martedì 21 febbraio 2006

Andrea's version. il Foglio

Dovrebbe risultare evidente a tutti, anche ai più tetragoni, che se i tipi come Calderoli vengono allontanati le cose con l’islam girano meglio. Oh madonnina santa, mica si può pretendere che tutto fili subito liscio come l’olio. E per altro verso non si è mai visto al mondo un dialogo degno di questo nome che non abbia mostrato i suoi momenti di frizione. Dice: un momento, ma in Nigeria ci sgozzano come tacchini. Cosa che difficilmente si può negare, a condizione di non dimenticare mai che perfino nei modi più brutali si nasconde sempre il lumicino del dialogo. E quello insiste: ma pure in Pakistan, pure nella kemalista Turchia, e si è aperta la caccia al cristianuccio pure in Indonesia, e nel Londonistan vogliono la sharia, e nell’Uttar Pradesh erano in cinquecentomila che se beccavano uno dei nostri te lo do io l’intoccabile, mentre in Libia ci danno dentro coi cartelloni pieni di croci, di svastiche e di stelle di David, e i focherelli, e in Egitto uguale, e lo stesso in Algeria, e via andare. Ma è il prezzo del confronto, benedetti figlioli. Dialoga oggi, dialoga domani, speriamo di avere il culo che non gli vada via la voce.

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi sembra una riflessione parecchio superficiale dell'argomento scritta piu' per far qualcosa che per esporre un'argomentazione seria...
Gente come Calderoli nn dovrebbe neanche avere la possibilità di presiedere ad una riuonione condominiale,figuriamoci di essere ministro delle riforme(???)è una vergogna che un EMERITO CRETINO,RAZZISTA,E PURE TREMENDAMENTE MALEDUCATO,abbia questa carica istituzionale.Questa è la serietà del nostro paese agli occhi della cominità internazionale.Complimenti!!!!!

Anonimo ha detto...

Avete una valida alternativa al 'dialogo' ?

( certo mi auguro non sia la presa in giro con le magliette..)

Anonimo ha detto...

I silenzi di fronte agli attacchi islamisti
Sindrome di Stoccolma
Bisognava aspettare che parlasse Benedetto XVI per sentire le parole ferme e chiare che i timorosi leader politici europei non sanno pronunciare. Il Papa ha deplorato la mancanza di rispetto per i simboli religiosi, ma ha anche dichiarato totalmente inaccettabile la violenza in nome della fede. Confrontate le parole del Papa con l’inerzia delle capitali europee di fronte alla selvaggia violenza scatenata nel mondo islamico col pretesto delle vignette satiriche. Sarebbe questa la «potenza civile», quella che, secondo certi involontari umoristi, avrebbe dovuto, niente meno, «bilanciare» la potenza americana, e imporre la propria autonoma influenza sui destini del mondo? Assalti alle ambasciate europee anche nei Paesi ove niente avviene se i tiranni non lo ordinano, l’uccisione di un sacerdote cattolico, i cristiani trucidati in Nigeria, gli assalti alle chiese in Pakistan, le manifestazioni antioccidentali dette «spontanee», organizzate da religiosi estremisti ovunque. E l’Europa sa solo balbettare «ci vuole il dialogo ».
Quando il regime siriano ordinò l’assalto alle ambasciate danese e norvegese, quando una squadraccia assaltò la sede dell’Unione europea in Palestina, l’Europa non reagì sentendosi colpita tutta, non reagì contro quegli atti di guerra chiarendo che non se ne sarebbero tollerati altri. Ogni giorno che passa l’Europa (come ha scritto Galli della Loggia su questo giornale) trasmette il senso della propria nullità politica e manda un chiaro messaggio a quel vasto mondo fondamentalista, di cui il terrorismo jihadista è l’appendice armata: potete esercitare contro di noi qualunque prepotenza avendo la certezza che noi cederemo. D’accordo, sono fanatici, pericolosissimi, e ci fanno paura. Ma non è mai accaduto nella storia che si subisse la prepotenza altrui senza ricavarne grandi disgrazie.
Non si è sentito neanche un leader europeo di peso, da quando è cominciata l’orchestrata sollevazione contro le vignette, dire al mondo islamico quanto andava detto, ossia che quelle vignette erano di pessimo gusto, ma anche che il cattivo gusto è un prezzo che noi paghiamo per la libertà, e che essi non devono osare mettersi contro le nostre libertà. Non si è sentito un leader europeo, ad esempio, dire ai governanti musulmani che pretendiamo che si dissocino da quei fanatici pronti a pagare a peso d’oro l’assassinio dei disegnatori danesi.
La vicenda italiana è parte di questa latitanza europea. Ha ben detto Magdi Allam sul Corriere di ieri: va bene che Calderoli venga licenziato ma non per ordine di Gheddafi.Ma sia da parte del premier che da parte del suo oppositore Prodi, abbiamo sentito parole di eccessiva comprensione per il tiranno di Tripoli. Somiglia alla sindrome di Stoccolma. La stessa che vediamo in azione nei tribunali che non riescono a colpire i jihadisti (e non si è capito se sono sbagliate le leggi o le prassi giudiziarie). La stessa che dopo l’11 settembre ha spinto tanti a prendersela con Oriana Fallaci piuttosto che con i fondamentalisti (la prima non fa paura, i secondi sì). La stessa che ci fa scandalizzare più per ogni pagliuzza nei nostri occhi che per le travi negli occhi loro. Tenere la schiena dritta quando altri ti scatenano addosso una guerra di civiltà che non avresti mai voluto combattere è difficile. Ma piegare la schiena significa la rovina sicura.
Dal Corriere

