venerdì 26 novembre 2010

Il futuro dell'Università. Antonio Martino

Il disegno di riforma delle università proposto dal governo che è in discussione alla Camera rappresenta un tentativo di rimediare ai guasti enormi che si sono accumulati nell’ultimo mezzo secolo per colpa delle innumerevoli riforme che hanno distrutto quanto c’era di buono nel nostro sistema universitario e dato vita a una situazione che ha dell’incredibile.

Intervenendo sul provvedimento ho creduto doveroso fare presente il mio punto di vista. Ho dichiarato: “Onorevoli colleghi, avendo passato nell'università la gran parte della mia vita - vi sono entrato da studente nel 1964 e ne sono uscito nel 2002 -, credo di conoscere abbastanza bene il processo di deterioramento che ha colpito i nostri atenei. Le università oggi obbediscono a quella che ormai è diventata una regola generale in questo Paese; cioè, non vengono studiate e progettate nell'interesse dei loro utenti, cioè degli studenti, ma per la comodità e l'interesse di coloro che vi trovano lavoro. Servono a dare occupazione a persone altrimenti inoccupabili perché incapaci e semianalfabeti.

Sforniamo migliaia di giovani che sono condannati alla disoccupazione perché inoccupabili. L'università insegna cose che non servono a nessuno e, in più, inculca nelle loro menti l'idea bizzarra che lo Stato debba dar loro un'occupazione degna del titolo di studio. Ho letto sui giornali che ci sono state mille domande per tre posti di operatore ecologico: molti di questi erano dei laureati. Non vi vergognate di difendere l'esistente, il proliferare di università inutili, di facoltà inutili, di professori incapaci”.

Il lettore che ha avuto la pazienza di seguirmi da queste colonne sa che, occupandomi dell’argomento, ho sostenuto che l’università italiana prima che i conati di riforme miracolose ne facessero strame era una istituzione culturale valida, anche se certamente poco moderna. La magagne cui i sinistri volevano porre rimedio erano tali solo ai loro occhi, di persone cioè sovente poco informate di cose universitarie per non averle mai frequentate.

Si inventarono il problema del potere dei “baroni”, i cattedratici, che sopprimevano la vita democratica nelle università. Ritenevano vergognoso che gli studenti, il personale non docente e gli uscieri fossero esclusi dai consigli di facoltà e dai processi decisionali che si occupavano dell’amministrazione delle università. Nello stolto tentativo di placare la contestazione studentesca, s’impegnarono a fondo nella distruzione di un’istituzione che aveva una storia plurisecolare.

Abolirono la libera docenza, che forniva ai giovani assistenti un incentivo a produrre pubblicazioni scientifiche (se non conseguivano la docenza entro dieci anni, erano destinati all’insegnamento scolastico) e ne mettevano a prova le capacità didattiche (per superare l’esame si doveva fare una lezione). Il titolo non costava un centesimo allo Stato e non si capisce perché abbiano deciso di abolirlo. Una delle conseguenze di questa scelta infausta fu che gli assistenti ordinari divennero subito di ruolo per la vita, senza più essere sottoposti ad alcun esame.

Quanto ai “baroni”, si può avere una chiara idea del loro strapotere dal fatto che nel 1966 la Facoltà di Medicina dell’università di Roma aveva meno di dieci professori ordinari, oggi solo quella della “Sapienza” ne annovera ben ottocento, fra associati e ordinari, cui vanno aggiunti quelli delle altre facoltà romane di medicina. Quest’esplosione del numero dei docenti non è stata decisa perché sia cresciuto esponenzialmente il numero degli studenti (che anzi è diminuito per via dell’esame di ammissione) ma perché la “democratizzazione” delle procedure concorsuali ha consentito un aumento astronomico delle cattedre.

Credo, quindi, che le mie affermazioni alla Camera non siano state spropositate e suggerirei al ministro Gelmini di sostituire la sua riforma con una più semplice e più radicale, composta da un solo articolo: “Ogni italiano, compiuto il venticinquesimo anno d’età, è laureato. Può ritirare il diploma di sua scelta presso qualsiasi ufficio postale, previo il pagamento di un ticket, la cui entità viene decisa ogni anno dal ministro dell’Istruzione.” Essendo tutti laureati, all’università andrebbero solo quelli che vogliono imparare qualcosa e pretenderebbero che i professori fossero in grado di insegnarla, pena la perdita di studenti. Elementare, no? (il blog di Antonio Martino)

10 commenti:

Fuoco amico ha detto...

