lunedì 22 novembre 2010

Labirinti mafiosi. Davide Giacalone

Quelli mafiosi sono labirinti. Capisco quelli che ci si perdono e capisco anche quelli che sperano di avere versioni chiare e semplici. Il modo più sicuro per perdersi, in quei labirinti, è supporre che la realtà sia ingannevole e il racconto misterico una buona traccia. Ad esempio: si è discusso, per mesi, con tanto di tesi giudiziarie e processi aperti, della trattativa fra la mafia e Silvio Berlusconi, per il tramite di Marcello Dell’Utri, destinata a dare soddisfazione a un “papello”, nel quale si chiedeva la fine del carcere duro, poi si scopre, dalla viva voce del ministro della giustizia dell’epoca, Giovanni Conso, che quella misura, il 41 bis, fu disapplicata dal governo Ciampi, nel 1993. Conso ha aggiunto: lo facemmo per evitare altre stragi. Quel che qui sostenevo, in via logica, è quindi vero: semmai, furono altri. Ora leggo il secondo libro di Antonio Ingroia, il quale afferma: “E’ innegabile che la struttura gerarchico-militare di Cosa Nostra abbia subito negli ultimi anni colpi durissimi”. Giusto, ma sono gli anni dei governi Berlusconi. Che, detto per inciso, secondo me non c’entrano nulla, ma ugualmente non c’entra alcun presunto asservimento alla mafia.

Ingroia sostiene che se fosse giunto a conoscenza di una trattativa fra Stato e mafia, Paolo Borsellino si sarebbe opposto. Certo. Ma se fu ammazzato perché la trattativa andasse in porto se ne dovrebbero raccogliere dopo, e non prima, i frutti. Il che mi conferma nell’opinione che Borsellino morì per la stessa ragione di Giovanni Falcone: l’inchiesta mafia appalti. Furono traditi da chi li circondava. Ma i labirinti mafiosi si fanno complicati, e nel suo “Nel labirinto degli dei” Ingroia non parla di quell’inchiesta, di quel lavoro investigativo cui Borsellino teneva tanto.

Ma che vuoi? mi si dirà, Ingroia è un pubblico ministero in piena attività, non può mica scrivere di quel che fa. Vero, giusto. Ma è lui ad avere voluto pubblicare, piuttosto precoce, un libro di memorie, mettendo in copertina, quale segno di riservatezza, la propria foto con la toga al braccio e un bel fascicolo ove il montaggio fotografico ha ben stampigliato “Proc. Riina”. E’ lui che usa la toga per per promuovere l’immagine. Di sé medesimo. Badate, la mia non è una fisima estetica, che pure avrebbe un fondamento. C’è molto di più.

Dedica il settimo capitolo a Carmelo Canale, carabiniere e braccio destro di Paolo Borsellino. Ne ho scritto ripetutamente: accusato di collusione con la mafia è stato assolto, in via definitiva, perché il fatto non sussiste. Ingroia lo ricorda, ma aggiunge che la verità processuale non soddisfa. Lui aveva percepito un’increspatura, nel rapporto con Borsellino, sapeva che il magistrato non credeva a Canale, circa l’uccisione di un altro carabiniere e alcuni che falsamente se ne accusarono. Secondo Ingroia, Borsellino diceva: “Carmelo, quando me la racconti la verità?”. Peccato, però, che Ingroia fu testimone al processo e queste cose non le disse al tribunale. Le dice ai giornalisti e le scrive in un libro. Il processo a Canale verteva sul suo essere un traditore, era quella la sede in cui quei ricordi avrebbero dovuto essere raccontati. Invece no, Ingroia disse che Borsellino si fidava ciecamente di Canale. E peccato, inoltre, che Borsellino non dava del tu a Canale. Strano che cada in un simile errore chi scrive, in una pagina sì e nell’altra pure, di avere avuto tanta confidenza con quelle persone. Forse Ingroia vorrà dire che se ne è ricordato dopo il processo, ma temo che a un comune mortale questo sarebbe rimproverato severamente.

