L'altro giorno, mentre davanti alla Scala di Milano si svolgevano i rituali tafferugli in occasione della "prima" (studenti, immigrati, disoccupati, tutti a chiedere più soldi alla cultura) e all'interno il "maestro" Baremboim impartiva una lezioncina sulla Costituzione al pubblico in sala (Napolitano compreso) dicendosi anche lui preoccupato per i "tagli alla cultura", al Senato veniva approvata in via definitva la legge di stabilità (ex finanziaria).
In questa manovra da 5,7 miliardi ci sono provvedimenti a lungo attesi e spesso pretesi. C'è il rifinanziamento per gli ammortizzatori sociali, l'assistenza ai malati di Sla, i soldi per l'editoria (a cui è appesa la vita del Manifesto ad esempio), l'esenzione per altri 5 mesi dal ticket sanitario, un miliardo di euro per l'Università, meno tasse per i salari di produttività, più risorse al ministero dell'ambiente per la tutela del territorio e molto altro ancora.
Davanti e dentro alla Scala erano in molti ad offrirsi alle telecamere con l'occhio umido per i tagli alla cultura ma non uno ha suggerito a quale dei questi capitoli della finanziaria si fosse disposti a rinunciare per trasferire più risorse alla lirica, al cinema o ai teatri. Tanto meno lo hanno fatto i dimostranti in piazza, anche loro sulle barricate della cultura, illuminati dalla luce dell'avvenire, sprezzanti del pericolo (a rimanere feriti sono stati solo poliziotti e carabinieri) e investiti dalla missione salvifica di difendere i fondi a quel teatro dell'Opera che per decenni era stato semmai il bersaglio della loro protesta.
Nessuno ha detto (a dire il vero non lo fa neppure Napolitano, quando anche lui lamenta i "tagli alla cultura"), dove altro si sarebbe dovuto tagliare: i fondi per la Sla?, i soldi ai cassa-integrati?, i fondi per l'Università? O qualcuno che dicesse per lo meno: "in nome della cultura siamo pronti a pagare più tasse!". Perché delle due l'una, visto che i saldi quelli sono, o si tagliano altre spese o si chiedendo altri soldi ai contribuenti.
Ma la cosa davvero più insopportabile della giornata è stato il siparietto costituzionale di Daniel Baremboim. Il "maestro scaligero" argentino, con aria seria e contrita si è rivolto al pubblico in sala per dirsi preoccupato per lo stato della cultura nel nostro paese, "anche in nome di tutti i miei colleghi che suonano, cantano, ballano e lavorano non soltanto in questo magnifico teatro, ma in tutti i teatri d'Italia". Poi ha tirato fuori un foglietto dalla tasca e ha letto l'articolo 9 della Costituzione: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura...ecc, ecc, ". E giù applausi fragorosi.
E' un ben strano paese l'Italia se può accadere una cosa del genere proprio il giorno della prima della Scala, alla presenza del Capo dello Stato e di mezzo governo italiano in pompa magna. Ma ve li imaginate Muti o Abbado che chiamati a dirigere al Lincoln Center di New York, magari alla presenza di Obama e first lady, o all'Operà di Parigi con Sarkozy e premiere dame, che si mettono a leggere un articolo della Costituzione contro, chessò, Abu Grahib o Guantanamo, la riforma della Sanità, o la cacciata dei Rom?
Sarebbero travolti dai fischi e dall'indignazione, accompagnati a calci al confine e dichiarati persone non gradite per il resto della loro vita e carriera. Qui da noi Baremboim è l'eroe del giorno. Con il suo bel cachet in tasca, l'onore di dirigere la Scala e la lacrimuccia per i "tagli alla cultura", soffuso dall'immancabile aura anti-berlusconiana che oggi si porta tanto bene. E senza neppure il beau geste di dire: "Devolvo il mio compenso di stasera al sostentamento del teatro".
Macché: sono tutti bravi a criticare i tagli con il culo degli altri. (l'Occidentale)
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6 commenti:
il problema che il culo è delle prossime generazioni mentre i vecchi hanno avuto tutto e di più da i precedenti governi.
Cari politici di ieri e cari politici di oggi che facevate affari con i vecchi (il cosiddetto "nuovo" che avanza) siete voi i responsabili di questo disastro, avete depredato le risorse e ora ci chiedete il salato conto.
