Il Grande Circo antiberlusconiano s’accende ogni giorno della settimana in prima serata sui canali della televisione pubblica. Ogni lunedì abbiamo il piacere di vederlo all’opera nella sua espressione più sfolgorante. Il copione è consolidato, sedici anni di propaganda perdente hanno oliato a dovere la macchinina del soviet culturale. Appena compaiono sulla scena la camicina bianca e la cravattina smilza di Fabio Fazio capisci che i Giusti a Prescindere si daranno un gran daffare anche stasera. Sono talmente chic, rarefatti e plaudenti che il dubbio non può sfiorarli. Non camminano, ma levitano. Non parlano, si raccontano. Non guardano, si specchiano. «Vieni via con me» è la proiezione all’ennesima potenza di un progressismo che si crede talmente avanti da non vedere più neppure la strada che percorre. Sempre dritto. Contro il Cavaliere nero e per un mondo migliore. Uno spot della Nutella condito di verbalate. Ma rispetto a Santoro e Travaglio qui siamo più avanti. Perché l’entertainment prescinde da fatti e misfatti. Prendete Saviano, fa una tiritera barbosa sulla «monnezza» napoletana, ci racconta cose che i cronisti partenopei – quelli che stanno sul marciapiede – descrivono tutti i giorni, ma sorvola su un fatto incidentale: la gestione dei rifiuti a Napoli è tutta intestata al centrosinistra, ai Progressisti del Bidone. Il Saviano nazionale invece ieri ha deciso di spiegare al popolo la storiella del per come e perché i rifiuti sono un business. Sai che novità. Il ventennio Bassoliniano invece è con il silenziatore. Rosa Russo Iervolino idem. Il bestsellerista non li degna di attenzione, poverini. E così la puntata va a colpi di ecoballe, assolve la sua missione fondamentale, non perde quello che Saviano definisce «l’elemento centrale della narrazione», cioè il progetto politico che sta dietro questo programma: dipingere un’Italia buona (vi lascio immaginare quale) e un’Italia cattiva (scatenate la fantasia).
Ma prima di Saviano c’è il pifferaio del programma, il bravo presentatore, Fazio. Il distillato di un mondo che si autoincensa. Siamo noi. Siamo qui. Siamo eroici. Siamo intelligenti. Oh, che bello applaudire noi stessi in questo studio. Roteare gli occhi e bearsi del successo. Una sbornia autocelebrativa. Il rumore di fondo che lo accompagna è quello del cingolato della propaganda. Quando con sguardo da profeta auspica una «televisione che si occupi di politica senza che la politica si occupi di televisione», quando esprime il desiderio che «i finanziamenti pubblici vadano alla scuola pubblica», quando brandisce l’ironia sperando «che gli importatori di ananas non chiedano il diritto di replica», quando gioca con gli slogan sognando un’Italia dove non si dice «scendere in campo ma servire il Paese», quando dà il fiato alla trombe della protesta mettendo in pista il commissario Montalbano contro «i tagli allo spettacolo», lo show di Fazio esprime la sua cifra, la sua reale dimensione. Dietro l’arte, la letteratura, la musica, i guitti di vario titolo e gli scrittori engagè, c’è un programma politico che sostituisce quello dei partiti, un’offensiva politico-culturale che annienta ogni possibilità di replica perché il Totem-Saviano non si può criticare e se lo fai come minimo vieni accusato di concorso esterno con la camorra. I comunisti avevano la religione di Stato, i faziosi hanno quella del Giusto. Un breviario di frasi, sentenze e verità intoccabili e indiscutibili.
La carrellata di personaggi di «Vieni via con me» è la sfilata della retorica pavloviana che ha riscritto la storia d’Italia a sua immagine e somiglianza. Non è una cronaca fedele della realtà, una ricostruzione che tende ad essere oggettiva, ma una narrazione allusiva, una proiezione di desideri, una simbologia che di fronte alle telecamere si trasforma in fiction e paradigma politico. È un copione che è costruito per non avere contraddittorio. La dimostrazione plastica l’abbiamo avuta quando sul palcoscenico è arrivato il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Il suo intervento è apparso immediatamente un altro film, una sceneggiatura eccentrica rispetto a quella interpretata da Fazio, Saviano e compagni di ventura. Maroni elenca gli arresti, le leggi, i sequestri, i numeri. È emozionato. È un uomo di governo che si ritrova a dover spiegare che lui, il suo partito, un’intera classe dirigente, non sono collusi con la criminalità organizzata. Lo fa con dignità e semplicità, concedendosi solo il finale retorico della citazione di Gaetano Salvemini sul Meridione, il federalismo. Fine. Stretta di mano e via. Poi il programma torna a navigare nelle acque dei santini pronti per l’uso e il disuso, incollati sull’album di figurine di una famiglia che ripete sempre gli stessi errori e qualche volta li ha anche trasformati in orrori della nostra storia. E allora ecco comparire l’icona del povero Cucchi, il ragazzo morto in carcere. E l’Ivano Fossati che canta anch’egli se stesso ma almeno ha il pregio di essere un poeta vero. E Fazio che chiama, naturalmente, «un grande italiano», Renzo Piano, il quale è un geniale architetto, ma anche lui finisce nel giochino dei maestri a prescindere e ci dice che è contro il nucleare e fa un discorso sull’italianità che figurati se non lo condividiamo. Il sapere non è spiegato, ma piegato.