Io mi limito ad un’osservazione: oggi Ingroia è pubblico ministero al processo contro Mario Mori, che lavorò con Falcone e Borsellino, al rapporto mafia appalti, e Canale s’appresta ad essere testimone. Non gli pare singolare questa sovrapposizione fra il lavoro d’aula e quello di memorialista?

Sergio De Caprio, il “capitano Ultimo”, colui che arrestò Totò Riina, disse: “in dibattimento non vedevo il pm Ingroia, ma Riina”. Ne chiesi ragione a Ingroia, in un pubblico dibattito, e lui disse di esserne molto amareggiato, ma che non avrebbe denunciato De Caprio. Gli risposi che capivo l’amarezza, ma non credevo vi fosse alcuna alternativa al difendersi in sede penale. Spero che lo abbia fatto.

Nel labirinto mafioso la memoria subisce strane metamorfosi. Parlando del suicidio del tenente Antonino Lombardo, cognato di Canale, Ingroia lo ricorda come un illuso, poi disperato per essere stato abbandonato dai superiori. Non ricorda, invece, che Leoluca Orlando Cascio lo attaccò in televisione, dandogli del mafioso, che i vertici dell’Arma chiamarono in diretta ma non fu dato loro diritto di replica. Strane amnesie. Forse saggezza, per evitare d’essere coinvolto in questioni politiche. Ma, allora, perché Marcello Dell’Utri e Berlusconi compaiono ripetutamente, con una vera sceneggiatura cinematografica delle loro espressioni e intenzioni?

La faziosità politica in salsa mafiologica mi dà la nausea, da qualsiasi parte sia esibita. Qualcuno, per giunta, si mette anche in posa.

13 commenti:

fuoco amico ha detto...

Roberto Saviano diffidato dal centro Peppino Impastato
Il centro Peppino Impastato chiede una rettifica e il ritiro dal commercio per l'ultimo libro di Saviano "La parola contro la camorra". Il testo della diffida
di LiBrLOG -

Guai per Roberto Saviano e non a causa della camorra, ma per un centro studi in prima linea nella lotta alla mafia. Parliamo del centro studi Peppino Impastato che da anni si è fatto portavoce della battaglia per le indagini sull'omicidio di Impastato siciliano e della lotta alla mafia.

Come si apprende dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it/), "Il Centro Impastato ha inviato alla casa editrice Giulio Einaudi una diffida per il libro 'La parola contro la camorra' di Roberto Saviano che ignora l'attività del Centro, dei familiari e dei compagni e sostiene che il film 'I cento passi' ha fatto 'riapire il processo', mentre c'erano già in corso i processi contro i mandanti del delitto e e la Commissione parlamentare antimafia dal 1998 indagava sul depistaggio delle indagini.

Di seguito la lettera di diffida tratta dal sito del centro Impastato che spiega minuziosamente quali siano le inesattezze:

fuoco amico ha detto...

Diffida e atto di messa in mora.
Rettifica libro La parola contro la camorra di Roberto Saviano


Palermo, lì 04.10.2010

Spett. le
Giulio Einaudi Editore S.p.A.
Sede legale
Via Umberto Biancamano n° 2
10100 Torino

Oggetto: diffida e atto di messa in mora. Rettifica libro La parola contro la camorra di Roberto Saviano, casa editrice Giulio Einaudi.

Ho ricevuto incarico dal dott. Umberto Santino, Presidente e legale rapp.te del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo - che unitamente a me sottoscrive la presente - per rappresentarVi che il libro in oggetto contiene affermazioni contrarie alla verità storica che ledono l'identità e l'immagine del suddetto Centro di ricerca e di studi, oltre che dei familiari di Giuseppe Impastato (la madre Felicia Bartolotta deceduta nel dicembre 2004, il fratello Giovanni e la cognata Felicia Vitale), assassinato nella notte tra l'8 e il 9 maggio 1978 dalla mafia con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia nel territorio di Cinisi (PA) nel corso della campagna elettorale.

