sabato 22 novembre 2008

La politica e la libertà. Angelo Panebianco

Ciò che più sgomenta della battaglia delle idee che la crisi sta alimentando è la voluttà con cui tanti si impegnano ad archiviare, attribuendola alla follia umana, quella rivoluzione liberale che prese l’avvio con le vittorie di Margaret Thatcher (1979) e di Ronald Reagan (1980) e i cui effetti si manifestarono ovunque. Dimenticando che quella rivoluzione fu una reazione alla crisi, economica e morale, degli anni Settanta. E cancellando, con un tratto di penna, i benefici che ne derivarono: una trentennale crescita economica mondiale e una spettacolare accelerazione della globalizzazione, certo nutrita di squilibri e disuguaglianze, ma anche capace di diffondere benessere e libertà in tanti luoghi che queste cose non conoscevano. Oggi si torna a rivendicare il «primato della politica» e ci si fa beffe degli stolti che confidano nella libertà, anche in quella «economica ».

Conviene ricordare a chi irride il «liberismo » qualche insegnamento della storia. Anche dopo il ’29 il primato della politica venne riaffermato con forza (il New Deal, il socialismo scandinavo, l’Iri, i piani quinquennali sovietici, il riarmo hitleriano) in variante democratica o totalitaria. E anche allora l’intellighenzia occidentale si buttò con entusiasmo ad inseguire i miti del momento, sostenendo che il «liberalismo» (giudicato un residuo ottocentesco) era finalmente al tramonto, che stava per nascere la luminosa era della «pianificazione ». Sappiamo come finì. Il primato della politica sfociò nel protezionismo selvaggio e tutto si concluse (dieci anni dopo l’inizio della grande crisi) con una guerra mondiale. Il rapporto fra la politica e il mercato è uno degli aspetti più complessi (e oscuri, difficili da mettere a fuoco) delle società contemporanee. Lo dimostra, per un verso, la tradizionale difficoltà del pensiero liberale (e della scienza economica di ispirazione liberale) di fare i conti con il ruolo della politica. Spesso, all’acuta, intelligente, analisi delle situazioni economiche, quel pensiero affianca una critica solo moralistica della politica (per la sua propensione a farsi influenzare dagli interessi delle lobbies e a sacrificare la razionalità economica alle esigenze del consenso). Ma la difficoltà di fare i conti con la complessità del rapporto fra politica e mercato è dimostrata anche dalla disinvoltura dei fautori del primato della politica, i quali ne esaltano la capacità di occuparsi del «bene comune » (redistribuzione, protezione dei più deboli) ma sembrano ignari degli «effetti collaterali», pesantemente negativi, che quel primato porta con sé.

Gli assertori del primato della politica hanno un grande vantaggio rispetto ai liberali. Consiste nel fatto che dalla politica tutti si aspettano la soluzione ai loro problemi e le attribuiscono ogni colpa delle mancate o cattive soluzioni. La politica è il deus ex machina che tutti invocano. È interessante il fatto che non solo la gente comune ma anche gran parte delle élites fatichino ad accettare l’idea che non tutto ciò che accade sia il prodotto di decisioni politiche. Essi mostrano di non riconoscere che molti accadimenti sono semplicemente il frutto del reciproco adattamento «spontaneo» fra i comportamenti di milioni e, a volte, miliardi di persone, l’esito aggregato, per lo più imprevisto e imprevedibile, di un gran numero di azioni ispirate da altrettante menti singole. Nonostante la secolarizzazione, gente comune e élites continuano a credere che tutto si debba alla volontà degli Dei. La differenza è che questa idea di onnipotenza è stata trasferita, proiettata, su uomini in carne ed ossa, i cosiddetti potenti della Terra. I più, misconoscendo il ruolo fondamentale degli aggiustamenti spontanei, credono nella sola esistenza delle «mani visibili». Siano esse di Roosevelt, di Clinton, di Bush. Ma anche di Sarkozy, Berlusconi, eccetera.

