Se Luigi De Magistris non esistesse, si dovrebbe inventarlo. Egli svolge un ruolo sociale di grande importanza, consistente nel dimostrare perché il prestigio della magistratura è in inarrestabile crollo. Critico spesso i costumi della politica, ne denuncio quelle che mi sembrano imperdonabili insufficienze, ne detesto le cadute di stile. Qualche volta mi coglie il dubbio d’esagerare, qualche altra temo d’essere troppo reticente, rimproverandomi di non utilizzare giudizi ancor più severi. C’è una formazione politica, però, in cui non riesco a trovare un solo lato positivo, un solo aspetto convincente, una sola parola che non desti ripulsa istituzionale: l’Italia dei Valori. Gioca un ruolo nefando nei confronti della sinistra, trattenendola in atteggiamenti reazionari. Rappresenta un rigurgito dell’Italia peggiore. Da ultimo, ne è dimostrazione De Magistris, che dall’esibizionismo giudiziario, dalle inchieste a mezzo stampa, passa direttamente ad un seggio europeo, pronunciando parole bugiarde.
Aveva detto che si sarebbe dimesso dalla magistratura, invece ha chiesto l’aspettativa, che sarebbe la versione burocratica del tenere il piede in due scarpe, del fare i faziosi e pretendersi al di sopra delle parti. Il suo capo, del resto, Antonio Di Pietro, si dimise, ma solo per non essere buttato fuori. I due sono gemelli nell’avere utilizzato il ruolo di pubblico ministero allo scopo di promuovere e propagandare se stessi, adeguandosi all’idea che il diritto s’incarni in quello proprio di mettersi in mostra ed incassare al più presto il corrispettivo della fama così conquistata. Dicono che, adesso, i due siamesi si trovino in un qualche contrasto. Sarebbe ragionevole, giacché non è facile far convivere gente che guarda solo a se stessa e si considera al servizio esclusivo della propria scalata sociale.
Circa la bugia detta da De Magistris, si potrebbe essere indulgenti ed osservare che la falsità è intrinseca alla politica, e le promesse violate ne sono il cacio sui maccheroni. Non la penso così: la politica è materia di alto valore, il praticarla dovrebbe essere un onore, le sue finalità possono essere nobili. A patto non s’empia d’ignobili. Delle bugie di De Magistris, però, non vale la pena occuparsi più di tanto, il fondo limaccioso su cui poggia il partito che lo ha candidato esclude se ne possa ragionare seriamente. Le segnaliamo agli italiani che lo hanno votato, acciocché ricordino di che pasta sono fatti certi eroi. Interessa, invece, l’aspetto generale: ai magistrati che si candidano deve essere impedita l’aspettativa, chi intraprende la carriera politica non deve più potere tornare indietro.
Risponderanno che, così, si viola la Costituzione, che un magistrato deve avere, almeno, gli stessi diritti politici degli altri. E’ vero il contrario: la Costituzione prevede esplicitamente che i diritti di taluni abbiano una regolamentazione particolare, quindi si tratta di applicarla, smettendo di violarla. L’articolo 98 è chiarissimo: “si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera (…) i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici (…)”. Ed è giusto che sia così, perché i cittadini non devono temere d’essere inquisiti o giudicati da gente presa da passione politica. I Costituenti, invece, vengono trattati come degli scemi, pertanto non solo non si è fatta la legge necessaria ad applicare questo precetto, ma s’immagina, come nel caso di De Magistris, che non sia violazione della Costituzione l’essere stati eletti, quindi l’essersi candidati per un partito, se prima non s’è presa la tessera. Un imbroglio, reso ancor più grave dal non volere neanche rinunciare ai privilegi dell’anzianità e del futuro stipendio, quindi della doppia pensione. Non si tratta, sia chiaro, del solo De Magistris, il quale, di suo, ha aggiunto la faccia tosta di denunciare il fatto e promettere le dimissioni, per poi fare marameo ai gonzi che ci hanno creduto. Ci sono altri casi, ma tutti, senza nessuna eccezione, scandalosamente incostituzionali.
I magistrati hanno una montagna di garanzie, a tutela della loro indipendenza, anche i cittadini hanno diritto a qualche garanzia. La Costituzione ne ha descritto alcune, ma i diretti interessati hanno preso quelle pagine e ne hanno fatto aeroplanini di carta, da tirarsi durante le lunghe ore di ozio fra una ripresa televisiva e la posa per le foto dei rotocalchi, in attesa che qualche cittadino arrestato consegni la possibilità di divenire preziosi sul mercato elettorale, quindi essere eletti prima che il malcapitato sia assolto. Questa storia è parte della malagiustizia italiana, ma evidenzia anche una gravissima corruzione costituzionale. Grazie a De Magistris, ora la cosa è ancora più chiara.
