domenica 27 aprile 2008

Gli intellettuali e il comunismo: il grande inganno. Emiliano Stornelli

Roma è davvero la “capitale della cultura”. Non solo mostre, rappresentazioni teatrali e concerti; Roma oggi può vantare ben due Festival, uno del Cinema e l’altro della Filosofia: dai tappeti rossi per le star del grande schermo di tutto il mondo alla novella scuola di Atene che l’amministrazione capitolina ha ricreato anche quest’anno nelle sale dell’Auditorium. A quarant’anni dal suo avvento, il Festival della Filosofia 2008 non poteva non essere dedicato al “Sessantotto. Tra pensiero e azione”. E così, dal 17 al 20 aprile, con la sapiente direzione scientifica di Paolo Flores D’Arcais e l’alto patronato dell'uomo ovunque di Walter Veltroni, Goffredo Bettini, l’eccellenza del pensiero contemporaneo ha “esplorato” nel corso di “tavole rotonde”, “lectio magistralis”, “incontri straordinari”, “caffè filosofici” e persino “contrappunti”, i “temi più strettamente connessi a quegli anni come la rivolta studentesca, la scelta della violenza, il confronto tra le diverse etiche della rivolta nel 1968 e nel 1989” e via dicendo, “evitando qualsiasi caduta celebrativa o nostalgica” e “con particolare attenzione ai giovani”. Tra i grandi maestri, il fondatore della Repubblica Eugenio Scalfari, Antonio Negri, professore di eversione armata contro lo Stato nazionale e imperialista, e il “filosofo e psicoanalista sloveno” Slavoj Žižek, “fra i protagonisti indiscussi del panorama filosofico e teorico internazionale”, della cui illuminante prolusione, dal titolo “Nel 1968 le strutture sono scese in piazza. Lo faranno ancora?”, vale la pena riportare brevemente la traccia pubblicata sul sito internet di questo grande evento culturale: “Se, come sostiene Alain Badiou, il Maggio 68 è stato la fine di un’epoca, segnalando (insieme alla Rivoluzione Culturale Cinese) l’esaurimento definitivo della grandiosa serie politico-rivoluzionaria che è iniziata con la Rivoluzione d’Ottobre, dove siamo oggi? Noi che ancora contiamo su un’alternativa radicale al capitalismo democratico-parlamentare, siamo costretti a ritirarci e ad agire da differenti siti di resistenza o possiamo ancora immaginare un intervento politico più radicale?”.

Guarda caso, in quegli stessi giorni si trovava a Roma anche Paul Hollander, storico e sociologo nato settantasei anni fa in Ungheria, da tempo negli Stati Uniti dove insegna all’Università del Massachussets. Già scampato alla persecuzione nazista, dopo un iniziale accostamento il comunismo lo costrinse alla fuga nel fatidico 1956, anno in cui Budapest fu occupata dall’Armata Rossa. Riparato a Londra, Hollander rimase profondamente colpito dalla fascinazione acritica che l’intellettualismo occidentale nutriva per il comunismo. Ne rimase così colpito da dedicare successivamente la sua attività di studio alla comprensione dell’inganno psicologico e culturale che aveva indotto poeti, artisti, filosofi e letterati a schierarsi attivamente con l’Unione Sovietica, la Cina di Mao, la Cuba di Castro e Che Guevara contro la civiltà occidentale e gli Stati Uniti che ne rappresentavano l’avanguardia. Un inganno che è sopravvissuto alla storia, al fallimento di quei regimi sanguinari e domina ancora le menti e i cuori di quanti oggi, pur beneficiando dei vantaggi delle tanto vituperate democrazie liberali, in primo luogo della libertà d’espressione, all’Occidente preferiscono l’islam radicale, a George W. Bush Bin Laden. Dove sta l’inganno?

Nell’incontro del 21 aprile ospitato dalla Fondazione Magna Carta, Hollander ha illustrato i risultati della sua lunga indagine e delle sue opere fondamentali: Political Pilgrims (1988, tradotto in italiano con il titolo Pellegrini politici. Intellettuali occidentali in Unione Sovietica, Cina e Cuba), Anti-Americanism: irrational & rational (1995) e The end of Commitment. Intellectuals, revolutionaries and political morality (2006).