L’attesa salvifica che oggi circonda Obama è un esempio estremo di questo persistente atteggiamento. A me pare che in questo atteggiamento si annidino due errori. In primo luogo, l’errore di non riconoscere che l’onnipotenza della politica è solo un mito. Un mito lugubre, per di più. Con quanto più accanimento è stato perseguito tante più catastrofi si sono prodotte. Il grande lascito culturale (che oggi la crisi va disperdendo) delle rivoluzioni liberali di trenta anni fa —a loro volta, ispirate al liberalismo classico, sette-ottocentesco— stava nel rifiuto dell’onnipotenza della politica, nel riconoscimento che solo lasciando massima libertà agli individui e alla creatività individuale si fa il bene di una società, che compito del governo non è darci la «felicità» ma lasciarci liberi di cercare la nostra personale strada alla felicità. Il secondo errore consiste nel non vedere i costi del primato della politica, non saper contrapporre ai vantaggi di breve termine i costi dì medio-lungo termine. Nel breve termine la politica è sicuramente in grado di assicurare vantaggi. Per esempio, in una situazione di crisi, salvando il credito, tamponando gli effetti della disoccupazione, eccetera.

Ma il punto è che ciò che la politica ci dà con una mano oggi se lo riprenderà domani con gli interessi (in termini di controllo sulle nostre vite). Certamente, dobbiamo oggi affidarci a decisioni politiche per fronteggiare la crisi. E dobbiamo purtroppo accettare una più forte presenza dello Stato. Ma se non lo facciamo a malincuore, se ci mettiamo dentro un immotivato entusiasmo, se non ci rendiamo conto che si può accettare un temporaneo ampliamento del ruolo dello Stato in condizioni di emergenza solo pretendendo che lo Stato si impegni a ritirare di nuovo i suoi tentacoli quando l’emergenza sarà finita, contribuiamo a preparare un futuro persino peggiore del presente. È una questione di atteggiamenti culturali. In America esistono potenti anticorpi che impediranno degenerazioni permanenti del tipo «socialismo di Stato». In Europa continentale gli anticorpi sono più deboli (in Italia, poi, sono debolissimi). Il rischio, qui da noi, non è il «ritorno dello Stato» della cui invadenza, in realtà, nonostante tanti sforzi, non ci siamo mai liberati. Il rischio è che quell’invadenza torni a godere di piena legittimazione culturale. Il rischio è dimenticare che quanto più la politica si impiccia, quanto più pretende di dispensarci la felicità, tanto più si riduce, col tempo, la libertà di ciascuno di noi. (Corriere della Sera)

6 commenti:

Anonimo ha detto...

È una questione di atteggiamenti culturali. In America esistono potenti anticorpi che impediranno degenerazioni permanenti del tipo «socialismo di Stato». In Europa continentale gli anticorpi sono più deboli (in Italia, poi, sono debolissimi). Il rischio, qui da noi, non è il «ritorno dello Stato» della cui invadenza, in realtà, nonostante tanti sforzi, non ci siamo mai liberati. Il rischio è che quell’invadenza torni a godere di piena legittimazione culturale. Il rischio è dimenticare che quanto più la politica si impiccia, quanto più pretende di dispensarci la felicità, tanto più si riduce, col tempo, la libertà di ciascuno di noi.

E' il punto fondamentale.
UN PRO-MRMORIA PER I "COMPAGNI"

NO COMMENT

Angelo D'Amore ha detto...

un tempo la politica governava l'economia. oggi e' l'economia che governa il mondo, sotto forma di potere economico.
un tempo le guerre decise dalla politica, risolvevano le crisi.
oggi e'l'economia che le puo' determinare.
tutti sono felici del calo del greggio, forse un po' meno i paesi produttori.
un tempo la politica si inventava conflitti per controllare le fonti energetiche.
oggi i produttori di energia possono determinare tensioni per ricavarne vantaggi economici.

Anonimo ha detto...

...mmh,l hai davvero letto il libro di panebianco?temo che tu ti sia perso la critica al liberalismo e abbia fatto tua un interpretazione del tutto errata, devo dire che però è bello credere di aver capito ciò che già si pensa e trovare false conferme delle proprie idee in un trattato giuridico è un idea veramente geniale per accrescere la propria convinzione di essere nel giusto..benchè tutto ciò escluda la critica oggettiva e dia libero spazio alle interpretazioni senza un margine di obiettività, ma ognuno è artefice della propria coerenza,giusta o sbagliata che sia.

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie