lunedì 15 febbraio 2010

La paura di andare per strada. Michele Brambilla

Pierluigi Bersani ha ragione quando dice che la destra non può e non deve cavalcare gli incidenti di via Padova perché è da anni al governo del Paese, della Lombardia e di Milano, e quindi più che cavalcare dovrebbe fare mea culpa.

Ma il punto debole del suo ragionamento sta nella vaghezza con cui conclude le sue dichiarazioni, quando dice che la politica della destra sull’immigrazione è fallita senza però indicarne una alternativa. Non basta dire che è ora di affrontare il problema seriamente, che ci vuole altro eccetera. D’accordo che bisogna parlarne seriamente: ma per dire che? D’accordo che ci vuole altro: ma cosa?

La verità è che finora nessuno è riuscito a trovare la soluzione a problemi che non possono essere risolti dai sindaci e dalla polizia, e neppure dal solo governo italiano. Siamo di fronte a un fenomeno mondiale, che comincia nei Paesi d’origine dei disperati che scappano e finisce in quelli in cui quei disperati vanno a cercare un’esistenza meno grama. La verità – ripetiamo – è che nessuno, a cominciare da noi che scriviamo, ha una formula magica. La Moratti è ben salda alla guida di Milano, è vero. Ma forse può tutto? Quando il Comune di Milano deliberò – peraltro applicando una legge nazionale – che i figli dei clandestini non possono iscriversi all’asilo, la sinistra insorse, così come insorse la Curia, e così come intervenne la magistratura. Certo a ciascuno di noi fa orrore pensare che un bambino non possa frequentare l’asilo perché è figlio di clandestini: ma l’altra faccia della medaglia, politicamente scorrettissima ma reale, è che un clandestino accettato all’asilo toglie il posto a un bambino figlio di immigrati regolari. Che fare allora? E’ un dilemma simile, anche se meno tragico, a quello che ci si pone di fronte ai cosiddetti «respingimenti»: un minimo senso di coscienza ci induce ad accogliere tutti, perché l’amore per il prossimo non può essere sottoposto al controllo dei documenti. Ma poi? Come garantire loro che non finiscano in una via Padova?

E’ un problema mondiale, dicevamo, e questo vale ancor più per grandi città come Milano, naturali rifugi di tanta umanità in fuga. Milano è cambiata, tanto cambiata. Quartieri che prima della guerra erano piccole roccaforti della «mala» (una «mala» che fa quasi tenerezza, se confrontata con quella di oggi) sono oggi zone d’élite: è il caso dell’Isola. Altri quartieri che erano pacifiche periferie dove si parlava in dialetto, oggi sono dei Bronx: è il caso di via Padova.
Milano aveva fama di accogliere tutti, con il mitico cuore in mano, e ha prodotto forme di integrazione più che riuscite. Ma l’«integrazione», questa parolona con cui tutti noi ci riempiamo la bocca senza sapere bene che cosa sia, richiede tempi lunghi e anche alcuni paletti. In via Sarpi, ad esempio, i cinesi ci sono dai primi del Novecento, e avevano formato una comunità che conviveva perfettamente con i milanesi. Oggi però di quell’area i cinesi sono o si sentono (fa poca differenza) i padroni, e la pretesa di una sorta di zona franca ha provocato i primi veri scontri etnici di Milano: è successo nel 2007, con la rivolta contro i vigili che si permettevano di multare per sosta vietata.

Milano non viveva più la paura nelle strade dagli Anni Settanta, quelli del film di Lizzani sul delitto inutile di San Babila. Allora il problema erano opposti estremismi politici. Oggi è anche la presenza di nuovi opposti estremismi: quello di chi, in nome di una visione antistorica, vorrebbe evitare un’immigrazione che peraltro porta pure tanti valori; e quello di chi, demagogicamente, vorrebbe porte aperte per tutti. Gli incidenti di via Padova diventeranno un’ennesima occasione di scontro elettorale, mentre dovrebbero esserla per un patto trasversale tra una destra e una sinistra finalmente unite per il bene di un’Italia così tanto esposta (per motivi geografici) e così tanto lasciata sola dall’Europa. Utopie? Può darsi. Ma in Spagna qualcosa del genere l’hanno fatto, e in Spagna all’opposizione c’è la destra, e al governo Zapatero. (la Stampa)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Senza severità non si blocca l'immigrazione illegale.
Quando il "nostro" Paese tra cent'anni o 200 anni (il tempo non è importante) sarà iperpopolato da 120 o 150 milioni, multietnico, impoverito a dismisura e con il territorio calpestato, occupato e consumato. Un Paese, insieme all'Europa tutta, dove, le etnie che secolarmente la popolavano, saranno soppiantate da nuove etnie che si imporranno per il loro numero ed eventualmente per il loro integralismo. Solo allora la severità tornerà ad essere sovrana. La severità del potere, lo Stato di polizia, l'esercito di occupazione, spoglieranno dei loro diritti le etnie storiche e garantiranno la pace e i diritti delle nuove.
Ci saranno nuovi martiri ma nessuno ci farà caso.
A cosa sono serviti 50 anni (attuali) di procreazione consapevole, di lotte per salvaguardare e conquistare
una qualità della vita, per dare alla natura un suo spazio.
A che cosa sarà servita la consapevolezza di tutto questo ?

Tutto verrà calpestato abbastanza lentamente in modo che la memoria generazionale se ne dimentichi e non se ne accorga.
Questo potrebbe essere uno dei risultati che la Storia darà come premio ai Politici ignoranti e impotenti e buoni e ingordi che fingono di governare o di fare opposizione in tutti i nostri Paesi d'Europa.