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21 commenti:
Baciamo le mani a SIlvio per i soldi
mo è ora di pensare al 41bis
diamoci una mossa
quartiere malaspina
Ma Giacalone, per scrivere queste cagate, viene pagato dal suo Padrone Maialone in Escort o in Minorenni?
Le cagate le scrivi tu, P.B.
Dimostra che non è vero se sei capace!
Massima stima per il Signor De Magistris
massimo disprezzo per questi "giornalisti"
vorrei vederlo in faccia questo "giornalista" per dirgliene quattro
Che paese di merda,
forti con i deboli e camerieri dei potenti
C'è del marcio in Danimarca
C'è molta merda in Italia
infatti i potenti si chiamo de benedetti murdoch montezemolo e altri di cui tu sei schiavo.
sei tu la merda
ecco chi sono i "giornalisti" camerieri
Travaglio mette la foglia di fico alle bugie dell’Idv
Ciò che talvolta mi rende simpatico Marco Travaglio - capitò anche un’altra volta, avevo 41 di febbre - sono quegli episodi in cui dimostra che ci fa e non ci è: quegli episodi cioè che sono rivelatori del copione che ha deciso coerentemente di recitare anche quando la commedia lo imbarazza palesemente. Cioè: immaginatevi le sofferenze di chi fa sempre le pulci alle coerenze altrui - tizio disse questo, ora dice quest'altro - e al tempo stesso ha deciso di schierarsi anima e core con Antonio Di Pietro: potete immaginare le giornate che passa? Potete prefigurarvi le auto-censure, l’auto-regime, la rimozione di chi ogni volta deve riuscire a sostenere un moralistoide che dice ogni cosa e il suo contrario nell’arco di pochi giorni? Difendere l’indifendibile non è da tutti, qualche volta oltretutto è impossibile: e il più delle volte, quando l’incoerenza e la buffonaggine le vedrebbe anche Ray Charles, Travaglio si limita a tacere e a parlar d’altro; ma quando il troppo è troppo eccolo sbottare anche lui e ridivenire umano, quasi simpatico come tutto ciò che ci fa un po’ ridere.
Tonino almeno è Tonino: ma quando comincia a generare cloni caricaturali allora il troppo stroppia davvero. Cioè: lo si sapeva che Di Pietro e De Magistris attribuivano alla parola data il medesimo valore, cioè nessuno: ma che l’allievo riuscisse a superare il maestro in così poco tempo ha messo in crisi persino lo stomaco di ferro di Mortimer Travaglio. La vicenda la conoscete. Di Pietro disse che non avrebbe candidato inquisiti e De Magistris lo era. E va be’. Tonino presentò poi il neo candidato De Magistris, il 17 marzo scorso, il quale disse: «La mia è una scelta irreversibile, anche qualora non dovessi essere eletto». Gli fece eco Di Pietro, accanto a lui: «De Magistris si dimetterà dalla magistratura subito dopo le elezioni, lo assicuro. Per noi questa è una regola non scritta che ci applichiamo, non un generico richiamo. Noi applichiamo la legge morale». Un mese più tardi De Magistris non si era ancora dimesso, ma guai a dubitare: «Sarebbe inopportuno un mio ritorno, perché la scelta dell’attività politica è per me definitiva».
Una volta eletto a Bruxelles, a lasciare la toga non ci ha pensato minimamente. Due giorni fa ne ha dato conferma il Csm, che ha messo in aspettativa l’ex pm di Catanzaro come da lui espressamente richiesto: e buonanotte ai suonatori. Ecco allora Travaglio intervistato dal Riformista: «De Magistris si dimetterà, lo ha promesso e lo farà... e il fatto che magari lo farà tra un mese non mi sembra un problema». Non gli sembra un problema. Sembra convinto, Travaglio: al diavolo quei cattivoni secondo i quali avrebbe lanciato un avvertimento su ordine di Tonino. Certo, che fatica: è durissima la vita dell’Ugo Intini di Antonio Di Pietro.