E, infatti, nel libro da Voi pubblicato La parola contro la camorra, l'autore Roberto Saviano, alle pagine 6-7 con riferimento all'assassinio di Impastato, ignorando del tutto il ruolo del Centro siciliano di documentazione "G. Impastato" nella ricostruzione della verità su tale delitto, le complesse e lunghe vicende che hanno condotto ai due processi di condanna dei mandanti dell'omicidio di Impastato, nonché il lavoro della Commissione parlamentare Antimafia, scrive: "Quando Impastato fu ucciso, l'opinione pubblica venne inconsapevolmente condizionata dalle dichiarazioni che provenivano da Cosa Nostra. Che si fosse suicidato in una sottospecie di attentato kamikaze per far saltare in aria un binario. Questa era la versione ufficiale, data anche dalle forze dell'ordine. Poi dopo più di vent'anni, nasce un film, I cento passi, che non solo recupera la memoria di Giuseppe Impastato - ormai conservata solo dai pochi amici, dal fratello e dalla mamma - ma addirittura la rende a tutti, come un dono. Un dono alla stato di diritto e alla giustizia. Questa memoria recuperata arriva a far riaprire un processo che si chiuderà con la condanna di Tano Badalamenti, all'epoca detenuto negli Stati Uniti. Un film riapre un processo. Un film dà dignità storica a un ragazzo che invece era stato rubricato come una specie di matto suicida, un terrorista".

Ma, da un semplice esame cronologico dei seguenti fatti emerge:

Anonimo ha detto...

A) il film "I cento passi" è stato presentato al Festival di Venezia il 31 agosto 2000 ed è uscito nelle sale solo nei mesi successivi;
B) Già nel 1998 la Commissione Parlamentare Antimafia ha costituito un Comitato sul "Caso Impastato" e ha redatto una relazione che è stata approvata nel dicembre del 2000;
C) le indagini (e non già il processo) sono state riaperte molto prima del film: il primo processo, quello con rito abbreviato contro Vito Palazzolo, è cominciato nel marzo del 1999 e si è concluso nel marzo del 2001 con la condanna a trent'anni di reclusione; l'altro, quello contro Gaetano Badalamenti, in videoconferenza si è aperto nel gennaio del 2000 e si è concluso nell'aprile del 2002 con la condanna all'ergastolo.

Anonimo ha detto...

È, quindi, di tutta evidenza ed emerge dalla constatazione cronologica dei suddetti avvenimenti che la ricostruzione dei fatti operata dal Saviano è, quantomeno, grossolana e superficiale e disconosce ingiustamente l'attività e il ruolo culturale svolto dal Centro siciliano di documentazione "G. Impastato" che, all'indomani del delitto, ha supportato i familiari e i compagni della vittima e, con insistente impegno, ha contribuito alla riapertura delle indagini e alla ricostruzione storica del delitto e della sua matrice.

A riprova di ciò si dà una breve ricostruzione delle attività del Centro. Subito dopo il delitto, l'11 maggio 1978, il Centro con altri ha presentato un esposto alla Procura sostenendo che Impastato era stato ucciso dalla mafia e la mattina dello stesso giorno il dott. Umberto Santino, fondatore del Centro, ha organizzato un'assemblea presso la Facoltà di Architettura dell'Università di Palermo e nel pomeriggio a Cinisi ha tenuto il comizio di chiusura della campagna elettorale, che doveva tenere Impastato, indicando il capomafia Gaetano Badalamenti come mandante dell'assassinio.
Nel luglio del 1978 il Centro, attraverso il Comitato di controinformazione "Peppino Impastato", costituitosi presso il Centro, ha pubblicato il bollettino 10 anni di lotta contro la mafia, ricostruendo l'attività culturale e politica di Impastato e ha sostenuto i familiari costituitisi parte civile nel novembre dello stesso anno. Il 6 novembre il sostituto procuratore Domenico Signorino trasmette gli atti all'Ufficio Istruzione per aprire un procedimento per omicidio premeditato ad opera di ignoti.

