di grave crisi del Paese, crisi sociale che tocca i ceti più deboli. Ferrero evidentemente veste i panni del marziano quando gli fa comodo e questo è un tocco non insolito nella genìa comunista, che, notoriamente, sta sempre un palmo sopra della media degli interessi dei cittadini comuni (a parte i notabili professionisti delle Coop, ovvio), dunque non merita particolari commenti.
Un commento particolare merita, invece, l'imponenza della retorica neocomunista che sta conquistando anche qualche non marginale strato di giornalismo non schierato con il comunismo bertinottiano. L'idea-forza che sostanzia questa nuova retorica, che soppianta quella legata al «declino», il «declinismo», è più o meno questa: la società è in profonda crisi, i ceti deboli sono alla deriva e la politica del governo abbisogna di una forte sterzata in direzione della giustizia sociale, richiesta da molte parti, perfino da coloro che, di fatto, non hanno problemi di reddito e di status sociale, vedi Sanremo.
Tutto si tiene. E invece no. Perché, a ben guardare, non soltanto i comunisti al governo sono responsabili di questa crisi causata in larga misura dalla finanziaria da loro voluta nei termini attuali, sostenuta e oggi osannata, ma, in aggiunta a ciò, essi tentano di disgregare, anche sul piano della comunicazione di massa, l'idea di «sociale», immettendo nel corpo sociale l'idea che ovunque vi siano moltitudini desiderose di combattere per la giustizia sociale e per la redistribuzione fiscale.
Così non è e non soltanto perché, come ha perfettamente sostenuto von Hayek, la giustizia sociale è, né più, né meno, che un miraggio, ma anche perché gli operai, oggi, non vogliono redistribuzioni fasulle, ma soldi veri nelle buste paga e possibilmente non tassati al 50,6% lordi. Sacconi me lo diceva con puntualità nell'ultimo appuntamento di Gubbio 2006, a settembre, a un passo dalla finanziaria disastrosa di cui mai si potrà dire tutto il male possibile, è al di là di qualsiasi linguaggio politico possibile.
I comunisti, che intendono compattarsi in un'unica forza politica, gran brutto segno per il Paese, da un certo punto di vista almeno, non comprendono affatto le trasformazioni reali della società italiana, ben fotografate da uno scaltro osservatore come De Rita, che appunto sottolinea come il nostro Paese sia invaso da varie sacche di corporativismi e tra questi i più forti sono i sindacati, la base sociale del comunismo e, in parte, la base del reclutamento di brigatisti e sovversivi (una minoranza, sia chiaro, però attiva e sempre pronta a ricollocarsi sul terreno dello scontro sociale).
Dunque, non sarà il sociale diffuso sul palco di Sanremo a definire il progetto politico delle moltitudini sovversive, casomai è ben più preoccupante per l'establishment di Rifondazione che compagni della base possano affermare, dando così man forte a Ferrando, più ancora che a Turigliatto (perché i giornali italiani di punta coltivano amnesie di circostanza: ma Ferrando ha colpito ben più a fondo, in termini strategici ed analitici, di Turigliatto, fermo restando che la prima caduta del governo Prodi sull'Afghanistan la dobbiamo direttamente anche a lui, ma il contesto strategico era già in netta crisi, questo è il vero nodo politico), cose di questo genere: «Vi chiamate Rifondazione da 15 anni, ma che avete rifondato?» (Citato nell'articolo di Stefano Di Michele, Partito di lotta e di autocoscienza, Il Foglio, sabato 3 marzo).