Il 30 dicembre scorso, per esempio, Travaglio dovette dire delle cose che neanche a drogarlo: «È giunta notizia delle dimissioni di Cristiano Di Pietro dall’Italia dei Valori per un paio di semplici raccomandazioni: un gesto di grande dignità». Una dignità mai vista: le dimissioni erano finte, Cristiano si era dimesso dal partito ma non da consigliere provinciale, si tenne cioè carica e stipendio; oltretutto aveva lasciato il partito solo dopo le proteste dei militanti e dopo esser finito su tutti i giornali per un’intercettazione telefonica di cui si vociferava da mesi, e di cui il padre era a conoscenza da un anno e mezzo. E comunque si tenne la carica di consigliere comunale a Montenero di Bisaccia.
Ciò che talvolta mi rende simpatico Marco Travaglio - capitò anche un’altra volta, avevo 41 di febbre - sono quegli episodi in cui dimostra che ci fa e non ci è: quegli episodi cioè che sono rivelatori del copione che ha deciso coerentemente di recitare anche quando la commedia lo imbarazza palesemente. Cioè: immaginatevi le sofferenze di chi fa sempre le pulci alle coerenze altrui - tizio disse questo, ora dice quest'altro - e al tempo stesso ha deciso di schierarsi anima e core con Antonio Di Pietro: potete immaginare le giornate che passa? Potete prefigurarvi le auto-censure, l’auto-regime, la rimozione di chi ogni volta deve riuscire a sostenere un moralistoide che dice ogni cosa e il suo contrario nell’arco di pochi giorni? Difendere l’indifendibile non è da tutti, qualche volta oltretutto è impossibile: e il più delle volte, quando l’incoerenza e la buffonaggine le vedrebbe anche Ray Charles, Travaglio si limita a tacere e a parlar d’altro; ma quando il troppo è troppo eccolo sbottare anche lui e ridivenire umano, quasi simpatico come tutto ciò che ci fa un po’ ridere.
Tonino almeno è Tonino: ma quando comincia a generare cloni caricaturali allora il troppo stroppia davvero. Cioè: lo si sapeva che Di Pietro e De Magistris attribuivano alla parola data il medesimo valore, cioè nessuno: ma che l’allievo riuscisse a superare il maestro in così poco tempo ha messo in crisi persino lo stomaco di ferro di Mortimer Travaglio. La vicenda la conoscete. Di Pietro disse che non avrebbe candidato inquisiti e De Magistris lo era. E va be’. Tonino presentò poi il neo candidato De Magistris, il 17 marzo scorso, il quale disse: «La mia è una scelta irreversibile, anche qualora non dovessi essere eletto». Gli fece eco Di Pietro, accanto a lui: «De Magistris si dimetterà dalla magistratura subito dopo le elezioni, lo assicuro. Per noi questa è una regola non scritta che ci applichiamo, non un generico richiamo. Noi applichiamo la legge morale». Un mese più tardi De Magistris non si era ancora dimesso, ma guai a dubitare: «Sarebbe inopportuno un mio ritorno, perché la scelta dell’attività politica è per me definitiva».
Una volta eletto a Bruxelles, a lasciare la toga non ci ha pensato minimamente. Due giorni fa ne ha dato conferma il Csm, che ha messo in aspettativa l’ex pm di Catanzaro come da lui espressamente richiesto: e buonanotte ai suonatori. Ecco allora Travaglio intervistato dal Riformista: «De Magistris si dimetterà, lo ha promesso e lo farà... e il fatto che magari lo farà tra un mese non mi sembra un problema». Non gli sembra un problema. Sembra convinto, Travaglio: al diavolo quei cattivoni secondo i quali avrebbe lanciato un avvertimento su ordine di Tonino. Certo, che fatica: è durissima la vita dell’Ugo Intini di Antonio Di Pietro.
Il 30 dicembre scorso, per esempio, Travaglio dovette dire delle cose che neanche a drogarlo: «È giunta notizia delle dimissioni di Cristiano Di Pietro dall’Italia dei Valori per un paio di semplici raccomandazioni: un gesto di grande dignità». Una dignità mai vista: le dimissioni erano finte, Cristiano si era dimesso dal partito ma non da consigliere provinciale, si tenne cioè carica e stipendio; oltretutto aveva lasciato il partito solo dopo le proteste dei militanti e dopo esser finito su tutti i giornali per un’intercettazione telefonica di cui si vociferava da mesi, e di cui il padre era a conoscenza da un anno e mezzo. E comunque si tenne la carica di consigliere comunale a Montenero di Bisaccia.