Perfino Repubblica si è accorta del complotto contro l Italia :


IL CASO
"Gole profonde nei governi alleati
WikiLeaks svelerà le nostre fonti"
I timori di Washington per i "confidenti" nell'esecutivo italiano. Nele carte notizie su azionidi leader alleati in contrasto con le politiche dichiarate
dal nostro corrispondente
FEDERICO RAMPINI

NEW YORK - "I messaggi riservati dalle nostre ambasciate potrebbero rivelare che alti esponenti di governi alleati sono la fonte di informazioni imbarazzanti su quel che accade nei loro governi, dietro le quinte". A Washington una fonte del dipartimento di Stato indica così quale può essere una delle tante ricadute disastrose delle nuove rivelazioni di WikiLeaks.

C'è una gola profonda nel governo italiano, che dà notizie riservate agli americani sul presidente del Consiglio? È una delle ipotesi che hanno alimentato la "teoria del complotto" ieri a Roma.

Anonimo ha detto...

Dalla Russia all'Italia, diversi Paesi potrebbero riconoscersi in quelle comunicazioni top secret spesso ancora affidate ai "cable" (telegrammi), tra le ambasciate Usa e Washington, che contengono "descrizioni poco lusinghiere dei loro leader". Il portavoce del Dipartimento di Stato, P. J. Crowley, ha riassunto così quei rapporti dalle ambasciate che presto saranno di dominio pubblico: "Descrivono il contenuto di incontri, l'analisi di eventi in altre nazioni, le conversazioni confidenziali con esponenti dei governi locali e con esponenti della società civile. Sono coperti dal segreto per ragioni fondate. Contengono informazioni sensibili, e rivelano le fonti di quelle informazioni". La funzione di quei messaggi, prosegue Crowley, "è aiutarci a capire quel che accade negli altri Paesi, per guidare le nostre politiche". Secondo James Collins, diplomatico Usa che oggi lavora
al Carnegie Endowment for International Peace, "quei telegrammi sono scritti con la massima sincerità, senza autocensure, possono contenere giudizi espliciti sulla situazione politica locale, resoconti di incontri tra l'ambasciatore e politici di governo o di opposizione".
L'ambasciatore americano a Roma, David Thorne, ha dovuto interrompere il "ponte" festivo di Thanksgiving per avvertire il governo italiano che gli Stati Uniti si aspettano "tensioni" per la fuga di notizie. L'arco temporale di quei documenti riservati va dal 2006 al 2009.

Quindi include due governi italiani, quello guidato a Romano Prodi e l'attuale; e due ambasciatori: il repubblicano Ronald Spogli e il democratico Thorne, nominato da Obama. A spiegare il nervosismo di Franco Frattini e il suo allarme su "strategie dirette a colpire l'immagine dell'Italia", a Washington si rincorrono varie ipotesi. Si ricorda che Silvio Berlusconi non è mai riuscito ad avere con Barack Obama un rapporto personale paragonabile a quello che ebbe con George Bush. Un solo vertice bilaterale, obbligatorio: quello al G8 dell'Aquila. Poi basta. La richiesta di un bilaterale avanzata da Palazzo Chigi e Farnesina in occasione del vertice Nato e Usa-Ue di Lisbona il weekend scorso è stata lasciata cadere dagli americani, anche se poi Obama ha ringraziato pubblicamente l'Italia per l'invio di altri 200 soldati in Afghanistan.

Anonimo ha detto...

La mancanza di uno stretto rapporto personale e di canali informali tra Berlusconi e la Casa Bianca, a Washington viene considerata come l'origine delle tante "teorie della cospirazione": per esempio quella su un appoggio americano alla rottura di Gianfranco Fini. Anche le visite recenti di esponenti del Partito democratico in America, da Pierluigi Bersani a Nichi Vendola, sono state accolte con nervosismo dall'entourage di Berlusconi mentre a Washington vengono descritte come "rapporti istituzionali del tutto normali con le opposizioni". Ai frequentatori dell'ambasciata di Via Veneto, Thorne (democratico bostoniano e cognato di John Kerry, l'attuale presidente della commissione Esteri del Senato e uno dei più ascoltati consiglieri di Obama in politica estera) ha sempre spiegato che è suo compito spiegare a Washington l'importanza dell'Italia "anche a prescindere da chi la governa".

Anonimo ha detto...

Il ruolo italiano nelle missioni Nato, in Iraq e ancor più in Afghanistan, è prezioso. Uno dei timori è che le rivelazioni di WikiLeaks possano colpire anche lì. O in altri settori dove le attività italiane possono entrare in rotta di collisione con gli interessi degli Stati Uniti. Nelle valutazioni confidenziali che i diplomatici americani inviano a Washington dalle sedi estere, sempre da fonti del dipartimento di Stato trapela la possibilità che"governi alleati intraprendano azioni in contrasto con le loro politiche ufficiali e dichiarate". Per l'Italia in passato i terreni di attrito sono stati i legami particolari con Putin, Gheddafi, o tra l'Eni e l'Iran.