Anonimo ha detto...

(dal Giornale)
Le vignette e i calcoli di Botteghino
È ben singolare che la sinistra abbia definito razzista il gesto di Roberto Calderoli di fare pubblicità sul suo corpo alle vignette anti-islamiche. In realtà quelle vignette sono il più bell'esempio della cultura illuminista e laicista che domina in Europa e sulla base della quale è stata definita la sua Costituzione. Per questa cultura, il diritto di opinione, e soprattutto quello di critica della religione, rappresenta quello che la dimensione religiosa o sacrale esprime nelle culture tradizionali. Quando Theo Van Gogh realizzò il suo film Submission, pensava di esercitare il diritto fondamentale del laicismo europeo: quello di criticare, in nome della libertà di opinione, tutte le religioni. Quello che egli voleva e per cui perse la vita, è lo stesso principio che ispirò i vignettisti danesi a produrre le vignette incriminate. Era la difesa della cultura illuminista e laicista, quella che oggi domina l'Occidente e che si è esercitata nella critica del Cristianesimo sino alla sua marginalizzazione nella sfera pubblica e nella dimensione colta dell'Occidente. Tutto può dirsi delle vignette e della loro pubblicità salvo che siano rozze e barbariche. Sono anzi un estremo tentativo di difendere il principio illuministico della critica della religione come forma di una civiltà razionale.
Era inevitabile che l'islamismo politico, oggi prevalente nel mondo islamico, avvertisse la radicalità della sfida: e comprendesse che essa era una formidabile occasione per imporre agli Stati europei una certa osservanza della sharia: in questo caso, dell'interdizione di pubblicare immagini di Maometto, tanto più se critiche o irrisorie.
Ciò che ne è nato è un fatto interamente nuovo certamente promosso e organizzato e che è riuscito, e continua a riuscire, a far correre nel mondo le immagini di una comunità islamica unita contro l'Occidente in nome della religione. Lo scopo che si era proposto Al Qaida fin dalle origini era appunto quello: dar vita mediante l'immagine a una comunità mondiale. Al Qaida aveva compreso finalmente le regole della civiltà della comunicazione. Come sempre nella sua storia, il mondo islamico non crea ma sa perfettamente usare gli strumenti culturali che altre culture creano. L'evento vero dell'11 Settembre non sta nella drammatica tragedia che ha provocato a New York, ma nell'immagine diffusa delle Due Torri che cadevano per il sacrificio volontario di islamici, per di più europei, armati di un solo coltellino. Era la sfida dello spirito islamico contro la tecnica occidentale usando la comunicazione di immagini, un prodotto tipico della cultura occidentale. Con quelle immagini si voleva mostrare la potenza dell'Islam vissuto nella sua purezza, senza le contaminazioni politiche costituite dagli Stati dei Paesi musulmani.
Oggi le immagini delle proteste islamiche contro le vignette corrono per il mondo e danno l'impressione che questa unità che trascende gli Stati e si impone agli Stati è una forza a cui gli Stati nei Paesi musulmani e gli stessi Stati nei Paesi occidentali devono piegarsi. Se si pensa che questo fenomeno, precostituito ed organizzato, è contestuale alla vittoria di Hamas in Palestina e alla posizione politica sull'energia nucleare e su Israele del governo iraniano, si comprende che siamo entrati in una nuova fase politica e che l'islamismo politico è divenuto la principale sfida dell'Occidente.
La sinistra italiana rivela la sua irrealtà quando pensa che questo grande fatto sia una conseguenza della maglietta del ministro Calderoli e gioca per motivi di politica interna i fatti drammatici che stanno innanzi a noi. Altro che posizione seria, si tratta della totale mancanza di senso della drammaticità e di mediocre calcolo di bottega sulla principale sfida che oggi tutti i Paesi europei, compreso il nostro, attraversano e che obbligheranno a chiudere le vertenze euroamericane sulla questione irakena e a ridefinire un consenso internazionale sui problemi palestinese ed iraniano.
Gianni Baget Bozzo

Anonimo ha detto...