Anonimo ha detto...

Nel gennaio del 1979 il Centro ha sollecitato il partito Democrazia proletaria a costituirsi parte civile e successivamente ha presentato, assieme ai redattori di Radio Aut, la radio fondata da Impastato, un promemoria sull'andamento delle indagini, ribadendo la matrice mafiosa del delitto, e un esposto, in seguito al quale il consigliere istruttore Rocco Chinnici ha chiesto il sequestro delle pratiche del Comune di cui Impastato si era occupato. Nel maggio dello stesso anno, nel primo anniversario dell'assassinio di Impastato, ha organizzato a Cinisi una manifestazione nazionale contro la mafia, la prima della storia d'Italia.
Negli anni successivi il Centro ha organizzato, assieme ai familiari e alcuni compagni di militanza, le iniziative per ricordare Impastato e in seguito all'ordinanza-sentenza del maggio 1984, predisposta dal consigliere Chinnici, assassinato il 29 luglio 1983, e completata dal suo successore Antonino Caponnetto, in cui si affermava la matrice mafiosa del delitto attribuendolo a ignoti, ha pubblicato il dossier Notissimi Ignoti e il libro La mafia in casa mia, con la storia di vita della madre di Impastato, che ha fatto riaprire ancora una volta le indagini. In seguito all'archiviazione disposta dal sostituto procuratore De Francisci (febbraio 1992) il Centro ha ribadito la responsabilità di Badalamenti e nel 1994 ha chiesto che venisse ascoltato il collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, della famiglia mafiosa di Badalamenti.
La richiesta del Centro è stata accolta e nel febbraio del 1996 le indagini si sono riaperte. Si arriva così alla richiesta di rinvio a giudizio di Badalamenti e del suo vice Vito Palazzolo e ai processi con le condanne di entrambi come mandanti dell'omicidio.

Anonimo ha detto...

Le affermazioni del Saviano, proprio perché contenute in un libro a larga diffusione, sono mortificanti e offensive per chi, come il predetto Centro siciliano di documentazione - totalmente autofinanziato e quindi senza mezzi pubblici né mediatici - ha dedicato tutta la vita alla lotta alla mafia e alla ricerca della verità sul delitto Impastato.

Quelle contenute nel libro in contestazione sono una falsa rappresentazione dei fatti che per onore della verità sono andati molto diversamente da quanto sostenuto dal Saviano.

Anonimo ha detto...

Ed infatti: 1) Ignora la storia il Saviano quando dice: "... Poi dopo più di vent'anni, nasce un film, I cento passi... Dimentica l'autore (consapevolmente?) più di vent'anni di lavoro del dott. Umberto Santino e del Centro di ricerca da lui diretto: le lotte, le manifestazioni all'indomani dell'assassinio nonché quelle annuali (ma non solo) organizzate per gli anniversari dell'assassinio dal Centro Impastato e dai familiari, i lavori di ricostruzione del delitto e le pubblicazioni del Centro Impastato; senza considerare che l'autore ha ignorato il lavoro della Commissione Parlamentare Antimafia (stimolato peraltro dal predetto Centro di ricerca), il lavoro dei magistrati e degli avvocati dei familiari. Nessun film ha "riaperto" il processo. Senza il lavoro continuo e costante del Centro di ricerca diretto dal dott. Umberto Santino, con il prezioso e instancabile contributo quotidiano della dott.ssa Anna Puglisi, e dei familiari di Giuseppe Impastato, le indagini non si sarebbero riaperte.

Anonimo ha detto...

