giovedì 28 novembre 2013

Il miglior perdono è la vendetta, i conti si faranno alle elezioni. Vittorio Feltri

 Votata la decadenza, ma non finisce qui. I cittadini sono arcistufi di questo linciaggio. Al momento del voto non dimenticheranno quanto di sporco è accaduto


Ero convinto di conoscere a fondo Silvio Berlusconi, essendomi occupato di lui fin dal 1973, quando stava per ultimare Milano 2. Invece mi accorgo, con grande sorpresa, di non conoscerlo neanche superficialmente. Lo osservo da lontano e ogni giorno egli mi stupisce per come vive l'epilogo della sua avventura (meglio dire disavventura) parlamentare.
Non so dove trovi la forza per sopportare ciò che non è esagerato definire martirio, se si considera il modo in cui i suoi avversari, tra i quali numerosi ex amici (cortigiani, beneficiati), lavorano per eliminarlo: sembra che godano a stringere lentamente - molto lentamente - la vite della garrota.

Non si accontentano di farlo fuori; pretendono di trasformare - e ci riescono - l'esecuzione in uno spettacolo dell'orrore. Altro che macchina del fango. Quello che usano contro di lui è un imponente strumento di tortura affidato a un esercito di sadici, ciascuno dei quali svolge il suo compitino per rendere più macabro il linciaggio-show: comici, satirici, editorialisti di pronto intervento, politici di risulta, tifosi di alcune Procure, toghe svolazzanti, pidocchi, conduttori televisivi a scartamento ridotto con codazzo di ospiti a gettone.

Mentre il Cavaliere si batte e si dibatte per non soccombere gratis, si odono nell'arena risate, insulti da trivio, frasi d'incitamento dirette ai picadores affinché sfianchino la vittima sanguinante. Già. Vittima. Come si potrebbe diversamente definire un uomo che da venti-anni-venti viene scazzottato nei tribunali, poi condannato, poi costretto ad ascoltare il tintinnio delle manette, a leggere articoli che raccontano di magistrati intenti a predisporre il suo arresto, obbligato a schivare una pioggia di sputi? Nonostante tutto, il vecchio imprenditore e leader politico ha ancora parecchi aficionados decisi a sostenerlo a ogni costo, ma il loro sostegno (benché appassionato) e i loro applausi non possono soffocare il frastuono provocato dai detrattori animati da odio feroce.

In effetti si è sempre notato che mille esagitati progressisti fanno più baccano di diecimila borghesucci casa e chiesa, buoni tutt'al più a sfilare in processione e a salmodiare: gridare, ribaltare automobili, fracassare vetrine non è la loro specialità. Tutte cose ben note a Berlusconi che periodicamente medita di puntare sulla piazza per dimostrare quanto sia vitale il proprio popolo, ma quasi sempre vi rinuncia. L'ultima manifestazione degna di questo nome avvenne nel 2009 a Milano in piazza Duomo e chiunque ricorda quell'oggetto scagliato in faccia all'allora premier, subito ricoverato all'ospedale San Raffaele mentre l'orda antiberlusconiana scuoteva la testa delusa dal suo mancato decesso.

Questo è il clima che ha accompagnato Silvio dalla sua «discesa in campo» (espressione logora e addirittura fastidiosa) a ieri sera: nessuno sarebbe stato in grado di non cedere alla tentazione di mollare tutto e ritirarsi in luoghi più ospitali del cosiddetto Bel Paese. Lui, viceversa, è rimasto lì imperterrito a ricevere schiaffoni su schiaffoni, aiutato dalla propria presunzione (sconfinata quanto l'intraprendenza di cui occorre dargli atto). C'è da chiedersi chi gliel'abbia fatto fare. È la domanda che mi rivolgono ossessivamente lettori, passanti, avventori di bar, commensali, amici. Difficile dare una risposta soddisfacente.

Un signore straricco e famoso, protagonista dell'imprenditoria, proprietario di ville e palazzi, presidente di una società di calcio che a livello internazionale s'è aggiudicata qualsiasi trofeo, non ha bisogno della politica per sentirsi qualcuno e dare un senso all'esistenza. Non vi è un solo italiano, nemmeno quelli che lo detestano e si augurano di vederlo inchiodato alla croce, che non nutra almeno una puntina d'invidia nei suoi confronti. Un sentimento, questo, tra i più stupidi in assoluto (è solo causa di sofferenza) e che però sembra essere il motore del mondo.