Non basta tagliarvi l'uccello bisognerebbe farvi pagare tutto
il teatro alla scala prende come fonte di finanziamento : un 48 % da contributi pubblici 8% da privati e 44 % da proventi propi , mentre almetropolitan opera di new york
i contributi pubblici sono al 28% i privati al 22% e i proventi propi al 50%.
riprendo l articolo :
La prima della Scala e i torti del maestro baremboim
Ieri sera, all'inizio della prima del Teatro alla Scala di Milano, il direttore d'orchestra Daniel Barenboim, prima di iniziare a dirigere la «Valchiria» di Wagner, ha letto l'articolo 9 della Costituzione, in segno di protesta per i tagli alla cultura.
di Giorgio Stracquadanio
«Sono molto felice - ha esordito Barenboim, rivolto verso il Capo dello stato - di dirigere ancora una volta alla Scala. Sono onorato di essere stato dichiarato maestro scaligero, ma a nome dei miei colleghi sono molto preoccupato per il futuro della cultura in Italia e in Europa».
Baremboin ha parlato «anche in nome di tutti i miei colleghi che suonano, cantano, ballano e lavorano non soltanto in questo magnifico teatro, ma in tutti i teatri d'Italia» e ha voluto dire «a qual punto siamo profondamente preoccupati per il futuro della cultura del nostro paese e in Europa».
«Se mi permettete - ha continuato - vorrei che ricordiamo insieme l'articolo 9 della Costituzione Italiana: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”». Sono seguiti fragorosi applausi da parte degli spettatori.
L'appello del direttore fa seguito ad una precedente lamentela del sovrintendente Stephane Lissner che solo il mese scorso aveva detto che le casse del Teatro alla Scala sono a secco. «Dopo cinque anni consecutivi in cui il bilancio è almeno terminato in pareggio (a parte l’attivo, se così si può considerare, di €49.000 del 2009) La Scala di Milano rischia di chiudere in rosso il 2010 a causa dei tagli decisi nella Finanziaria 2010. I privati possono migliorare la situazione dei teatri, questo è possibile, ma sostituire lo Stato no, non esiste e non esisterà mai. La Scala ha la missione di teatro pubblico».
Al di là della facile retorica e dei buoni sentimenti, siamo proprio sicuri che non esista altro modo per finanziare la cultura che prendere a piene mani dalle casse dello Stato, cioè dalle tasche di lavoratori e pensionati? Per capirlo può essere utile il confronto tra il Teatro alla Scala di Milano e il Metropolitan di New York.
Secondo i dati resi noti dallo stesso sovraintendente pochi giorni prima della “prima”, Il Teatro alla Scala ha messo in fila quattro anni di bilanci in pareggio, ma quest'anno potrebbe incontrare difficoltà: sono giunti 32 su 37 milioni di euro di contributi dello Stato previsti. Comune, Provincia e Regione hanno versato nelle casse scaligere circa 9 milioni che aggiunti ai 37 statali corrispondono circa al 40% del budget annuale pari a 110 milioni.
Il restante 60% deriva dagli introiti del botteghino, contributi dei membri della fondazione e sponsor privati. Questi ultimi contribuiscono per il 16%: un record italiano. Anche se non tutti i soldi sono privati, in quanto tra le aziende di diritto privato alcune sono a capitale in parte pubblico, come l'Eni.
Va inoltre calcolato il finanziamento implicito derivante dai mancati introiti fiscali per lo Stato, visto che i contributi alle fondazioni liriche sono totalmente deducibili. E in contesto fiscale come quello italiano questo valore è pari a circa la metà dei contributi dei privati, cioè l'8% dei ricavi del Teatro alla Scala. Il Teatro alla Scala, fatti tutti i calcoli, è finanziato per il 48% con denaro pubblico diretto o indiretto, per l'8% con fondi privati e per il restante 44% con gli incassi derivanti dagli spettacoli.
Il bilancio del Metropolitan di New York è di circa 200 milioni di dollari, circa 154 milioni di euro. Il 50% è rappresentato da proventi propri (di cui il 40%, circa 80 milioni di dollari, da biglietti e abbonamenti), i 40% da contributi privati, e il 10% dal National Endowment for the Arts (NEA) (Sovvenzionamento Nazionale per le Arti e la Ricerca), l'agenzia federale americana che offre supporto e fondi all'arte.