Dura la vita del Travaglio. Il 16 gennaio scorso, poi, mentre tutti i giornali sparavano la notizia di Cristiano indagato, lui fischiettava e scriveva del processo Andreotti. Su Cristiano, niente. Poi disse alla Stampa: «Io non confondo chi ha preso mazzette, che è un reato, con una semplice raccomandazione». Quindi Cristiano non doveva dimettersi anche da consigliere provinciale? «Non c’è niente di penalmente rilevante». Cioè: era indagato per corruzione e abuso d’ufficio e turbativa d’asta, ma non c’era niente. Basta dirlo. Luigi De Magistris si dimetterà dalla magistratura: basta dirlo. Infatti l’aveva detto anche lui.
ecco chi sono i "giornalisti" camerieri
Travaglio mette la foglia di fico alle bugie dell’Idv
SCRITTO DA FILIPPO FACCI DIPENDENTE DI BERLUSCONI GIORNALISTA DEL PLURIPREGIUDICATO PAOLO BERLUSCONI
CASELLARIO GIUDIZIALE DI FILIPPO FACCI:
condanna penale definitiva per il reato di diffamazione per il libro “Di Pietro, biografia non autorizzata” (Mondadori), a 500 mila lire di multa e 10 milioni di provvisionale, più le spese, decisa dalla Cassazione il 20 novembre 2002.
E, nella successiva causa civile persa in primo grado, dovette pagare (lui o, più probabilmente la Mondadori, cioè Berlusconi) altri 50 mila euro all’avvocato diffamato, più 10 mila di spese legali e riparazione pecuniaria.
Altri 10 mila euro di danni il nostro ometto ha sborsato (lui o il suo santo protettore) in sede civile a Enzo Biagi, per averlo insultato sul Giornale dopo che era stato cacciato dalla Rai, già molto anziano e malato, chiamandolo “il non-giornalista per tutte le stagioni” e accusandolo di confezionare “insulsi brodini” e “insipide sbobbe” (sentenza del Tribunale di Milano, 12 luglio 2006, non appellata e dunque definitiva).
Poi c’è una sfilza quasi interminabile di processi persi, in sede civile e penale, contro il pool Mani Pulite, che era solito diffamare a maggior gloria della sua carriera nel gruppo Fininvest. Se non sono giunti in Cassazione, e talora nemmeno a sentenza, è per un motivo molto semplice: Facci (anzi, il suo spirito guida) è solito pagare subito il risarcimento dei danni, ottenendo la rimessione delle querele. Lui dice che le transazioni avvengono regolarmente “senza il mio consenso”: segno che qualcuno decide e paga per lui (indovinate un po’ chi), anzi forse lo paga per diffamare. Ma poi, in calce alle lettere con le richieste di transazione ai denuncianti e le promesse di pagare i danni, compare regolarmente la firma autografa di Facci. Che firmi in stato di letargo? Non si tratta, beninteso, di opinioni negative sul Pool, magari orrende, ma legittime. Si tratta di balle a getto continuo, sempre all’insegna del motto professionale: “Verifica? Non so cosa significhi”. Per esempio le cause intentategli dagli ex pm Di Pietro (rimborsato tre volte in via transattiva), Davigo (idem, tre volte), e poi ancora Colombo e Ielo. Per una diffamazione contro Borrelli, Facci fu condannato in primo grado e in appello, poi in Cassazione lo salvò la prescrizione, ma il risarcimento danni fu confermato e pagato.
Facci subì poi due processi, uno penale e uno civile, su denuncia dell’ex gip Andrea Padalino, diffamato a proposito del processo Caneschi. Nel primo, Facci fu condannato a 3 mesi e 30 milioni dal Tribunale di Brescia per un articolo sul Giornale in cui aveva - scrivono i giudici - “dolosamente sottaciuto o colposamente ignorato” fatti decisivi per la ricostruzione del caso e scritto “evidenti elementi di falsità”, anche perché le sue fonti erano “unicamente… la parte in causa: la famiglia Caneschi” e il suo avvocato. Nel processo civile Facci fu condannato definitivamente dalla Cassazione a rifondere 70 milioni di lire di danni per il libro “Presunti colpevoli” (Mondadori): “difetta - scrivono i giudici - sicuramente la verità delle notizie pubblicate”, visto che Facci è autore di “pura invenzione fantastica” e “finge di ignorare” i fatti veri “al fine evidente di seppellire il Padalino sotto un cumulo di ardimentosi equivoci, volti a minarne la credibilità… L’intento dell’Autore... si rivela precisamente quello di delegittimare il singolo magistrato… Il narratore si colloca all’interno dei Palazzi di Giustizia, ma non come un cronista obiettivo, e tanto meno come un ‘comune cittadino’, bensì come un abile sfruttatore di quelle innegabili anomalie del sistema, da cui trarre e alimentare l’onda della sfiducia verso la serietà del singolo operatore della giustizia, attraverso una trama sottile di espressioni calunniose … La diffamazione così perpetrata costituisce reato poiché la coscienza e la volontà del Facci di diffondere quella congerie di notizie inveritiere è fuori discussione”.
