Fermiamo i pazzi. Un gruppo di esaltati e assatanti s’è impadronito del nostro dibattito pubblico, costringendolo a strisciare nel sordido e impedendogli di guardare quale che sia cosa abbia a che vedere con gli interessi collettivi, con i rischi che corriamo, con le opportunità che non cogliamo.
Che senso ha mandare al Parlamento centinaia di pagine d’intercettazioni, segnalandone ai giornali passi ove non si scorge l’ombra di un reato, ma si soffia sul fuoco del discredito, del dileggio, del mettere zizzania? Certo, conosco a memoria l’obiezione dei moralisti senza morale, che sono anche i politicastri senza idee: in nessun Paese del mondo sarebbe possibile vedere al governo chi conduce a quel modo la propria vita privata. Finiscono la frase con l’impressione d’avere detto una grande verità, talmente tale da non potere essere dimostrata. Invece hanno suggellato la propria inutilità: in nessuna democrazia un governante in quel modo colpito e indebolito resta al governo con il consenso degli elettori, perché da nessuna parte c’è un’opposizione di morti viventi, come da noi.
Quando vai al mercato non compri la migliore mela del mondo, non acquisti l’iperuranica perfezione del pomo, porti a casa la migliore disponibile. Nel nostro mercato elettorale Silvio Berlusconi è considerato la scelta preferibile perché le altre sono orribili. Pensare di uscirne sperando che si suicidi o che lo ingabbino per sempre è da pazzi (oltre che da soggetti incapaci di vivere nella democrazia e inadatti a comprendere lo stato di diritto). I giornali di ieri titolavano: “Sesso e Soldi”, riferendosi a Bertolaso. Sono mesi e mesi, anni, che non parliamo d’altro, ma non c’è lo straccio di una sentenza, mentre l’opposizione non è riuscita a creare il simulacro di un’alternativa. Sembrano dementi, non si rendono conto che il loro andare appresso al giustizialismo convince gli italiani che l’altro è comunque migliore. O, se preferite, meno peggiore. Fra una mela ammaccata e una marcia e bacata preferiscono la prima. Ovviamente.
La sinistra è stracolma di falliti che campano solo grazie ai soldi della politica. Gente vecchia che si dimena in lotte antiche, che non ha mai lavorato. Nel frattempo si scopre che alle primarie votano i cinesi di Napoli che, per chi non lo sapesse, sono terreno d’azione della criminalità organizzata. Ebbene, noi queste cose le scrivemmo per tempo, dicemmo che la boiata delle primarie sarebbe stata una trappola. Ci sono caduti e, ora, non sanno che rispondere al Saviano di turno, in regolare ritardo. E fosse solo il giovane divo: la sinistra dei morti viventi e dei mantenuti dipende non solo dalle procure, ma anche dai conduttori televisivi, loro strapagati e arciricchi aguzzini. Scontata la replica: perché, a destra è meglio? Sì, perché in quanto a bassezza se la giocano, ma in quanto a spocchia intellettualoide, almeno, ce la risparmiano. Aggiungo: a destra magari non ti leggono, ma a sinistra non sanno fare altro che maledirti e cercare di cancellarti. Sono pericolosi, nella loro fallimentare frustrazione.
Vorrei dire una cosa, a proposito di Ilda Bocassini. Ci sono vicende e racconti, su di lei, che da anni girano, fra gente che mostra il medesimo ghigno cretino di quelli che oggi si sollazzano con le intercettazioni da lei raccolte e diffuse. Una via di mezzo fra l’adolescente ormonalmente instabile e lo stupido cronico. Ma questo vale per l’una e l’altra cosa, per quel che si narra e per quel che si sbobina. E vale a comprendere che in una lotta del fango si resta tutti infangati. Nella fanga sparisce il valore di ciascuno, compreso quello di un magistrato che seppe, da sola, alzarsi e rimproverare ai colleghi di avere abbandonato Giovanni Falcone all’isolamento e alla sconfitta, preludio della morte.