Inoltre, poiché le donazioni dei privati sono deducibili si può calcolare che, per ogni dollaro donato ad un teatro d' opera, il governo americano sconti circa 45 cent in mancate tasse. Quindi, il finanziamento statale implicito al Met è di circa 36 milioni di dollari (il 45%di 80 milioni), il 18 percento del budget totale. Il totale del finanziamento pubblico assommerebbe al 28%, contro il 48% del tempio della lirica milanese.
Vista la netta differenza del sussidio pubblico diretto (contributi) e indiretto (mancati introiti fiscali) il Teatro alla Scala dovrebbe applicare prezzi molto più accessibili rispetto ad un teatro a prevalente finanziamento privato come il Matropolitan di New York. Invece le cose non stanno così.
Ad esempio al Metropolitan di New York il costo del biglietto acquistabile on-line per la Boheme prodotta da Franco Zeffirelli in cartellone per il prossimo 7 febbraio varia da tra un minimo di 25$ a un massimo di 320$, cioè tra 19€ e 240€. Negli stessi giorni i biglietti in vendita per la Tosca in scena al Teatro alla Scala sono venduti ad un prezzo tra 22€ e 187€.
La nostra lirica costa di più al contribuente e costa più o meno lo stesso prezzo allo spettatore. Come ha scritto qualche anno fa l'economista Roberto Perotti, «come tante leggende nostrane, anche quella che la nostra offerta culturale sia più “democratica” rispetto a quella “privatistica” americana non ha fondamento».
C'è inoltre un ulteriore paradosso. Come abbiamo visto nel confronto tra i prezzi dei biglietti del tempio della lirica milanese e quello della grande mela, le differenze maggiori stanno nei prezzi massimi, quelli delle aree più vicine al palco.
È abbastanza evidente che sia a Milano che a New York quei biglietti siano cercati dai più abbienti. Non è infatti ragionevole pensare che chi guadagna mille dollari o mille euro al mese ritenga di spendere 320$ o 187€ per uno spettacolo, per quanto bello sia.
La differenza è che il Met di New York chiede ai suoi clienti più abbienti un prezzo del 30% più elevato di quello che La Scala a Milano chiede agli stessi clienti. Mentre la differenza dei prezzo del biglietto più economico è solo di 3€ su 19€, cioè del 15%. In altre parole La Scala offre ai più abbienti uno “sconto” del 30% rispetto al teatro lirico di New York e ai meno abbienti uno “sconto” della metà. Un altra straordinaria distorsione del nostro sistema di finanziamento pubblico della cultura che la facile demagogia contro i “tagli” contrabbanda.
La conclusione è che in Italia, dove quello del Teatro alla Scala è l'esempio più virtuoso, abbiamo un sistema di trasferimento delle risorse dai meno abbienti ai più abbienti. I primi, infatti, pagano la differenza tra costo dello spettacolo e prezzo del biglietto attraverso i ricchi contributi pubblici e prezzi dei biglietti più bassi per chi può di più.
Mentre nel “selvaggio” liberismo americano non sono le tasse degli operai a finanziare il divertimento serale di imprenditori e professionisti. Infine l'ultima considerazione. Tratta da un articolo del 2004 di Roberto Perotti, che svolge considerazioni che avremmo voluto sentire ieri, magari proprio da quei responsabili delle istituzioni a cui si era rivolto il maestro Bareboin.
“Le buone cause sono infinite, ma le risorse di una collettività sono limitate. Una collettività ha il diritto e il dovere di stabilire delle priorità. Anche rimanendo all'interno della musica, può benissimo essere il caso che gran parte dei soldi pubblici per gli enti lirici sarebbero stati meglio spesi, destinandoli per esempio a potenziare l'insegnamento della musica classica tra i giovani, settore in cui siamo notoriamente carenti rispetto a molti paesi europei. […]
Oppure può darsi che la risposta sia ancora più radicale, e che una collettività abbia il diritto di dedicare risorse pubbliche a beni di lusso quali la lirica solo dopo aver affrontato con successo problemi più urgenti, quali ad esempio quello dei senzatetto e dei disabili”.
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