A Washington tuttavia le preoccupazioni principali riguardano l'impatto-WikiLeaks nei rapporti con altri governi. Tra i primi ad essere stati avvisati sul "contenuto probabile" di quelle rivelazioni c'è stato il premier David Cameron a Londra, poi Canada, Norvegia, Svezia, Turchia, Israele, Australia.

Fuoco amico ha detto...

Attacco all'Italia
di Alessandro Sallusti

C'è qualcuno che sta giocando con­tro l’Italia, den­tro e fuori i confi­ni nazionali. È questo l'al­larme lanciato ieri nel Con­siglio dei ministri dal pre­mier Silvio Berlusconi e dal ministro degli Esteri Fran­co Frattini. La parola d’or­dine sarebbe: destabilizza­re, in chiave antiberlusco­niana ma forse non soltan­to. Non a caso il governo in­t­erviene nel giorno che par­te l’inchiesta giudiziaria sulla galassia di Finmecca­nica, il colosso italiano del­­l’aerospaziale, una delle poche aziende nostrane che compete alla pari con i leader mondiali del suo set­tore, quello della difesa e dell’alta tecnologia (21 mi­­liardi di euro di ordinativi in corso, 2 miliardi di inve­stimenti nella sola ricerca ogni anno). Nessuno met­te in dubbio il diritto dove­re della magistratura di ac­certare eventuali reati. Quello che preoccupa è la gestione giudiziaria, me­diatica e politica della vi­cenda, le fughe di notizie e le ipotesi investigative spacciate per verità. Mette­re a rischio una parte del Pil italiano per poi magari scoprire tra un anno che si è di fronte a una vicenda di malaffare di ordinaria am­ministrazione, con prota­gonisti il faccendiere di tur­no e qualche funzionario infedele, sarebbe una fol­lia. Preoccupazione non campata in aria, visti i tem­pi della giustizia italiana e alcuni clamorosi preceden­ti. Non dimentichiamoci che la credibilità e l’effi­cienza della nostra Prote­zione civile solo qualche mese fa sono state distrut­te, prima in tv e sui giornali che in Procura, da un’in­chiesta della quale ancora oggi non si è capita la consi­stenza.

Anonimo ha detto...

A chi gioverebbe una Finmeccanica screditata? A tanti e in tutto il mondo. Parliamo di affari da capo­giro che aziende estere non vedono l’ora di sottrar­ci. E trattandosi di alta tec­nologia militare, parliamo di delicati equilibri politici tra i grandi Paesi del mon­do e loro satelliti. Ma Fratti­ni è andato oltre, mettendo insieme a Finmeccanica la spazzatura di Napoli, Pom­pei, le annunciate fughe di notizie sulla corrisponden­za riservata tra Paesi alleati (caso Wikileaks) e altro an­cora. Cose che apparente­mente non c’entrano una con l’altra.Ma non è così.A chi giova, per esempio, ven­der­e al mondo come lo sfa­scio dei Beni culturali italia­ni il crollo a Pompei di un manufatto di cemento ar­mato costruito nel secolo scorso? A chi giova trasmet­tere per due ore sulla Rai (Santoro) un pentito (Cian­cimino) giudicato inatten­dibile dai magistrati stessi che pontifica senza con­traddittorio su fantomatici patti tra Stato e mafia? A chi giova che uno dei nostri principali scrittori, Savia­no, straparli sulla stessa tv di un collegamento organi­co tra la ’ndrangheta e il principale partito del Nord, la Lega? A chi giova far credere all’estero che mezza Italia è sotto cumuli di rifiuti quando il proble­ma è notoriamente circo­scritto a una piccola parte di una sola città, Napoli? E a chi fa gioco amplificare le dichiarazione del capo dei magistrati italiani, Luca Palmara, che la nostra giu­stizia è messa peggio che in Ruanda?

Tutte queste bugie tra­sformate in verità ovvia­mente non giovano all’Ita­lia. E fanno l’interesse di chi nel mondo vuole sot­trarci turisti, imprenditori, investitori,indebolire l’affi­dabilità dei nostri titoli di Stato. Non credo sia assur­do sostenere che l’antiber­lusconismo italiano si stia saldando con poteri fuori confine. Non sarà un dise­gno organico ma certa­mente è in corso un tentati­vo di suicidio nazionale premeditato.

Fuoco amico ha detto...

