martedì 11 luglio 2006

Il potere e la messa. Davide Giacalone

La cosa più rispettosa che un non credente possa fare, nei confronti di un rito religioso, è non partecipare. Come, del resto, è segno di rispetto che un islamico non voglia presidiare una messa protestante, o un animista prendere parte all’eucaristia. Da questo punto di vista non vedo cosa si possa rimproverare al capo del governo spagnolo, a quel Zapatero che non mi piacque fin dalla sua prima decisione.
La cosa strana è che molte critiche giungano proprio da quanti tengono in primaria importanza la religione, quasi che, per un capo di governo od aspirante tale sia migliore la condotta morale del borbone Enrico di Navarra, che riuscì a diventare il quarto di Francia dopo avere accettato di tradire gli ugonotti: “Parigi val bene una messa”.
Ed è davvero singolare che qualcuno, dal mondo cattolico, abbia voluto ricordare a Zapatero che Castro aveva scelto diversamente, partecipando alla messa. Cribbio, il dittatore cubano è un buon esempio per chi voglia dedicarsi alla repressione di ogni libertà, alla negazione di ogni diritto, alla fame del proprio popolo. Passi per le pecorelle smarrite, ma che i lupi, le cui fauci grondano sangue, siano da imitarsi, mi pare tesi alquanto ardita.
Poi si passa agli eccessi opposti, ovvero a quanti ritengono che chi ha responsabilità pubbliche non dovrebbe mai prendere parte a riti religiosi. Il bigottismo di certi non credenti è vivida testimonianza di come il dogmatismo non sia monopolio delle religioni. Invece credo che manifestare la propria fede, se si hanno incarichi pubblici, resta un diritto della persona. E mi spingo oltre: in qualche caso è doveroso varcare la soglia consacrata, anche quando non si è credenti. Penso, ad esempio ai funerali, dove la presenza è ossequio alla memoria degli scomparsi. Se non si è credenti non si prenderà attivamente parte al rito, ma si potrà, rispettosamente, essere presenti ed emotivamente coinvolti. Così come, del resto, in tutt’altra cornice, il partecipare ai matrimoni può essere segno di condivisione della felicità con i propri amici, senza per questo condividerne le convinzioni. La laicità, come la libertà, è un esercizio difficile, che riguarda credenti e non credenti, un cimento ove soccombe chiunque creda d’avere l’esclusiva della verità.

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