Guardare «Vieni via con me» significa entrare in un plot narrativo a tema che non ammette scarti, sorprese e colpi di testa. Il programma è privo di ritmo – il che è davvero un paradosso per un puzzle di elenchi che nel ritmo trova la sua ragione – ma viene riscattato dall’elenco snocciolato da colui che è apparso come il vero genio della serata, Corrado Guzzanti. Ci ha fatto ridere. Almeno era satira, graffiante, cattiva, roboante, e non pretendeva di essere una cosa diversa da quella che è stata. Quando ha detto «Fini era fascista, poi postfascista e ora con il futurismo è tornato prefascista» ci ha deliziato. Il resto è un pallosissimo manifesto zdanovista, al confronto il Porta a Porta di Bruno Vespa è un thriller mozzafiato. Il baraccone messo in piedi da Fazio e Saviano ha successo. La scorsa settimana erano nove milioni incollati al video e non dubito del bagno di folla perpetuo. Non mi stupisce. La noia elevata a programma politico si basa su un meccanismo di autoidentificazione che mette in campo certezze. Niente dubbi, siamo l’Italia migliore, diversa, progredita, che ascolta musica, legge libri, va a teatro, fa i week-end giusti, ha le massime indiscutibili che servono per fare salotto, mangia con le posate, conosce i vini, cita i giornali stranieri, ha la terrazza ma non la esibisce e le tartine, signora mia, le tartine sono macrobiotiche. La puntata scorre via come l’acqua, il giorno dopo se ne parla in ufficio, al bar, di fronte al poveraccio che vota centrodestra, si finisce per darsi di gomito e compatirlo perché è un lobotomizzato che raggiunge il suo apice culturale guardando il Milan su Sky. Poi, improvvisamente, la televisione si spegne, è domenica, gli italiani si levano dal letto, vanno a messa, entrano nel seggio, votano. E qualcuno perde le elezioni.(mariosechi.it)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
6 commenti:
'Non c'è la verità storica'
Il Centro Peppino Impastato diffida l'ultimo libro di Saviano
Paolo Persichetti Liberazione
Dopo Gomorra anche l'ultimo libro di Roberto Saviano, La parola contro la camorra, sta suscitando polemiche. Questa volta è il Centro Peppino Impastato a sollevare il problema con una diffida inviata all'editore Einaudi. Umberto Santino, presidente del Centro e antico amico e compagno di lotte di Peppino Impastato, lamenta le gravi inesattezze storiche presenti alla pagine 6 e 7 del volume dove si ricostruisce con una incredibile dose di superficialità la vicenda della riapertura delle indagini sull'assassinio nel maggio 1978 del giovane militante di Democrazia proletaria su ordine del boss di Cinisi Tano Badalamenti. Nella ricostruzione proposta da Saviano il merito di aver lacerato il velo di silenzio sulla morte di Impastato, consentendo anche la riapertura dei processi, viene attribuito per intero al film I cento passi di Marco Tullio Giordana, presentato al festival di Venezia nel settembre 2000.
I due decenni precedenti, il fondamentale lavoro di controinformazione, condotto all'inizio in piena solitudine, dal Centro Impastato e dai suoi familiari scompaiono nel buco nero della storia. L'omissione, segnalano i legali del Centro, è tanto più grave perché l'operazione editoriale mira ad una diffusione di massa del testo che così contribuirebbe a edificare una riscrittura del passato contraria alla verità storica. L'infaticabile lavoro di denuncia del Centro Impastato aveva portato la commissione antimafia ad occuparsi della vicenda già nel 1998 mentre le indagini e i processi hanno tutti avuto inizio prima del film, che semmai ha coronato questo risveglio d'attenzione sulla vicenda.
Saviano non è nuovo ad operazioni del genere. Quando non abbevera i suoi testi alle fonti investigative da mostra di evidenti limiti informativi. In un'altra occasione aveva anche raccontato di una telefonata ricevuta dalla madre di Impastato, «che abbiamo verificato non essere mai avvenuta» ha spiega Umberto Santino. Quest'ultimo episodio ripropone nuovamente gli interrogativi sul ruolo di amministratore della memoria dell'antimafia che a Saviano è stato attribuito da potenti gruppi editoriali. L'inquietante livello di osmosi raggiunto con gli apparati inquirenti e d'investigazione, che l'hanno trasformato in una sorta di divulgatore ufficiale delle procure antimafia e di alcuni corpi di polizia, dovrebbe sollevare domande sulla sua funzione intellettuale e sulla sua reale capacità d'indipendenza critica.