Per negare a Berlusconi ogni virtù, si esaltano i suoi difetti, di cui non è certo sprovvisto. Infastidiscono il suo eccessivo ottimismo, l'inclinazione a scherzare, la propensione a sfoggiare un repertorio inesauribile di barzellette, l'ostentazione della ricchezza e delle capacità di seduttore (non solamente di donne). Ingigantendo questi aspetti negativi, fatalmente si trascurano quelli positivi che sono sovrastanti: talento speciale per gli affari, fiuto commerciale straordinario, temperamento d'acciaio, intuito sopraffino, abilità organizzativa.

Il Cavaliere è stato un fenomeno nell'edilizia, s'è inventato la tivù privata sbaragliando la Rai e altri concorrenti senza risparmiare loro badilate sui denti. In politica ha compiuto un capolavoro: in tre mesi ha messo in piedi un partito che ha stritolato i comunisti quando ancora erano comunistissimi. E di ciò non gli saremo mai abbastanza grati. I suoi denigratori affermano che egli sia portato a contornarsi di servi e di imbecilli. Fosse vero non sarebbe arrivato tanto in alto, posto che una persona da sola non può scalare l'Everest; fosse falso, tuttavia, non si spiegherebbe il ruzzolone che lo ha fatto precipitare dove adesso sta, nei paraggi della galera. Un bel dilemma. Forse la verità è nel mezzo: anche lui, per quanto dotato d'intelligenza manovriera, ha commesso degli errori che offuscano le mirabili opere realizzate in anni e anni di duro lavoro.

Ora paga un dazio sproporzionato alle sue eventuali colpe, tutte da dimostrare. L'unica certezza è la seguente: il Cavaliere ha rotto le uova nel paniere ai partiti superstiti della Prima Repubblica, impedendo loro di conquistare stabilmente il potere. Questo non glielo hanno mai perdonato. La guerra contro l'intruso scoppiò subito dopo il successo elettorale di Forza Italia, nel marzo 1994. La sinistra cercò immediatamente di delegittimarlo col conflitto di interessi (ancora irrisolto), poi lo irrise, quindi lo trasformò in bersaglio fisso. Quello che egli ha subìto è stato un bombardamento cui non si può dire non abbiano partecipato vari Pm. È stata la ricerca disperata di un motivo per eliminare il politico improvvisato, e baciato dal successo, che prima o poi non poteva portare ad altro risultato se non a quello di ieri: l'espulsione del Nemico al termine di un rito disgustosamente ammantato di legalità formale.

Anche chi ha ragione, ha sempre qualche torto nel sacco: ecco, si è tenuto conto soltanto del torto, sorvolando sulle esigenze della giustizia sostanziale. Siamo allo scempio. Alla vergogna di un Paese che, unico nell'Occidente, fa secco il capo dell'opposizione azionando la leva giudiziaria - in puro stile sovietico - anziché tentare di superarlo nelle urne. Ma la partita non finisce qui. Ci avviamo verso i tempi supplementari che garantiscono nuove polemiche e altri colpi di scena. Dal male e dalle iniquità nasceranno altro male e altre iniquità.

Berlusconi non è un fantasma, ma un uomo in carne e ossa, non ancora domo, e la sua presenza peserà nei prossimi mesi sui destini italiani. I cittadini sono arcistufi di questo osceno tormentone; quando si tratterà di votare, non dimenticheranno quanto di sporco è accaduto e metteranno in pratica un proverbio riveduto e corretto: il miglior perdono è la vendetta. Un Berlusconi martire e liquidato come un criminale minaccia di diventare assai pericoloso per la sinistra, fornendo a Forza Italia il carburante di consensi per trionfare alle elezioni.

Non s'illudano gli aguzzini - e i loro mandanti - di farla franca. Uccidere un nemico che ha tanti amici significa rischiare il peggio: di inasprire la battaglia e magari perderla.

PS: Questo articolo non è un coccodrillo, ma il preambolo di una nuova vicenda che avrà quale protagonista ancora Berlusconi. Il quale, se lo chiudessero in prigione, farebbe la campagna elettorale più travolgente della sua carriera.

(il Giornale)

 

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