Spiega Hollander che la ricerca di modelli alternativi a quello occidentale “è solo in minima parte dovuta a motivazioni di ordine sociale ed economico”. Se è vero che la modernità offre grandi benefici in termini materiali e di libertà, essa “porta anche conseguenze negative. L’eccessivo individualismo, la perdita del sentimento religioso e dei valori tradizionali, hanno spinto alla ricerca di nuovi significati”.Il comunismo ha così potuto sfruttare al meglio la sua emozionale capacità attrattiva, fornendo un nuovo senso d’identità e giustizia e contemporaneamente un’alternativa al modello occidentale. “Gli intellettuali - dice Hollander - sono spesso ostili nei confronti delle società capitalistiche perché queste non sono in grado di soddisfare i loro bisogni di senso e di realizzazione nella vita. E ciò accade perché le loro aspettative sono irrealistiche rispetto a quanto è possibile effettivamente tradurre in realtà”. E’ questa frustrazione a scatenare la loro reazione “non lo sfruttamento o altre forme d’ingiustizia sociale”, anche se è sempre più facile “attribuire la responsabilità all’ambiente sociale”. Il forte “senso di colpa” per i difetti, o presunti tali, del modello occidentale genera quindi “un rifiuto assoluto della modernità e degli Stati Uniti che più la rappresentano”. Questa suggestione culturale e politica “ha addormentato la ragione di molti intellettuali, ha spento la loro capacità critica e di discernimento della realtà”, fino a sviluppare una pericolosa “propensione a farsi ingannare”. Gli intellettuali occidentali, guidati dalla fantasia al potere e dalla presunzione fatale di costruire una società perfetta, il paradiso sulla terra, in realtà “volevano farsi ingannare”, erano predisposti psicologicamente a cadere nell’inganno. Inganno di cui si servì con grande abilità la propaganda delle organizzazioni e dei partiti comunisti disseminati ovunque in Occidente per radicarsi, fare proseliti e prendere il potere per via democratica o rivoluzionaria (terroristica) a seconda della strategia adottata. E l'Italia ne sa qualcosa più di ogni altro paese.

“Il comunismo - nota Hollander - oggi è meno attraente rispetto alla guerra fredda, non ha più l’appeal sulle masse che aveva un tempo, anche se in Sud America il populismo nazionalista di sinistra, come quello di Chavez, è chiaramente ispirato al marxismo e ai suoi derivati”. Ciononostante, dopo il collasso dell’Unione Sovietica, in Occidente l’odio verso gli Stati Uniti è cresciuto. Questo perché “sono rimasti soltanto gli Usa a far da calamita del dissenso internazionale. Anche la politica più assertiva militarmente cui sono stati costretti dopo l’11 settembre, ha fornito nuovi pretesti a quanti già avevano un’inclinazione antiamericana”. Il paradosso è che “l’antiamericanismo è divenuto più forte proprio negli Stati Uniti. Il guru dell’antiamericanismo mondiale, Noam Chomsky, è americano, con il risultato che l’antiamericanismo interno agli Usa e quello internazionale si legittimano e si rafforzano reciprocamente”. Sono ancora molti, pertanto, gli intellettuali occidentali che “si sforzano di cercare un modello alternativo a quello in cui vivono, cioè alternativo al capitalismo e alla globalizzazione”, finendo puntualmente per abbracciare la causa dei nemici di turno degli Stati Uniti e dell’Occidente. Di qui, “il flirt della sinistra con il radicalismo islamico”. Ma attenzione, gli estremisti islamici, dice Hollander, “sono più pericolosi dei comunisti. I comunisti sono da sempre più pragmatici, attenti agli equilibri e soprattutto non hanno mai compiuto attentati suicidi; gli estremisti islamici sono spinti da fanatismo religioso, hanno il culto della morte e del martirio, e ciò li rende più violenti e una minaccia maggiore per la sicurezza". In ogni caso, vanno considerate "le responsabilità morali degli intellettuali occidentali", che non solo "non hanno mai rinnegato la loro adesione al comunismo, ma ancora oggi fanno dell'odio assoluto contro gli Stati Uniti il loro credo, e con ciò - volontariamente o involontariamente - mettono in pericolo l'esistenza delle libere società occidentali in cui continuano a vivere malgrado il loro odio". Non ci risulta, infatti, "d'intellettuali occidentali sostenitori dei movimenti radicali islamici che si siano convertiti all'islam" - e qualora ce ne fossero si tratterebbe di una percentuale trascurabile, l'eccezione che conferma la regola - “e d'intellettuali occidentali che pur continuando a fantasticare su nuove forme di liberazione e realizzazione collettive" abbiano coerentemente scelto di “vivere sotto un regime radicale islamico dove le donne vengono discriminate, gli orientamenti sessuali non convenzionali repressi e dove sono praticati i più barbari sistemi di politica criminale". Dal comunismo all'islam radicale, "l'incoerenza tra l'ideologia professata e quella vissuta" resta.

Il Festival della Filosofia di Roma dà esattamente la misura di questa incoerenza come dell’influsso che il comunismo, grazie alle sue camaleontiche isomorfosi, continua a esercitare in Italia e in Occidente. Quei giovani che entusiasti si sono recati all’Auditorium per apprendere il verbo sono le vittime di oggi, ma saranno anche i cattivi maestri di domani. (l'Occidentale)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Un nuotatore è bravo quando va controcorrente.
Gli intellettuali (di sx, in stramaggioranza) sono bravi, letti, appetibili perché vanno contro il buon senso.
Un esempio per tutti (universale): il grande Picasso; che si spellò le mani per applaudire Stalin (alias Baffone), il più grande assassino della storia, dedicando al Movimento dei Partigiani della Pace (!!!!!!!???????!!!!!!!) da Lui istituito, la famosa, quanto famigerata colomba (con il ramoscello d'ulivo nel becco), che divenne il simbolo (quanto mai ambiguo, ipocrita, capzioso, contraddittorio) del Movimento stesso.
Al quale movimento, manco a dirlo, aderirono i nostri zelanti compagni, molti dei quali, oggi, militano nel Pd, e scrivono (e scrivevano corbellerie) sull'Unità.
Ma in Italia c'è una sola anomalia: ve la lascio indovinare!