La nuova frontiera della Guerra fredda
di Marcello Foa

E dire che avevano previsto tutto due colonnelli cinesi, nella seconda metà degli anni Novanta, in un saggio ignorato dai grandi media, ma profetico. S’intitolava Guerra senza limiti e delineava uno scenario sorprendente, secondo cui nell’era della globalizzazione i veri conflitti non sarebbero stati più meramente militari, ma asimmetrici. Ovvero che il terrorismo, la strumentalizzazione dei media, la gestione della comunicazione e lo sfruttamento delle crisi finanziarie sarebbero stati decisivi per stabilire i rapporti di forza e piegare Stati o grandi aziende ai propri voleri. Saggio magistrale, portato in Italia dal generale Fabio Mini, e oggi illuminante per capire, anzi, per intuire che cosa stia avvenendo davvero in questo Paese e perché il ministro degli Esteri Franco Frattini denunci «vicende delicate che rappresentano il sintomo di strategie dirette a colpire l’immagine dell’Italia».
L’Italia è sotto attacco, eppure nessuno le ha dichiarato guerra. E mai lo farà. Nessuna sorpresa. Così va il mondo. Anzi, il nuovo mondo; quello che la maggior parte dei commentatori non sa o non vuole leggere. Oggi sappiamo che la Rivoluzione arancione a Kiev non fu affatto spontanea e, ad esempio, che gli attacchi speculativi contro la lira del ’92 o contro le economie asiatiche nel ’97 furono pilotati ad arte.

Anonimo ha detto...

Di solito i Paesi in mezzo alla tempesta non capiscono cosa stia accadendo. Sono confusi, storditi, scambiano sovente gli esecutori con i mandanti. E finiscono al tappeto.
Oggi l’offensiva contro l’Italia è mediatica. Come viene condotta? I giornalisti sono complici di un Grande Fratello? No, eppure sono funzionali a disegni di cui loro stessi, sovente, non sono nemmeno consapevoli. Esistono tecniche di comunicazione che permettono di condizionare non un giornale o una tv, ma l’insieme della stampa. Se stabilisci un frame ovvero una «verità» impressa nella coscienza pubblica, il gioco è fatto. Quel frame diventa le lente attraverso cui i mezzi di informazione parlano all’opinione pubblica.
Il frame di oggi è: «Berlusconi impresentabile, l’Italia ha bisogno di un nuovo governo». Tecnico, naturalmente; in apparenza patriottico, in realtà funzionale a interessi che non sono più nazionali, come ai tempi della Guerra Fredda, ma transnazionali. Dirompenti, eppur impalpabili.
La polemica sui rifiuti di Napoli, quella sui crolli di Pompei, persino un’inchiesta giornalistica condotta bene, come quella di Report su Finmeccanica, assumono un’importanza che va oltre l’intrinseca valenza giornalistica, trasformandosi in casse di risonanza.
Cos’ha fatto di male l’Italia? Nulla, in apparenza.

Anonimo ha detto...

Siamo alleati fedeli degli Usa, nella Nato e in Afghanistan. Gli «scandali» di Berlusconi non incidono, certo, sulle relazioni internazionali. Le vere ragioni dell’attacco restano nell’ombra.
A livello strategico abbiamo stretto rapporti privilegiati con Libia, Turchia, Russia, Algeria, che, però, contrastano con gli interessi di alcuni grandi gruppi del settore e con i disegni strategiche di Paesi, pur nostri amici, come Stati Uniti e Gran Bretagna. Senza perifrasi: la libertà di manovra italiana non è gradita.
Così come, a livello politico, non è apprezzato questo centrodestra, che non è politicamente corretto. A causa della volgarità di Bossi e dell’immoralità di Berlusconi? Non proprio; piuttosto perché tendono a difendere le identità locali, a opporsi all’immigrazione incontrollata, allo sradicamento dei valori e delle istituzioni nazionali. Da tempo viviamo un processo di internazionalizzazione, che, pur non sfidando frontalmente la democrazia e la sovranità, di fatto le svuota via via di contenuti. E chi resiste, seppur confusamente, diventa un nemico. Da combattere, da emarginare, da rimuovere.

Anonimo ha detto...

Tanto più se in gioco ci sono anche interessi economici. Sebbene il nostro tessuto industriale sia composto soprattutto da piccole e medie imprese, permangono grandi partecipate di Stato come Eni, Enel, le Poste e la stessa Finmeccanica. Bocconi prelibati che fanno gola all’estero, ma che questo governo vuole mantenere italiani; contrariamente al passato. Prodi e Ciampi e Amato e D’Alema erano molto sensibili agli interessi dell’establishment politico-finanziario e dunque a privatizzazioni, in realtà non proprio trasparenti e non sempre nell’interesse nazionale. Eliminando Berlusconi e Bossi, la festa può ricominciare.
Gli indizi sono evidenti. C’è da stupirsi che l’Italia sotto attacco?