Allora: fermiamo i pazzi. Questa stagione deve finire. Contare sulla lungimiranza e sulla dignità degli astanti non è saggio, semmai sul loro (animale) spirito di sopravvivenza. Votiamo: i sinistri senza arte né parte torneranno ad avere il seggio per sfamarsi e sentirsi eleganti, i destri più fedeli saranno premiati, qualche “diverso” s’infilerà qui e là, ma sarà poi chiara l’inutilità di puntare subito ad una nuova crisi. Al mondo politico, dopo l’ennesimo lavacro elettorale, dopo il centesimo referendum su Berlusconi, sarà più chiaro il bivio: continuare l’andazzo debosciato e inconcludente della seconda Repubblica, finendo impalati con questa; oppure aprire la storia della terza, riformare le istituzioni e uscire di scena come se si fosse reso un servizio.
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Microfoni e taccuini
di Giuseppe d 'Avanzo
Siamo travolti dalle intercettazioni telefoniche. Da quasi un anno ci piovono addosso decine di migliaia di frasi rubate. Cominciammo con la moglie del governatore della Banca d’Italia e baci in fronte. Oggi siamo al Savoia e alle sue voglie pazze.
Nel frattempo, abbiamo sbirciato molti mondi. Il mondo taroccato di Stefano Ricucci e dei suoi amici del «quartierino». Il pianeta politicamente ambizioso di Giovanni Consorte. E poi il mondo sotterraneo di Luciano Moggi; di arbitri in cerca di gloria; di giudici in cerca di un biglietto di tribuna; di pubblici ministeri in cerca di notizie per l’amico da proteggere. Non si salva nessuno, pare(...).
In questo teatro non c’è alcun attore innocente e soprattutto non c’è nessuno che faccia il suo lavoro con misura e rispetto degli altri, salvo rimproverare agli altri intemperanze e violazione della privacy. Naturalmente, in prima fila c’è la magistratura.
Secondo l’Eurispes, negli ultimi dieci anni, sono state intercettate in Italia circa 30 milioni di persone; nel 2004 per l e intercettazioni sono stati spesi o ltre 300 milioni di euro e il 2005 h a registrato una spesa ancora maggiore. Nel 2001 i telefoni intercettati sono stati 32.000. Sono diventati 45.000 nel 2002. 77.615 nel 2003. 92.781 nel 2004 e nel 2005 hanno superato i 107.000. Considerati i tempi medi delle intercettazioni, circa 45 giorni, ogni anno sarebber o intercettate oltre un milione e 500.000 persone.
L e intercettazioni telefoniche, informatiche, telematiche e ambientali sono mezzi di ricerca della prova previsti dalla legge, e questo s i sa. Possono essere disposte solo per reati di particolare gravità e, con l’autorizzazione di un giudice, per «gravi indizi» e quando sia «assolutamente indispensabile a i f in i della prosecuzione delle indagini».
È una estrema ratio che dovrebbe trovare il suo limite nell’articolo 15 della Costituzione: «La libertà e segretezza di ogni forma d i comunicazione sono i nviolabili». In realtà una magistratura pigra abusa delle intercettazioni. Con quel metodo di lavoro invasivo, si afferra rapidamente i l risultato «oggettivo» senza dannarsi troppo l’anima.
Oggi si intercetta per il piccolissimo spaccio e per il grande traffico di droga. Per l a manipolazione di una Opa e per una truffa di poche centinaia d i migliaia d i euro. È sufficiente contestare l’associazione per delinquere. L a bulimìa intercettatoria h a numeri spaventosi che oggi non hanno confronti internazionali.
Non è solo la magistratura a rendere ipertrofico il meccanismo. Ne abusa la polizia giudiziaria quando diffonde le intercettazioni per mettere un pubblico ministero riottoso dinanzi al fatto compiuto o per condizionare le indagini. Ne abusano gli avvocati che, secondo convenienza, scaricano in pubblico le "carte" dell'altro imputato per proteggere, dal clamore o dalle responsabilità, l'assistito che paga la parcella.