2) La stessa imprecisione terminologica usata nel testo rivela la leggerezza con cui vengono rappresentati i fatti in questione: i processi non si riaprono, semmai si riaprono le indagini! E nella fattispecie, grazie al lavoro del Centro siciliano di documentazione (dei familiari assistiti dagli avvocati e, ovviamente, del pubblico ministero), sono state riaperte (molto prima del film in questione!) le indagini (e non già un processo!) che hanno condotto a due processi (e non uno come invece sostenuto nel libro). Si ripete: il processo con rito abbreviato contro Vito Palazzolo è cominciato nel 1999 e si è concluso nel marzo 2001 con la condanna a trent'anni del Palazzolo; quello contro Gaetano Badalamenti si è aperto in videoconferenza a gennaio 2000 e si è concluso nell'aprile del 2002 con la condanna all'ergastolo dell'imputato. Il film, invece, è uscito nelle sale cinematografiche solo negli ultimi mesi del 2000!

Anonimo ha detto...

3) L'autore ignora anche il lavoro svolto dalla Commissione parlamentare antimafia. Nell'ottobre 1998, infatti, su richiesta dei commissari di Rifondazione Comunista, la suindicata Commissione ha costituito un Comitato di lavoro sul "Caso Impastato" e, con la collaborazione del Centro siciliano di documentazione "G. Impastato", dei familiari e dei compagni ha redatto, dopo due anni di intenso lavoro ed audizioni, una relazione che è stata approvata nel dicembre 2000. Relazione che il Centro siciliano di documentazione "G. Impastato" ha fatto pubblicare nel libro Peppino Impastato. Anatomia di un depistaggio (Editori Riuniti Roma 2001, 2006).

Anonimo ha detto...

È di tutta evidenza che l'autore rappresenta in modo falso e con estrema superficialità i fatti, mitizzando il film.
4) "... Un film dà dignità storica a un ragazzo che invece era stato rubricato come una specie di matto suicida, un terrorista": chi studia con serietà i fatti come sopra rappresentati, anche attraverso le pubblicazioni del Centro di documentazione e gli atti dei due processi ai mandanti, sa che la dignità di Giuseppe Impastato è stata salvaguardata proprio dal Centro di documentazione e dal Suo presidente, dott. Umberto Santino, che unitamente ai compagni e ai familiari, già all'indomani del delitto ha affermato ad alta voce e pubblicamente la matrice mafiosa del delitto voluto e organizzato dalla mafia di Cinisi a causa dell'attività politico-culturale svolta da Giuseppe Impastato in quel territorio.

È palese, a questo punto, la violazione del principio della verità storica che grava su chi fa o assume di fare informazione e pubblica notizie. Senza considerare che un testo come quello in questione è destinato a circolare in numerosissime copie e a divulgare una falsa rappresentazione dei fatti.

Anonimo ha detto...

Non solo, ma il libro viola l'identità personale e l'immagine del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" quale soggetto che, sin dal 1977, è impegnato a lottare la mafia sul territorio e che ha avuto un ruolo essenziale nella ricostruzione dei fatti relativi all'omicidio dell'Impastato, tant'è che ne porta dal 1980 il nome!

Si invita e diffida, pertanto, l'editore a rettificare quanto contenuto nelle pagine 6 e 7 del libro in questione, a ritirare dal commercio l'edizione in corso di distribuzione e a rettificare le edizioni successive tenendo conto delle sopra riportate notizie.

In mancanza, sarò costretto ad agire in giudizio per la tutela delle ragioni tutte - anche risarcitorie - del mio cliente, con conseguente aggravio a Vostro carico anche per spese legali, interessi e risarcimento danni come per legge.

Distinti saluti

dott. Umberto Santino
(n.q. Presidente del Centro siciliano di
documentazione "G. Impastato")

(Avv. Pietro Spalla)

(Avv. Antonina Palazzotto)

fuoco amico ha detto...

saviano, nulla da dichiarare?????

Anonimo ha detto...

Volevo solo rilevare che Giacalone ha fatto confusione tra Dedonno e De Caprio (il capitano Ultimo).
Luigi