Saviano oramai è un brand, un marchio, una sorta di macchina mediatica in mano ad alcuni apparati. L'uomo Saviano sembra divenuto una marionetta, un replicante. Quest'ultima omissione non appare affatto innocente ma la diretta conseguenza di una diversa concezione dell'antimafia, risolutamente opposta all'antimafia sociale di Peppino Impastato. La verità sul suo assassinio venne a lungo tenuta nascosta anche grazie al depistaggio di carabinieri e magistratura. Un passato che con tutta evidenza il dispositivo Saviano non può più raccontare.
Umberto Santino denuncia: "Quello che Saviano scrive su Peppino Impastato è falso ma non ci vuole rispondere" Stampa E-mail
Gabriele Paglino, Radio Città Aperta
"Quanto scrive Roberto Saviano, in merito alla storia di Peppino Impastato, nel libro ‘La parola contro la camorra’ è assolutamente menzognero". E' quanto ha affermato ai microfoni di Radio Città Aperta Umberto Santino, presidente del Centro siciliano di documentazione "G. Impastato".
Il 4 ottobre scorso il Centro Impastato ha inviato una lettera di diffida alla Giulio Einaudi, la casa editrice che ha pubblicato il libro in cui lo scrittore campano, tra le tante storie ( Pippo Fava, Giovanni Falcone, Don Peppe Diana ecc.) cita anche quella di Peppino Impastato. Secondo Saviano il famoso film di Marco Tullio Giordana, “I cento passi”, avrebbe recuperato la memoria del militante politico e giornalista, assassinato dalla mafia la notte tra l’8 e il 9 maggio del ’78, ma soprattutto contribuito alla riapertura del processo.
"Tutto falso - attacca Santino - le indagini, e non il processo come dice Saviano, sono state riaperte prima che il film venisse presentato al Festival di Venezia ( ndr 31 agosto 2000). Il signor Saviano in poche righe riesce a cancellare più di trent'anni di lavoro portato avanti dai familiari, dai compagni e dal Centro, cominciato già il giorno dopo l'assassinio di Peppino. Un lavoro che è riuscito ad ottenere, seppur in ritardo, due risultati storici: la condanna di Badalamenti e del suo vice Vito Palazzolo. Anche su questo Saviano è totalmente disinformato perchè i processi erano due. L'altro secondo risultato, ottenuto grazie al nostro operato, è stato il riconoscimento da parte della Commissione Parlamentare Antimafia che tutto quello che noi dicevamo sul depistaggio operato dalle forze dell'ordine e dal magistrato Martorana. Anche su questo Saviano dà prova della sua ignoranza, perchè non è stata Cosa Nostra ad aver diffuso la voce che si fosse trattato di un attentato kamikaze ma il procuratore capo Martorana. Dal punto di vista giudiziario dunque, il film non ha avuto nessuna influenza".
Santino poi, ricordando che il giornalista freelance Simone Di Meo ha ottenuto dalla Mondadori l'inserimento solo dall'undicesima ristampa del libro "Gomorra" del suo nome, dopo aver intentato causa sempre contro Saviano per l'utilizzo nel suo libro di ampi stralci di inchieste condotte dal freelance senza citarlo, chiede che anche per il centro "G. Impastato" valga lo stesso principio.
"Chiediamo la rettifica di quanto scritto su Peppino Impastato e il riconoscimento del nostro ruolo". Prosegue Umberto Santino lamentando inoltre un totale silenzio da parte degli organi d'informazione sulla vicenda e su tutto il lavoro portato avanti in questi trent'anni dal Centro siciliano di documentazione "G. Impastato". "Sembra esserci un silenzio stampa dei media, quotidiani che lottano per la libertà d'informazione come l'Unità, Il Fatto e Il Manifesto, ma che evidentemente hanno il mito di Saviano, non ci hanno degnato neanche di una breve. La Repubblica inizialmente pubblicò, solo dopo l'ennesimo sollecito, una nostra lettera in gran parte tagliata".
Cosi come Radio Città Aperta questa mattina, anche in quell'occasione La Repubblica chiese allo scrittore campano di replicare. Al momento però Saviano non ritiene opportuno farlo.
"Il fatto che Saviano non ci risponda e non abbia accettato il confronto - taglia corto il presidente del Centro di via Villa Sperlinga a Palermo - dimostra che è un presuntuoso".
Saviano, niente da dichiarare???
Posta un commento