Prima conclusione, allora. Le intercettazioni sono necessarie alle indagini, ma non tutte le indagini hanno bisogno di intercettazioni. E tuttavia se le intercettazioni hanno sempre di più un effetto devastante per il diritto dei cittadini non lo si deve soltanto a quel che finisce negli atti giudiziari, ma all'uso scapestrato e allegro che si fa di quegli atti. La pubblicazione di quelle carte, al di là di ogni necessità, è quasi sempre colorato da una irritante ipocrisia. Per non rimanere tartufescamente nel vago (anche se chi è senza peccato scagli la prima pietra) si può parlare di come il Corriere della Sera ha maneggiato l'affare giudiziario del Savoia.
Editoriale rituale di Piero Ostellino che censura "le gigantesche e rumorosissime inchieste poi finite in una bolla di sapone". Qual è l'inchiesta? In sette pagine piene non si riesce a capire di che cosa si sta parlando, quali sono i fatti che hanno provocato l'indagine e gli arresti. La cronaca dell'affare è infatti soltanto a pagina 6. Non pare essere quello il tassello più importante. Il maggiore rilievo è affidato da pagina 2 a pagina 3 a sbirciare nel buco della serratura. A sbattere nero su bianco chiacchiere telefoniche, nomi, facce, storie di sesso vero o presunto, turpiloqui, vaniloqui, millanterie e arroganza. Sembra essere una curiosità morbosetta il solo interesse pubblico che il giornale diretto da Paolo Mieli attribuisce all'avvenimento. Chi fa sesso con chi. Come. Dove. E quel maritino lì, è contento ora che gli stiamo spiattellando la storia della mogliettina incinta?
Diamogli un colpo di telefono e intervistiamolo... (Maritino e Mogliettina, va detto, sono del tutto estranei all'inchiesta penale).
È la seconda questione. Il giornalismo italiano - tutto il giornalismo italiano, nessuno escluso - diffonde a piene mani intercettazioni non per fare informazione, per rispettare quel "patto etico" con il lettore che gli impone di rendere (anche con frasi rubate) comprensibile la realtà, di spiegare per quanto è possibile che cosa è accaduto e perché. Quelle frasi rubate sono pubblicate per mero scandalismo. Per voyeurismo.
l giornalismo c'entra come il cavolo a merenda. A chi fa i giornali non interessa sapere di che cosa è responsabile, se è responsabile, il Savoia e la sua miserabile corte, a ricostruire il contesto che solo rende possibile comprenderne gli errori o i reati. Vuole soltanto raccontarne la vita oscura, le miserie, le volgarità, le voglie, come se ci fosse un delizioso godimento a scoprire il mostro nella faccia dell'altro, nella vita degli altri.
L'abuso delle intercettazioni della magistratura non ha nulla a che fare con l'abuso che ne fa il giornalismo italiano, ipocritamente dissimulato dalle consuete litanie contro la magistratura e da quella stupidaggine che nelle redazioni suona così: "Si pubblica tutto ciò che abbiamo" anche se il più candido di noi sa che è vero per alcune carte ma non per tutte, naturalmente. I due abusi incrociati e sovrapposti provocano la barbarie della civiltà che abbiamo sotto gli occhi. In un Paese dove il crimine di mafiosi e colletti bianchi è patologico, sarebbe necessario un dibattito pubblico che possa tenere insieme le necessità investigative, la tutela della privacy dei singoli
(soprattutto se non indagati, soprattutto se le intercettazioni personali sono irrilevanti per le indagini), un diritto-dovere di informare e di essere informati che trovi limiti nell'interesse pubblico e nel diritto altrui. Sarebbe sufficiente soltanto ritrovare le ragioni di codici deontologici che sappiano essere condivisi e rispettati.
Finirà, come sempre in Italia, con una nuova legge, con un nuovo reato iscritto nel codice penale. Con la stessa impunità e barbarie.
(19 giugno 2006)
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