MERDE DEI POTENTI CON GIORNALI, CAMERIERI E TV AL SEGUITO CONTRO UN DI PIETRO CHE SENZA ALCUN MEZZO DI COMUNICAZIONE E FA l'8% ALLE EUROPEE
COME TI RODE SUCAMINCHIA
Ma veramente non ti accorgi di chi c è dietro di pietro ??
Ma smettila coglione
Chi tocca Di Pietro muore: i folgorati
Il suo passato da tuta blu lo ha aiutato. Perito elettronico, l’emigrante ventenne Di Pietro s’è spaccato la schiena in Baviera a lucidar posate e sgobbare in falegnameria. Lui, un Cipputi qualsiasi con la valigia di cartone gonfia di canotte e ambizioni, lustrava forchette e cucchiai a suon di Sidol la mattina, troncava assi di legno con lame dentate il pomeriggio. Più avanti, politicamente ma non solo, avrebbe fatto lo stesso coi suoi compagni di strada: avrebbe dato splendore a vecchi arnesi di Palazzo per poi segarli, avrebbe aiutato amici per poi danneggiarli. Una cinica e spietata catena di montaggio del pulire e poi sporcare, del costruire e poi distruggere.
È stato così per Pasqualino Cianci, amico d’infanzia finito nella melma con una accusa di uxoricidio. «Ti difendo io», s’è subito lanciato in soccorso Tonino, toga sulle spalle perché ex magistrato. Peccato che appena accortosi che Pasqualino era spacciato, non solo l’ha abbandonato ma l’ha pure spinto più giù nel pantano, passando dalla parte dell’accusa. Un passo indietro: marzo 1998, l’astro calante della magistratura s’è già scaraventato in politica da un po’ ma il «mastro Geppetto» di Montenero di Bisaccia vuol farsi un partito tutto suo. E lo fa con un antico strumento degli affari pubblici: Elio Veltri, ex sindaco di Pavia, ex Psi, ex Pci, ex Dp, ex Pds, ex Democrazia e legalità. I due sono come Ric e Gian: inseparabili. Veltri riacquista luminosità e splendore. «Il Paese ha bisogno di lui» sentenzia l’Elio che di Tonino fa il portavoce. Ma poi la voce si fa stridula e a Di Pietro viene a noia. I bagliori seguenti sono soltanto per le scintille che fanno i due appena si toccano. Veltri si pente, sbatte la porta nel 2001 e appena può accusa il leader dell’Italia dei (dis)valori: «Pessima gestione del movimento, inadeguata scelta delle persone, incarichi dati a personaggi sballati» e chi più ne ha più ne metta. Segato dal partito, di Veltri rimangono i trucioli.
Analoga piallatura subita da Achille Occhetto, storico segretario della svolta Pci-Pds. Reduce dalla scuffia elettorale nel 1994, l’Achille s’è rifugiato nello scantinato della politica. Stufo delle ragnatele, si butta tra le braccia dipietriste nel 2004, ignaro che l’abbraccio sarebbe stato mortale. Con Tonino si presenta alle europee di quell’anno con una lista tutta nuova: Società civile-Di Pietro-Occhetto. Un flop: 2,1%. E di civile, nella successiva separazione tra i due, c’è ben poco. Occhetto fonda il Cantiere per il bene comune e da lì inizia la sua guerra contro Tonino sul fronte dei rimborsi elettorali: «S’è incamerato i denari anche nostri», l’accusa. Grane sul grano, insomma.