Il sociale disperso regge la realtà malamente come lo «specchio in frantumi» di Scalfari e Diamanti: qui in frantumi sono il governo neocomunista e delle banche. Altro nodo politico da non eludere. D'altro canto, nell'alveo della sinistra, come Ostellino e Salvati hanno richiamato con accenti ed argomenti diversi, anche il sedicente «riformismo» produce stasi e corporativismo, altro che modernizzazione del sistema-paese. Se poi a questo insieme di elementi aggiungiamo la reazionaria uscita dei socialisti dei vari rami, con l'aggiunta di qualche rivistine di area, che si trovano a Bertinoro per alzare il ditino e gridare: noi esistiamo! Il mondo deve accorgersi di noi!, ebbene, il quadro è completo e possiamo tranquillamente constatare che, in Europa, la sinistra, a cominciare dall'Italia per chiudere con la Francia, è alla canna del gas. Sul quotidiano radical chic progressista fino allo sbadiglio o allo sfinimento, decidete voi, il celebre Le Monde (venerdì 2 marzo), un certo ricercatore del CERI, tale Ziki Laidi, dunque non un nume tutelare, un Morin o un Touraine, tanto per fare qualche grosso nome, si permette il lusso di domandarsi: «Quale futuro per la sinistra del XXI° secolo?» e dopodiché giù botte da orbi sul determinismo storico ed ideologico della sinistra, senza risparmiare neppure la Giovanna d'Arco socialista, la Ségolène Royal.
Sostiene Ziki Laidi che una sinistra del futuro non può censurare la propulsione positiva della globalizzazione, come, parimenti, non può vivere di meccanismi redistributivi, che tanto piacciono a Ferrero, ma deve adattarsi ai nuovi sistemi culturali e sociali, non alle pulsioni delle moltitudini sovversive. Ziki Laidi sostiene, evidentemente non conoscendo a fondo la sinistra nostrana, che la sinistra francese è la peggiore in Europa con ritardi culturali spaventosi, quasi incolmabili, illiberale in un Paese già di per sé così poco liberale. Niente male come giudizio. Ma il ricercatore, acuto e fine nelle sue analisi, non sa che razza di sinistra dobbiamo sorbirci in Italia...Vale la pena citare un passaggio dell'ottimo articolo del ricercatore del CERI: «(...) La sinistra e l'estrema sinistra hanno abbandonato qualsiasi critica sociale dello Stato rispetto alla quale essi hanno posto un altro compito prioritario: la lotta contro il nemico liberale». Anche in Italia abbiamo ministri comunisti che, invece di criticare i meccanismi distorsivi dello Stato, con le iniquità del caso, alimentano una battaglia continua contro ogni modernizzazione del sistema pubblico.
Ecco, allora, che la sinistra italiana è alla canna del gas ancor più di quella francese, il che, e Ziki Laidi ce lo confermerebbe, è tutto dire. Ma forse, in Francia, non hanno quel punto dolente che abbiamo invece noi in Italia: Sanremo. No, non intendo il festival della canzone italiana, ma l'ultimo congresso di Rifondazione comunista, dedicato al sociale diffuso. Con Baudo speaker del partito e il comico Rossi portavoce di Ferrero.
Il ministro Ferrero, ad un dibattito a La7, ha dichiarato, con malcelato orgoglio, che Rifondazione Comunista ha oggi più che mai un progetto da realizzare: ascoltare il malessere della società che tracima addirittura dalle canzoni presentate a Sanremo. Se Sanremo mette in scena il disagio sociale, questa la tesi di Ferrero, è chiaro che viviamo in un momento di grave crisi del Paese, crisi sociale che tocca i ceti più deboli. Ferrero evidentemente veste i panni del marziano quando gli fa comodo e questo è un tocco non insolito nella genìa comunista, che, notoriamente, sta sempre un palmo sopra della media degli interessi dei cittadini comuni (a parte i notabili professionisti delle Coop, ovvio), dunque non merita particolari commenti.
Un commento particolare merita, invece, l'imponenza della retorica neocomunista che sta conquistando anche qualche non marginale strato di giornalismo non schierato con il comunismo bertinottiano. L'idea-forza che sostanzia questa nuova retorica, che soppianta quella legata al «declino», il «declinismo», è più o meno questa: la società è in profonda crisi, i ceti deboli sono alla deriva e la politica del governo abbisogna di una forte sterzata in direzione della giustizia sociale, richiesta da molte parti, perfino da coloro che, di fatto, non hanno problemi di reddito e di status sociale, vedi Sanremo.
Tutto si tiene. E invece no. Perché, a ben guardare, non soltanto i comunisti al governo sono responsabili di questa crisi causata in larga misura dalla finanziaria da loro voluta nei termini attuali, sostenuta e oggi osannata, ma, in aggiunta a ciò, essi tentano di disgregare, anche sul piano della comunicazione di massa, l'idea di «sociale», immettendo nel corpo sociale l'idea che ovunque vi siano moltitudini desiderose di combattere per la giustizia sociale e per la redistribuzione fiscale.
Così non è e non soltanto perché, come ha perfettamente sostenuto von Hayek, la giustizia sociale è, né più, né meno, che un miraggio, ma anche perché gli operai, oggi, non vogliono redistribuzioni fasulle, ma soldi veri nelle buste paga e possibilmente non tassati al 50,6% lordi. Sacconi me lo diceva con puntualità nell'ultimo appuntamento di Gubbio 2006, a settembre, a un passo dalla finanziaria disastrosa di cui mai si potrà dire tutto il male possibile, è al di là di qualsiasi linguaggio politico possibile.
I comunisti, che intendono compattarsi in un'unica forza politica, gran brutto segno per il Paese, da un certo punto di vista almeno, non comprendono affatto le trasformazioni reali della società italiana, ben fotografate da uno scaltro osservatore come De Rita, che appunto sottolinea come il nostro Paese sia invaso da varie sacche di corporativismi e tra questi i più forti sono i sindacati, la base sociale del comunismo e, in parte, la base del reclutamento di brigatisti e sovversivi (una minoranza, sia chiaro, però attiva e sempre pronta a ricollocarsi sul terreno dello scontro sociale).
Dunque, non sarà il sociale diffuso sul palco di Sanremo a definire il progetto politico delle moltitudini sovversive, casomai è ben più preoccupante per l'establishment di Rifondazione che compagni della base possano affermare, dando così man forte a Ferrando, più ancora che a Turigliatto (perché i giornali italiani di punta coltivano amnesie di circostanza: ma Ferrando ha colpito ben più a fondo, in termini strategici ed analitici, di Turigliatto, fermo restando che la prima caduta del governo Prodi sull'Afghanistan la dobbiamo direttamente anche a lui, ma il contesto strategico era già in netta crisi, questo è il vero nodo politico), cose di questo genere: «Vi chiamate Rifondazione da 15 anni, ma che avete rifondato?» (Citato nell'articolo di Stefano Di Michele, Partito di lotta e di autocoscienza, Il Foglio, sabato 3 marzo).
Il sociale disperso regge la realtà malamente come lo «specchio in frantumi» di Scalfari e Diamanti: qui in frantumi sono il governo neocomunista e delle banche. Altro nodo politico da non eludere. D'altro canto, nell'alveo della sinistra, come Ostellino e Salvati hanno richiamato con accenti ed argomenti diversi, anche il sedicente «riformismo» produce stasi e corporativismo, altro che modernizzazione del sistema-paese. Se poi a questo insieme di elementi aggiungiamo la reazionaria uscita dei socialisti dei vari rami, con l'aggiunta di qualche rivistine di area, che si trovano a Bertinoro per alzare il ditino e gridare: noi esistiamo! Il mondo deve accorgersi di noi!, ebbene, il quadro è completo e possiamo tranquillamente constatare che, in Europa, la sinistra, a cominciare dall'Italia per chiudere con la Francia, è alla canna del gas. Sul quotidiano radical chic progressista fino allo sbadiglio o allo sfinimento, decidete voi, il celebre Le Monde (venerdì 2 marzo), un certo ricercatore del CERI, tale Ziki Laidi, dunque non un nume tutelare, un Morin o un Touraine, tanto per fare qualche grosso nome, si permette il lusso di domandarsi: «Quale futuro per la sinistra del XXI° secolo?» e dopodiché giù botte da orbi sul determinismo storico ed ideologico della sinistra, senza risparmiare neppure la Giovanna d'Arco socialista, la Ségolène Royal.
Sostiene Ziki Laidi che una sinistra del futuro non può censurare la propulsione positiva della globalizzazione, come, parimenti, non può vivere di meccanismi redistributivi, che tanto piacciono a Ferrero, ma deve adattarsi ai nuovi sistemi culturali e sociali, non alle pulsioni delle moltitudini sovversive. Ziki Laidi sostiene, evidentemente non conoscendo a fondo la sinistra nostrana, che la sinistra francese è la peggiore in Europa con ritardi culturali spaventosi, quasi incolmabili, illiberale in un Paese già di per sé così poco liberale. Niente male come giudizio. Ma il ricercatore, acuto e fine nelle sue analisi, non sa che razza di sinistra dobbiamo sorbirci in Italia...Vale la pena citare un passaggio dell'ottimo articolo del ricercatore del CERI: «(...) La sinistra e l'estrema sinistra hanno abbandonato qualsiasi critica sociale dello Stato rispetto alla quale essi hanno posto un altro compito prioritario: la lotta contro il nemico liberale». Anche in Italia abbiamo ministri comunisti che, invece di criticare i meccanismi distorsivi dello Stato, con le iniquità del caso, alimentano una battaglia continua contro ogni modernizzazione del sistema pubblico.
Ecco, allora, che la sinistra italiana è alla canna del gas ancor più di quella francese, il che, e Ziki Laidi ce lo confermerebbe, è tutto dire. Ma forse, in Francia, non hanno quel punto dolente che abbiamo invece noi in Italia: Sanremo. No, non intendo il festival della canzone italiana, ma l'ultimo congresso di Rifondazione comunista, dedicato al sociale diffuso. Con Baudo speaker del partito e il comico Rossi portavoce di Ferrero.
"Il Prof. ha mentito, ecco le prove". Piergiorgio Picozzi
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=161905&START=0&2co
Il contabile di Legnano, nero su bianco, smentisce gli allarmi ed evidenzia le bugie di Prodi.
Il contabile di Legnano, nero su bianco, smentisce gli allarmi ed evidenzia le bugie di Prodi.
lunedì 5 marzo 2007
Lenzuolata Bersani. Un Position Paper per capirla. IBL
Un Position Paper dell'Istituto Bruno Leoni, intitolato "Bersani 2: Dove sono le liberalizzazioni?" analizza nel dettaglio il disegno di legge Bersani sulle "liberalizzazioni". Il ddl viene considerato "deludente", in quanto "non mantiene le promesse alimentate dal suo marketing", cioè quelle di nuove liberalizzazioni. Infatti, solo due articoli - quello relativo alla distribuzione dei carburanti e quello sul trasporto ferroviario - hanno un contenuto liberalizzatore: in entrambi i casi, poi, "coesistono spunti interessanti o decisamente positivi con una scarsa determinazione a perseguire fino in fondo l'opera liberalizzatrice (che nel caso della distribuzione carburanti avvalora il sospetto che si tratti di un passo compiuto non solo nell'interesse dei consumatori, ma anche a favore di alcuni soggetti economici rilevanti)".Se si guarda al merito dei provvedimenti, abbandonando la cortina fumogena sulle liberalizzazioni, la valutazione dell'IBL è invece moderatamente positiva: "spesso si tratta di interventi giusti ed efficaci, anche se di modesta incidenza". In altri casi invece prevalgono "misure di stampo consumerista che talora contrastano con un approccio di mercato". Nel dettaglio "6 articoli o gruppi di articoli vengono valutati positivamente, 5 negativamente, e 6 in maniera indifferente: ciò significa talvolta che si tratta di misure modeste che non migliorano né peggiorano la situazione, piùspesso che nello stesso articolo o gruppo di articoli convivono passi avanti e passi indietro, in una misura tale da rendere difficile una valutazione netta".Dice Alberto Mingardi, direttore generale dell'IBL: "questo disegno di legge non ha nulla a che vedere con l'agenda di liberalizzazioni che la politica continua a promettere. Se un'azienda privata avesse adottato una tecnica di comunicazione simile, sarebbe stata condannata per pubblicità ingannevole".Il Position Paper è liberamente scaricabile qui
IL GIUDIZIO DELL'IBL SUL DDL BERSANI NEL DETTAGLIO:
Art. 1. Distribuzione carburanti - incerto
Art. 2. Attività di intermediazione commerciale e di affari - positivo
Art. 3. Componentistica dei veicoli a motore - positivo
Art. 4. Distribuzione del Gpl - negativo
Art. 5. Servizi a terra aeroportuali - incerto
Art. 6. Trasporto ferroviario - incerto.
