domenica 17 novembre 2013

Se ne vadano. Davide Giacalone


Non ne farò i nomi, noti a tutti, perché non è una questione legata alle loro persone, ma alle loro funzioni: il presidente dell’Inps e il ministro dell’economia dovrebbero dimettersi (per il secondo non mi riferisco al fatto che è andato su è giù fra Roma e Bruxelles, riuscendo a non predisporre il via libera alla legge di stabilità, né che abbia aspettato di sentirsi dire dalla Commissione europea quel che qui scriviamo da quando hanno presentato quella specie di catorcio instabile, sembra incredibile, ma ci sono anche altri motivi). Se ne vadano. Non è una piccola questione estetica, ma un’enorme problema collettivo.

Il presidente dell’Inps non può comunicare all’universo mondo di avere mandato una lettera a due ministri (economia e lavoro), pubblicizzandone i contenuti. Perché dimostra il tatto istituzionale di uno che lo Stato suppone sia il proprio tinello. Non può diffondere il panico affermando che il disavanzo economico e patrimoniale dell’istituto che dirige “può dare segnale di non totale tranquillità”, perché a parte la prosa di ottusa furbizia, il senso è che sono a rischio i pagamenti delle pensioni. E non può poi emettere un comunicato in cui dice che è tutto a posto, perché delle due l’una: o ha straparlato al mattino o sta nascondendo la verità al pomeriggio. In tutti e due i casi se ne deve andare.

Il ministro dell’economia non può assistere inerte all’uso distorto dei dati diffusi dal dipartimento finanze del suo ministero, talché si sono ritrovati a essere benzina buttata sul fuoco del disagio sociale. Non può lasciare che passi tutta intera una giornata, fino a prendere in edicola (chiedo scusa: a farsi portare la mazzetta che paghiamo noi) i giornali del giorno dopo, senza rendersi conto che lasciare correre la voce di imprenditori evasori e mendaci, talché pretendono di guadagnare meno dei dipendenti, è pericoloso. E offensivo. Tanto più che il citato ministro è a sua volta un lavoratore dipendente strapagato, come anche il presidente dell’Inps, a livelli che un imprenditore italiano non si sogna e che, ove mai lo sognasse, attirerebbe su di sé una pressione fiscale superiore a quella che questi signori sopportano. Oltre tutto l’Ocse ci fa sapere che i dirigenti della nostra pubblica amministrazione sono pagati tre volte la media fra tutti i paesi aderenti, mentre non mi risulta che le nostre imprese facciano tre volte i profitti, la Borsa tre volte i guadagni, etc. Il che spiega in abbondanza la stortura del dato, elaborato da un drappello di triplamente pagati burocrati.

All’inizio me l’ero presa con il dipartimento. Ma la loro colpa è “solo” quella di avere diffuso dati senza un aiuto alla loro corretta interpretazione. Siccome la cosa succede ogni anno, e siccome quella distorta s’è manifestata fin da subito, era compito del ministro, magari delegando un qualche portavoce, di correggere il tiro. Niente.

Il punto è questo: se a una condizione di comando e privilegio non corrisponde un analogo livello di responsabilità la nostra vita pubblica è insanabilmente corrotta. Infatti. La causa delle dimissioni non può e non deve essere sempre e solo un’accusa penale, perché in quel modo si consegna ad altri burocrati il diritto di stabilire chi può governare e chi no. Ma questo non significa che si rimane al proprio posto anche se imputati, significa che si scolla anche solo se si fanno fesserie fuori di misura. E qui la misura è superata.

Rimarranno al loro posto, naturalmente (il secondo per poco, dipartendo per altri motivi). Peccato, perché perdono l’occasione per far sapere che si erano ritenuti al servizio dello Stato e non avevano mai pensato lo Stato fosse al loro servizio.

Pubblicato da Libero

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