Farina ha fatto bene a collaborare col Sismi per la sicurezza dello stato
Pare che nel corso dell’interrogatorio a Milano il giornalista Renato Farina abbia tenuto alta la testa. E abbia raccontato quel che i pm avevano in parte già scoperto, che lui lavorava per il Sismi (e il lavoro ad alto rischio si paga, si pagano pure i fannulloni, figuriamoci), che ha partecipato a una sorta di operazione coperta cercando di capire se la magistratura milanese fosse in grado oppure no di incastrare la nostra intelligence nella storia della deportazione forzata di un imam di viale Jenner sospettato di terrorismo, a quindici mesi dall’11 settembre.
Parliamo di deportazione forzata perché Giuliano Amato, il ministro dell’Interno e non un passante, ha giustamente detto che quello che a uno può sembrare un sequestro di persona aggravato dalla partecipazione di pubblici ufficiali a un altro può parere un’operazione di polizia internazionale. Ecco, noi siamo quell’altro. E sui limiti di legalità entro cui devono operare i servizi, “eterno problema”, Amato ha aggiunto che vanno definiti bene, oggi sono grigi (e grigi resteranno – ci permettiamo di aggiungere noi – finché esisteranno confini, guerre, eserciti e intelligence).
Non è la solita favoletta con i giornalisti di sinistra incorruttibili che lavorano per la genuina informazione mentre il giornalista di destra, corrotto, fiancheggia lo stato deviato. Repubblica ha fatto la sua campagna, legittima, facendo “la spola” con la procura di Milano, sollecitando testimonianze della Cia parallela e dissidente dalla Casa Bianca, pubblicando le tesi di spioni francesi che convenivano alla loro idea, fortemente politica, di un grande inganno italiano nel caso del Nigergate, e di una responsabilità di governo e servizi nel clamoroso caso di illegalità combinata tra la Cia e il Sismi per la traduzione di Abu Omar in Egitto via Aviano.
E’ una campagna giornalistica e politica, punto. Farina si è schierato dall’altra parte, che è anche la parte in cui militano milioni di occidentali che non vogliono darla vinta alla guerra santa e alle sue bombe, e anche se avesse combinato qualche pasticcio minore, la sua è stata la scelta giusta. Morale e legalità non sempre coincidono, come sanno gli italiani rapiti dai “resistenti” in Iraq e liberati via riscatto inconfessabile da agenti che agivano in modo inconfessabile allo scopo umanitario di salvarli ad ogni costo, compresa la vita.
Ora c’è da sperare che i funzionari del Sismi, dal vertice in giù, la piantino di mandare in giro testimonianze e veline malaccorte, in cui ciascuno dà l’impressione di difendere se stesso e buttare a mare un lavoro istituzionale che invece va difeso con le unghie e con i denti. E’ vero che siamo il paese dell’arte di arrangiarsi, ma sarebbe non tanto scandaloso quanto esiziale se i servizi e la classe dirigente che li ha governati e li governa, posti di fronte alla verifica di legalità, si dividessero in risibili faide interne. Per certe cose, quando l’obbligatorietà dell’azione penale cosiddetta entra in urto con la sicurezza del paese e dei cittadini, c’è il segreto di stato. Lo si usi.
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1 commento:
Rimane un problema, il solito, che Abu Omar fosse un terrorista rimane da dimostrare e questo e' un fatto oggettivo che non si puo' negare. Per di piu' e' stato portato fuori dall'Italia, ora: prima di tutto se andava arrestato, arrestiamolo pure, facciamogli un processo e se e' colpevole mettiamolo in carcere. Ma queste scene di aperta violazione dei diritti umani proprio non mi piacciono. Provate voi ad andare a casa degli americani a fare quello che hanno fatto loro: perche' i nostri servizi segreti non vanno a rapire gli autori della strage del Cermis che se ne stanno a piede libero. E' giusto questo? Secondo me no.
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