Combattere l’evasione fiscale è cosa buona e giusta, ma l’impressione è che le armi siano puntate verso i cittadini onesti. La solfa è sempre la stessa: chi non sgarra non ha alcunché da temere. Ma ci crede solo chi non ha mai avuto contenziosi con l’amministrazione fiscale, perché, in quel caso, avere ragione ed essersi comportati correttamente è solo un dettaglio. Gli evasori veri non hanno mai temuto troppo il fisco, cosa che, paradossalmente, non possono dire gli onesti. E, oggi, non c’è motivo d’essere sereni. Al governo siede una maggioranza di centro destra che definiva “stato di polizia” le misure proposte dalla sinistra, consistenti nel controllo occhiuto dei pagamenti fatti in contanti. Ma è lo stesso governo che sta muovendosi in direzione non diversa: tracciabilità dei pagamenti al di sopra dei tremila euro e redditometro. Sono gli strumenti sempre uguali, destinati ad evidenziare presunte incongruità, ma a servire pochissimo per combattere gli evasori professionali. C’è di più: il governo s’è presentato reclamando la necessità di rendere assai più veloci i tempi per creare le imprese, addirittura proponendo che fossero operative in un solo giorno. Ora, invece, il fisco si prende trenta giorni per stabilire se una nuova partita Iva può o meno fare operazioni con l’estero. Sappiamo tutti che i pagamenti in bigliettoni possono mascherare l’emersione di quattrini guadagnati in nero e che le operazioni con l’estero possono mascherare i caroselli che servono a creare fondi neri, ma sappiamo anche che queste nuove restrizioni, questi ulteriori termometri di affidabilità fiscale ben difficilmente colpiranno i delinquenti, mentre si accaniranno sui cittadini per bene.
E allora? Allora le cose stanno in questi termini: fino a quando il gettito fiscale sarà considerato servente del debito e della spesa pubblica, dati per immodificabili, non ci sarà distinzione fra destra e sinistra, sopra e sotto, ma una comune necessità di mettere le mani dentro le tasche di quelli che non vogliono o non riescono a sfuggire. Il resto, sia detto con rammarico, è solo propaganda. Il mondo politico s’appassiona molto al dibattito sul federalismo fiscale, i cittadini meno, e la ragione è semplice: pago tutte le tasse, sicché versarle all’uno o all’altro cambia poco, quel che m’interessa è il totale. C’è la speranza che la pressione fiscale diminuisca? La risposta è: no. Il resto non è rilevante.
Per uscirne si dovrebbe essere capaci non di tagliare, ma di modificare strutturalmente la spesa pubblica. Gli operai Fiat hanno capito che lo scambio fra meno rigidità e più salario è vantaggioso, i cittadini capirebbero il guadagno nello scambiare meno protezioni con meno spesa pubblica, quindi anche meno tasse. Ma è la politica, che campa di spesa pubblica, a non capirlo. A non volerlo. E, per giunta, a non saperlo fare. Stiano attenti, però, perché gli evasori conteranno sempre su un condono, mentre insolentire gli onesti, trattandoli da delinquenti, può indurli a non essere sempre tolleranti.
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