L’abbraccio con Tonino è di quelli che stritolano e così anche Akel politicamente muore, dopo una lenta agonia nella diatriba infinita del seggio Ue. Chi deve sedere a Strasburgo, visto che Di Pietro è intanto divenuto ministro? Occhetto o Beniamino Donnici? Di Pietro tifa Donnici e alla fine Occhetto rimane carbonizzato. Abbrustolito come un altro dipietrista «a tempo»: il baffuto Giulietto Chiesa, anch’egli imbufalito con l’Idv sulla questione dei rimborsi elettorali ed eletto a Strasburgo nella lista occhettian-dipietrista. Botte da orbi pure con lui, con tanto di reciproche querele. «Con quel figuro non voglio avere rapporti», ringhia Giulietto. Un anno fa la sentenza: Chiesa deve pagare al partito 600 euro quale contributo annuale dei deputati europei per la durata dell’incarico parlamentare. Scottato dal tocco dell’ex pm, è in pratica sparito. L’ultima opaca apparizione alle scorse Europee: candidato in Lettonia per la lista «Per i diritti umani in una Lettonia unita».
Della serie chi tocca Tonino muore. Pure al líder Massimo D’Alema non ha portato fortuna la liaison con Di Pietro. È stato lui a spalancargli le porte di Palazzo Madama quando, correva l’anno 1997, per il blindatissimo collegio del Mugello si doveva rimpiazzare il seggio lasciato vacante da Pino Arlacchi. Scontato tripudio. Ma ora D’Alema è l’ombra di se stesso, impallidito e spento, costretto a giocare dietro le quinte del suo pupillo Bersani.
Per non parlare di Prodi, l’uomo che l’anno prima gli aveva offerto il ministero dei Lavori pubblici e nel 2006 quello delle Infrastrutture. Di Pietro oggi, specie a sinistra, continua a fare il falegname nel cantiere della politica mentre il Professore è un Chi l’ha visto del Palazzo. Una delle sue ultime comparsate è stata a Bologna, in municipio, assieme a tre capi tribù africani che lo hanno vestito come un pagliaccio e incoronato loro rappresentante a Bruxelles. Decisamente autolesionista, invece, Veltroni: è stato lui a siglare il patto con l’ex pm che, per tutta riposta, ha cominciato a divorargli il Pd. Pensava che l’alleanza con l’Idv l’avrebbe fatto brillare di più, invece a scintillare è soltanto Tonino. E Walter? Arrugginito. Come quei vecchi cucchiai della Baviera.
Da Dagospia
Caro Dago, Nichi Vendola fa notare che a Bari sono stati perquisiti tutti i partiti di centrosinistra tranne l'Idv.
Forse perchè il partito di Di Pietro è lo stesso che fa le perquisizioni?
US
Da Dagospia
Caro Dago, Nichi Vendola fa notare che a Bari sono stati perquisiti tutti i partiti di centrosinistra tranne l'Idv.
Forse perchè il partito di Di Pietro è lo stesso che fa le perquisizioni?
US
beccati questa
SPORCACCIONE
che degrado... per quanto riguarda l'articolo basta fermarsi all'affermazione secondo cui l'idv rappresenta il peggio dell'italia. ci saranno anche di là scheletri negli armadi e grandi schifezze ben nascoste, ma affermare che quel partito è la parte peggiore dell'italia fa capire di che pasta è fatto il giornalista.
bello farsi rappresentare nel mondo da uno che va con le minorenni
bel quadretto
povera Italia
MARCo S.
nessuno va a minorenni.
poi la daddario ha circa 40 anni
per quanto riguarda di pietro , cosa doveva dire , dov è questo degrado.Basti èpensare come si è comportato :
È stato così per Pasqualino Cianci, amico d’infanzia finito nella melma con una accusa di uxoricidio. «Ti difendo io», s’è subito lanciato in soccorso Tonino, toga sulle spalle perché ex magistrato. Peccato che appena accortosi che Pasqualino era spacciato, non solo l’ha abbandonato ma l’ha pure spinto più giù nel pantano, passando dalla parte dell’accusa.
nessuno va a minorenni.
poi la daddario ha circa 40 anni
Noemi quanti anni aveva quando incontrava Silvio a Palazzo Grazioli e insieme cantavano?
ma li leggi i giornali?
le leggi le affermazioni dei genitori di lei con le affermazioni di Silvio completamente non coincidenti per date e situazioni?
la daddario è una mignotta e lo sanno tutti
confortante che un uomo sposato vada a puttane anche se sono quarantenni e rappresenti l'Italia intera
povera Italia
MARCo S.
berlusconi era amico di famiglia dei letizia
anche sarkozy era sposato , ha tradito la moglie per carla Bruni , che considero ancora peggiore della daddario,ma non mi sembra che nessuno si chieda se sia giusto che rappresenti la francia
tutto il resto sono sciocchezze
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