Art. 7. Trasporto innovativo - negativo
Art. 8. Incentivi - negativo
Artt. 9-19. Impresa più facile - incerto
Artt. 19-27. Misure per le imprese - positivo
Art. 21. Capitalizzazione delle imprese - incerto
Art. 28. Istruzione tecnico-professionale - positivo
Art. 29. Organi collegiali delle istituzioni scolastiche - negativo
Art. 32. Nullità della clausola di massimo scoperto - negativo
Art. 33. Modernizzazione degli strumenti di pagamento - incerto
Art. 35. Portabilità della targa - positivo
Artt. 36-41. Abolizione del Pubblico Registro Automobilistico - positivo
IL GIUDIZIO DELL'IBL SUL DDL BERSANI NEL DETTAGLIO:
Art. 1. Distribuzione carburanti - incerto
Art. 2. Attività di intermediazione commerciale e di affari - positivo
Art. 3. Componentistica dei veicoli a motore - positivo
Art. 4. Distribuzione del Gpl - negativo
Art. 5. Servizi a terra aeroportuali - incerto
Art. 6. Trasporto ferroviario - incerto.
Art. 7. Trasporto innovativo - negativo
Art. 8. Incentivi - negativo
Artt. 9-19. Impresa più facile - incerto
Artt. 19-27. Misure per le imprese - positivo
Art. 21. Capitalizzazione delle imprese - incerto
Art. 28. Istruzione tecnico-professionale - positivo
Art. 29. Organi collegiali delle istituzioni scolastiche - negativo
Art. 32. Nullità della clausola di massimo scoperto - negativo
Art. 33. Modernizzazione degli strumenti di pagamento - incerto
Art. 35. Portabilità della targa - positivo
Artt. 36-41. Abolizione del Pubblico Registro Automobilistico - positivo
venerdì 2 marzo 2007
I trucchi sui numeri. Paolo Del Debbio
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=160735
Ancora una volta è necessario fare chiarezza sul deficit pubblico e sull'incremento del Pil.
Ancora una volta è necessario fare chiarezza sul deficit pubblico e sull'incremento del Pil.
Produsconi. Filippo Facci
Esercitazione per l'esame di giornalismo, sezione logica aristotelica. Il candidato consideri che: 1) il programma di Romano Prodi, dopo la fabbrica del programma, e dopo l'albero del programma, e dopo la carta di Caserta, e soprattutto dopo un programma cartaceo di 280 pagine, si è ridotto a 12 punti programmatici; 2) per cotanto dimagrimento è stato sufficiente eliminare tutte le parti mirate a distruggere quanto il governo Berlusconi aveva fatto in precedenza; 3) dei 12 punti rimasti, alcuni sono di una genericità totale, tipo «impegno forte per cultura, scuola e ricerca» o «impegno concreto per il Mezzogiorno»; 4) gli altri punti, invece, sono per esempio «riordino del sistema previdenziale», «rispettare gli impegni internazionali», Afghanistan compreso, o ancora «realizzazione degassificatori» o «sostegno della famiglia», o ancora «attuazione del piano infrastrutturale», Tav compresa: e sono punti che erano già stati realizzati o senz'altro impostati o comunque cominciati dal precedente governo Berlusconi; 5) Prodi e Berlusconi hanno preso più o meno gli stessi voti. Tutto ciò posto, il candidato ha trentadue ore e mezza per rispondere al seguente quesito: ma allora perché governa Prodi?
Intervista a Capezzone: "I radicali riflettano sulla crisi di Prodi e sulle riforme". Dimitri Buffa
Se qualcuno dentro e fuori dai Radicali italiani si era illuso che a Daniele Capezzone, ex segretario e attuale presidente della Commissione attività produttive della Camera, prima o poi saltassero i nervi, a forza di critiche ingenerose e meschinità di ogni tipo, compresi processi politici da movimentismo comunista anni ’70, quel qualcuno farà meglio a ricredersi. La battaglia è impari. Capezzone, per usare il gergo tennistico, è il classico pallettaro: con più forza lo attacchi, con più convinzione ti risponde e rimette sempre la palla al di là della rete. Mai un errore gratuito, mai una palla sprecata. Sereno come Rafael (Rafa) Nadal dopo cinque ore di gioco sulla terra rossa del Roland Garros. E questo nonostante sia ormai al trentacinquesimo giorno di sciopero della fame, portato avanti con convinzione perché finalmente il Senato aggiudichi quegli otto seggi contestati. Secondo la legge scritta e non quella interpretata. Difficile averla vinta con lui. E questo vale anche per Marco Pannella ed Emma Bonino. Con i quali evita le polemiche. Pur non recedendo di un millimetro dalle proprie posizioni assai critiche su questo governo Prodi al quale Capezzone conferma che negherà il voto di fiducia.
Onorevole Capezzone, lei conferma che si asterrà oggi alla Camera negando la fiducia a Prodi?
Allo stato non è intervenuto nessun fatto nuovo che possa mutare la situazione. Alla Camera c’è una maggioranza di cinquanta deputati. Il preannuncio della mia astensione è solo un modo per aiutare il dibattito sulle riforme. Che per ora non si fanno. In queste settimane oltre a lagnarsi della situazione mi domando se ci sarà voglia di discutere sul da farsi...”.
Cioè?
Io mi riconosco nelle parole dell’amico Nicola Rossi che ha detto che la responsabilità dell’attuale crisi è più colpa della sinistra riformista che non di quella massimalista...
Quella che gli altri chiamano “radicale”..
Già. Peccato che la sinistra conservatrice e massimalista faccia il suo mestiere mentre quella riformista no. E questa è la ragione dell’attuale stallo.
Però proprio questa posizione di critica costruttiva ha attirato le critiche dei radicali a cominciare da Angiolo Bandinelli che dice che lei vuole solo mettersi in mostra. Non è paradossale?
Francamente devo dire che questo dibattito interno ha avuto delle punte di piccolezze che non ci hanno aiutato. Per questo io l’altro ieri ho molto ringraziato Adriano Sofri che, con il suo articolo sul “Foglio”, ha contribuito ad alzare il livello della discussione. Semmai faccio io un’osservazione rispetto alla maggioranza nel suo insieme...
Quale?
Quella che molti deputati del centro sinistra sono assolutamente consapevoli della criticità della situazione, semmai è strano che qualcuno abbia avuto reazioni nervose al mio preannuncio di astensione. Devo constatare che evidentemente anche una maggioranza sulla carta di più di cinquanta voti non è ritenuta una soglia di sicurezza sufficiente.
Già…
Ma questa è una prova di forte debolezza. Adesso sembra che non si voglia nemmeno discutere nel merito le mie osservazioni. Sono però molto confortato dalla valanga di messaggi di incoraggiamento che sto ricevendo, sia da parte di radicali sia da parte di non radicali, e poi anche dalla solidarietà di molti deputati della stessa maggioranza.
Bandinelli però ha ritorto l’articolo di Sofri contro di lei. Come la mettiamo?
Tutto farò tranne che aprire una polemica con lui. Ciascuno può giudicare. Colgo l’occasione per fare ad Angiolo i miei più sentiti auguri.
E come risponde a quelli che dicono che lei ha escluso i radicali dal tavolo dei volenterosi?
Che è un’osservazione che non sta in né in cielo né in terra. Questo tavolo è aperto a tutti, non è e non sarà mai un partito politico o niente del genere. Decine di persone si sono registrate... proprio non capisco questa cosa. Francamente però io mi voglio sottrarre a queste polemiche. Per fortuna, come ho scritto ieri nel mio comunicato, è arrivato l’articolo di Sofri a riscaldare un dibattito e a indirizzarlo su binari da cui aveva deragliato. Prendendo anche una piega che mi aveva amareggiato. Con punte di piccolezza che mi hanno ferito. Ora è venuto il momento di una riflessione seria e serena sul futuro dei radicali che io credo sarà straordinario. Devono però costruirlo con pazienza e con coraggio. Io sono pronto ad assumermi le mie responsabilità. Ma tutti dobbiamo compiere una scelta non subalterna e non rinunciataria nell’attuale momento politico di crisi.
In pratica?
Sono sicuro che Marco che è spesso il primo a cogliere le occasioni e le opportunità, a valutarle e a costruire soluzioni nuove, non si farà sfuggire questa possibilità. E’ in ballo il nostro rapportarci da radicali con il governo Prodi in un momento in cui in politica estera, in quella economica e in quella dei diritti civili non si fa un solo passo in avanti.
Già, ma Pannella che ne pensa di tutto ciò?
Io sono sicuro che la discussione verrà aperta. E sono molto felice che la mia scelta politica ha contribuito a creare le condizioni per aprire questa discussione sul futuro dei radicali.
La Rosa nel pugno è un’esperienza chiusa?
Neanche per sogno, quanta fretta. Certo però il progetto nasce dal principio di non subalternità. Non può diventare un cespuglio amico della sinistra. Noto che coloro che oggi hanno fretta di liquidare quell’esperienza sono gli stessi che si dichiarano pronti a farsi omologare nel senso suddetto.
Lei partecipa al toto Prodi? Quanto durerà?
Non riesco ad appassionarmi al nuovo gioco di società. Piuttosto mi chiedo e con me la maggioranza degli italiani, cosa possa fare in queste condizioni questo governo, la domanda non è se durerà, ma come durerà. Ed è quello che dirò domani nel mio intervento di dichiarazione di voto. Io sarei il primo a rallegrarmi se l’esecutivo potesse stupire me e il Paese, tutto il mio sforzo è proteso a ciò... però allo stato mi pare che questo non ci sia.
Parliamo infine dei seggi al Senato e dei trentacinque o trentasei giorni di digiuno di dialogo. Si intravede uno spiraglio?
Mentre ci parliamo sono al trentacinquesimo giorno della fame. I risultati per ora sono la coraggiosa relazione del senatore Manzione e la prima risposta del presidente della giunta per le elezioni Nania. Ora io proseguo per portare a compimento l’iniziativa, confido che presto potranno esserci fatti nuovi. Presto la legge verrà finalmente applicata. Nel metodo e nel merito.
Quando? Quanto presto?
Non ho la palla di vetro ed è meglio perché se la avessi potrei avere la tentazione di usarla in maniera impropria.
Onorevole Capezzone, lei conferma che si asterrà oggi alla Camera negando la fiducia a Prodi?
Allo stato non è intervenuto nessun fatto nuovo che possa mutare la situazione. Alla Camera c’è una maggioranza di cinquanta deputati. Il preannuncio della mia astensione è solo un modo per aiutare il dibattito sulle riforme. Che per ora non si fanno. In queste settimane oltre a lagnarsi della situazione mi domando se ci sarà voglia di discutere sul da farsi...”.
Cioè?
Io mi riconosco nelle parole dell’amico Nicola Rossi che ha detto che la responsabilità dell’attuale crisi è più colpa della sinistra riformista che non di quella massimalista...
Quella che gli altri chiamano “radicale”..
Già. Peccato che la sinistra conservatrice e massimalista faccia il suo mestiere mentre quella riformista no. E questa è la ragione dell’attuale stallo.
Però proprio questa posizione di critica costruttiva ha attirato le critiche dei radicali a cominciare da Angiolo Bandinelli che dice che lei vuole solo mettersi in mostra. Non è paradossale?
Francamente devo dire che questo dibattito interno ha avuto delle punte di piccolezze che non ci hanno aiutato. Per questo io l’altro ieri ho molto ringraziato Adriano Sofri che, con il suo articolo sul “Foglio”, ha contribuito ad alzare il livello della discussione. Semmai faccio io un’osservazione rispetto alla maggioranza nel suo insieme...
Quale?
