lunedì 18 novembre 2013

Caro Napolitano, missione fallita. Marcello Veneziani

Credo che sia maturo il tempo di esprimere un giudizio compiuto, non ossequioso e nemmeno ingiurioso nei confronti del presidente della Repubblica.
Salutato da tanti come il Salvatore della Patria, l'unico baluardo nel caos e nello sfascio, denigrato da pochi oppositori, Giorgio Napolitano ha tenuto in questa burrasca uno stile dignitoso, come si addice a un capo dello Stato.
 
Ha esortato a tutelare l'interesse primario dell'Italia, non si è lasciato coinvolgere nella volgarità di alcuni attacchi subiti e di alcune polemiche assurde, ha tenuto un atteggiamento sobrio da arbitro. Gliene va dato atto. Nel suo stile misurato è emersa soprattutto la sua esperienza di antico dirigente del Partito comunista, la sua forma mentis di uomo d'apparato e di nomenklatura, portavoce accorto di un partito strettamente legato all'Unione Sovietica in seno alle istituzioni democratiche e ai consessi occidentali.
Ma se passiamo dallo stile ai contenuti e agli effetti pratici, dobbiamo invece registrare un bilancio negativo. Napolitano spinse un governo liberamente e democraticamente eletto a dimettersi nel nome dello spread, dell'Europa e della crisi, dopo aver sostenuto il tentativo di Fini di far cadere per via parlamentare il governo Berlusconi. Divenne poi, con la benedizione franco-tedesca, il principale sponsor di un governo sciagurato per il Paese, quello di Monti e dei tecnici. Offrì a Monti il Senato a vita, un governo con larghi appoggi e lo sostenne a spada tratta; ma il risultato fu l'aggravarsi della situazione reale del Paese e il deteriorarsi del quadro politico. Nel suo settennato non osò mai denunciare il Porcellum, come oggi fanno in tanti, lui compreso, uno sfregio alla Costituzione e all'elementare diritto dei cittadini di scegliersi i propri rappresentanti; lo ha fatto di recente, in extremis, che la situazione si è tremendamente complicata. Lasciò che si andasse a votare con quella legge elettorale che ci donò un Parlamento spaccato in tre tronconi principali e un Paese perfettamente ingovernabile. Rieletto come mai era accaduto nella nostra storia repubblicana, Napolitano adottò un nuovo governo del presidente, affidato a Letta, che è, con rispetto parlando, un governo placebo fondato sul rinvio delle grandi decisioni (giustizia, sistema elettorale, riforme strutturali) e sulla produzione incessante di ipotesi fiscali, puntualmente neutralizzate da spinte opposte. Un governo a somma zero per le larghe divergenze che lo sorreggono. Che un governo sia meglio di nulla, e che nello zero assoluto di prospettive la caduta di un governo possa essere un baratro nel baratro, sarà senz'altro vero. Ma non mi pare una prospettiva per il Paese.
Tralascio il caso Mancino, ben più rilevante della vicenda Cancellieri-Ligresti, e mi limito solo a notare che il suo garantismo ha funzionato solo in alcune direzioni. Era evidente che la richiesta a Berlusconi di sacrificare il suo governo e poi di accettare un'alleanza con la sinistra fosse sorretta da un impegno a chiudere la vicenda giudiziaria con un atto presidenziale secondo ragion di Stato: ovvero, la salute della Repubblica è la legge suprema e viene prima di ogni altra legge. Ma il suo interventismo così ampio e profondo, si è arrestato davanti alla vicenda Berlusconi dove è rientrato nei suoi ruoli di notaio istituzionale.
Attualmente Napolitano è il campione della Stasi, non nel senso dei servizi segreti dell'est, ma della staticità senza stabilità in cui versa il nostro sistema politico. Chiunque si oppone a questo quadro, compreso Renzi, trova in Napolitano il più grande freno. Può darsi che in questa situazione di sfascio e degrado totale la prudenza di non muoversi, non respirare, lasciare tutte le cose come stanno, sia preferibile al vuoto istituzionale e ai vortici che l'accompagnano. Ma il settennato e mezzo di Napolitano si avvia al suo ennesimo messaggio di fine anno con un bilancio tutt'altro che esaltante. Non sarà colpa sua, ma i suoi rimedi sono apparsi inefficaci, il suo presidenzialismo di fatto, seppure a intermittenza, non ha aiutato il Paese a sanare le sue ferite e a trovare una via. In tempi eccezionali ci vogliono leader eccezionali. Come fu De Gaulle in Francia. Ma non è stato il caso di Napolitano. Nella migliore delle ipotesi diremo che ci ha provato, ma non ci è riuscito. Missione mancata, presidente. Mi spiace per lei e se permette, soprattutto per noi italiani. (il Giornale)

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