Quasi un anno fa iniziava a Copenaghen la conferenza sui cambiamenti climatici che avrebbe dovuto “salvare il mondo”. Non c’era più tempo, bisognava agire in fretta, quella era l’ultima occasione per fermare il global warming (o climate change a seconda del tempo che fa). La presenza messianica di Obama al summit avrebbe messo d’accordo tutti. Mesi di articoli catastrofisti sulle prime pagine dei giornali prepararono le coscienze: ghiacciai che si sciolgono, mari buoni solo per fare le terme, deserti che avanzano. Poi il capolavoro del giornalismo collettivo: il giorno dell’apertura dei lavori in Danimarca, 56 testate da tutto il mondo pubblicarono lo stesso identico editoriale, che nella sua maniacalità arrivava a dire che “le possibilità di controllare il clima da parte nostra saranno determinate dai prossimi giorni”. Come noto Copenaghen fu un fallimento senza precedenti, nelle ultime ore i leader del mondo abbozzarono soltanto un appunto con qualche buona intenzione e tante promesse datate futuro remoto.
Ieri a Cancun, in Messico, è iniziato un nuovo summit sul clima, ancora organizzato dall’Onu. A eccezione del Sole 24 Ore e del francese Monde, nessun giornale ne ha parlato in prima pagina, molti si sono limitati a brevi articoli nelle pagine interne. Tutti sottolineavano un po’ imbarazzati che né a Cancun né forse mai si arriverà ad alcun accordo vincolante sulle emissioni. Il grande circo ha richiuso le gabbie, c’è aria di smobilitazione; persino le richieste degli ambientalisti suonano sciatte, già viste, quasi dovute. Magari è la volta che si discuterà davvero, senza che certa scienza ci faccia credere di avere in tasca la verità. (il Foglio)
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