Quella che molti deputati del centro sinistra sono assolutamente consapevoli della criticità della situazione, semmai è strano che qualcuno abbia avuto reazioni nervose al mio preannuncio di astensione. Devo constatare che evidentemente anche una maggioranza sulla carta di più di cinquanta voti non è ritenuta una soglia di sicurezza sufficiente.
Già…
Ma questa è una prova di forte debolezza. Adesso sembra che non si voglia nemmeno discutere nel merito le mie osservazioni. Sono però molto confortato dalla valanga di messaggi di incoraggiamento che sto ricevendo, sia da parte di radicali sia da parte di non radicali, e poi anche dalla solidarietà di molti deputati della stessa maggioranza.
Bandinelli però ha ritorto l’articolo di Sofri contro di lei. Come la mettiamo?
Tutto farò tranne che aprire una polemica con lui. Ciascuno può giudicare. Colgo l’occasione per fare ad Angiolo i miei più sentiti auguri.
E come risponde a quelli che dicono che lei ha escluso i radicali dal tavolo dei volenterosi?
Che è un’osservazione che non sta in né in cielo né in terra. Questo tavolo è aperto a tutti, non è e non sarà mai un partito politico o niente del genere. Decine di persone si sono registrate... proprio non capisco questa cosa. Francamente però io mi voglio sottrarre a queste polemiche. Per fortuna, come ho scritto ieri nel mio comunicato, è arrivato l’articolo di Sofri a riscaldare un dibattito e a indirizzarlo su binari da cui aveva deragliato. Prendendo anche una piega che mi aveva amareggiato. Con punte di piccolezza che mi hanno ferito. Ora è venuto il momento di una riflessione seria e serena sul futuro dei radicali che io credo sarà straordinario. Devono però costruirlo con pazienza e con coraggio. Io sono pronto ad assumermi le mie responsabilità. Ma tutti dobbiamo compiere una scelta non subalterna e non rinunciataria nell’attuale momento politico di crisi.
In pratica?
Sono sicuro che Marco che è spesso il primo a cogliere le occasioni e le opportunità, a valutarle e a costruire soluzioni nuove, non si farà sfuggire questa possibilità. E’ in ballo il nostro rapportarci da radicali con il governo Prodi in un momento in cui in politica estera, in quella economica e in quella dei diritti civili non si fa un solo passo in avanti.
Già, ma Pannella che ne pensa di tutto ciò?
Io sono sicuro che la discussione verrà aperta. E sono molto felice che la mia scelta politica ha contribuito a creare le condizioni per aprire questa discussione sul futuro dei radicali.
La Rosa nel pugno è un’esperienza chiusa?
Neanche per sogno, quanta fretta. Certo però il progetto nasce dal principio di non subalternità. Non può diventare un cespuglio amico della sinistra. Noto che coloro che oggi hanno fretta di liquidare quell’esperienza sono gli stessi che si dichiarano pronti a farsi omologare nel senso suddetto.
Lei partecipa al toto Prodi? Quanto durerà?
Non riesco ad appassionarmi al nuovo gioco di società. Piuttosto mi chiedo e con me la maggioranza degli italiani, cosa possa fare in queste condizioni questo governo, la domanda non è se durerà, ma come durerà. Ed è quello che dirò domani nel mio intervento di dichiarazione di voto. Io sarei il primo a rallegrarmi se l’esecutivo potesse stupire me e il Paese, tutto il mio sforzo è proteso a ciò... però allo stato mi pare che questo non ci sia.
Parliamo infine dei seggi al Senato e dei trentacinque o trentasei giorni di digiuno di dialogo. Si intravede uno spiraglio?
Mentre ci parliamo sono al trentacinquesimo giorno della fame. I risultati per ora sono la coraggiosa relazione del senatore Manzione e la prima risposta del presidente della giunta per le elezioni Nania. Ora io proseguo per portare a compimento l’iniziativa, confido che presto potranno esserci fatti nuovi. Presto la legge verrà finalmente applicata. Nel metodo e nel merito.
Quando? Quanto presto?
Non ho la palla di vetro ed è meglio perché se la avessi potrei avere la tentazione di usarla in maniera impropria.
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