Al referendum di Mirafiori, i prossimi 13 e 14 gennaio, vinceranno i Sì. Non servono a nulla le intimidazioni estremistiche, oggi come allora i lavoratori non si lasceranno trascinare dai matti. Esprimeranno consenso all’accordo firmato da alcuni sindacati (Fim, Uilm, Fismic e Ugl) e lasceranno in minoranza quanti lo avversano (Fiom). Tutti i commenti si concentrano sulla spaccatura interna alla sinistra e alla Cgil, che è certamente gravida di conseguenze, ma non esattamente il centro del mondo. Esiste una realtà, economica e del lavoro, non necessariamente al servizio dei giochi politici. Anzi: esistono manovratori politici e sindacali che la realtà se la sono scordata, ammesso l’abbiano mai conosciuta.
Il Sì agli accordi non è il trionfo di Sergio Marchionne, ma il più semplice affermarsi del realismo. Ho scritto che l’amministratore di Fiat meriterebbe il premio quale miglior sindacalista, e confermo: le vendite delle auto diminuiscono ma i contratti prevedono possibili aumenti del salario. Sulla carta, un gran risultato. Ma nella realtà? Gli accordi di Pomigliano e Mirafiori sono necessari alla sopravvivenza di quegli stabilimenti, ma non sufficienti, perché occorre che il mercato si riprenda e che l’azienda sia in grado (con la rete commerciale, l’innovazione e gli accordi internazionali) di non perderne e se possibile guadagnarne quote. Quanti credono che i nuovi contratti siano il prezzo pagato il quale tutto torna come prima sono degli illusi.
Se le cose dovessero andare male la colpa non sarà dei sindacati che hanno firmato (e dei lavoratori che hanno approvato), mentre se fosse prevalso il punto di vista degli oppositori si sarebbe solo anticipato il fallimento. Noi tutti, naturalmente, speriamo che le cose vadano bene. Che il recupero di produttività dia una spinta alla competitività e che questa consolidi la posizione della casa automobilistica. Che oltre a far meglio e più convenientemente le vetture, insomma, riescano poi a venderle. In questo caso, il migliore, comunque ci sarebbero conseguenze sociali e politiche. Per dirne una: gli operai che si apprestano a votare Sì, come quelli che lo hanno già fatto, accettano di barattare minori rigidità e garanzie in cambio della continuità lavorativa e di un salario variabile, perché il prelievo fiscale operato su di loro deve andare a finanziare quanti non rinunciano mai a nulla? E’ vero che il sindacato (tutti i sindacati) sono sempre meno rappresentativi dei lavoratori, ma la condizione di chi si trova realmente esposto alla globalizzazione del mercato ha perso anche rappresentanza politica.
I capi delle tute rosse, sia che mettano l’orecchino sia che marcino a fianco del giustizialismo, hanno sbagliato secolo, sono interessati a dimostrare la loro influenza sulla Cigil e sulla sinistra, ma del resto non si occupano. Il loro format classista è fuori dal mondo: oggi un operaio Fiat ha pochi interessi da condividere con un dipendente pubblico e molto da dirsi con un professionista privato, con una delle tante, decantate e neglette, partite iva. I protetti possono accettare carichi fiscali elevati: non godono, ma neanche rischiano. I non protetti non possono essere egualmente generosi, perché la loro sicurezza futura dipende anche dalla capacità di risparmio, resa impossibile da un fisco depredante. Se proprio si vuol ragionare in termini di “classi” (non ne avverto il minimo bisogno), la divisione passa fra quanti campano di spesa pubblica e quanti producono per finanziarla, come passa fra chi s’è giovato della spesa pubblica e chi vivrà per pagarne i debiti, vale a dire i giovani.
La grandissima parte dei politici e dei sindacalisti appartiene, per biografia, reddito o convinzione, alla prima classe. Attaccata al mammellone statale, progressivamente avvizzito, ma sempre poderoso. Sono convinti che gli altri abbiano il dovere, direi quasi il piacere morale di alimentarlo. Sarà bene, per loro e per noi tutti, guardare attentamente dentro le urne referendarie, sforzarsi di capire, non accontentandosi degli sbandieramenti inutili. La realtà prima o dopo, potrebbe prendersi una vendetta sulle fantasticherie.
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