Fanatismi incendiari contro ordinarie viltà
Dalla Croazia all’Indonesia, dalla Cecenia alla Nuova Zelanda. L’Iran blocca i commerci con Copenaghen. La miccia integralista è stata accesa qui da noi e poi esportata in medio oriente. Ecco che cosa predicava l’imam Abu Laban a Milano e che cosa c’era nel dossier creato ad arte e portato in giro nelle capitali rabbiose dell’islam
Roma. Adolf Hitler è a letto con la piccola Anna Frank. “Mettici questo nel tuo Diario, Anna”, dice lui con un rantolo di soddisfazione. E’ la vignetta diffusa in Olanda da un’organizzazione islamista, la Lega araba europea, in risposta alle vignette sul profeta Maometto pubblicate per la prima volta in Danimarca. “Lo facciamo per la libertà d’espressione”, ghignano. E’ la parte olandese – quindi europeizzata, atrocemente moderna e lesta nello sbatterci in faccia la frittata culturale – del sollevamento islamista che infuria da cinque giorni. Venerdì, a Londra, le proteste si sono ritagliate lo spazio più consueto di una manifestazione di massa – con le divise dei bobby britannici ad aprire e chiudere come da regolamento municipale il corteo – che invocava “decapitazioni per chi offende l’islam”, “chi insulta il profeta deve essere macellato”. “Preparatevi all’Olocausto, quello vero”. A soltanto otto mesi dalle stragi nella metropolitana della città, i cartelli degli islamofascisti di Regent’s Park ammonivano di guardarsi le spalle, perché in Gran Bretagna – per vignette pubblicate in Danimarca – sta arrivando un altro giorno terribile come il 7 luglio. Sono pronti altri “fantastici quattro” – come sono ricordati i quattro attentatori suicidi – e democrazia e libertà d’espressione “devono andare all’inferno”.
All’antisemitismo compiaciuto degli islamisti olandesi e al ringhio di avvertimento osceno, gutturale e fatto da vicino di quelli di Londra non ci sarà reazione alcuna. Come è ovvio. Non seguiranno assalti e devastazioni di ambasciate straniere come a Giacarta, Damasco e Beirut. Non seguiranno attentati esplosivi contro le moschee, come quelli compiuti domenica scorsa contro le chiese in Iraq – lo stesso consiglio degli ulema iracheni li ha legati al caso delle vignette danesi – che hanno fatto tre morti. Non seguiranno violente proteste di massa, come è successo nelle capitali di tutti i paesi islamici del mondo. Nel rapporto asimmetrico tra occidente e islam c’è un senso soltanto, e quando questo è invertito, come hanno fatto avventatamente i redattori dello Jyllands Posten, si consegna semplicemente nelle mani sbagliate il pretesto per una dimostrazione di potere.

La stagione italiana
Non è soltanto questione di reciprocità mancata. C’è un secondo elemento. In occidente c’è un serpente nascosto nell’erba alta delle libertà civili, una quinta colonna islamista, che lavora indefessamente per creare il caso-scontro, come è oggi quello delle vignette sul profeta Maometto. Le rivolte di questi giorni sono tutt’altro che spontanee e improvvisate, a ben quattro mesi dalla pubblicazione. Quando nel 2002 il concorso di Miss Mondo, temporaneamente spostato in Nigeria, fu ricacciato a Londra dopo decine di morti per un commento incauto su di un giornale (“Chi eleggerebbe Maometto tra le belle concorrenti?”) fu sanguinosissima questione locale. Oggi, anche se i manifestanti non ne hanno la percezione, sono i personaggi ciechi dell’atto finale di un piano preparato a lungo.
Evocare il demone della violenza islamica è un lavoro che richiede costanza, tempo e organizzazione. Facile immaginarsi la soddisfazione di Abu Laban, l’imam di una moschea di Copenaghen e amico del numero due di al Qaida, Ayman al Zawahiri, da cui tutto è partito, mentre stringe tra le mani quello sventurato numero dello Jyllands Posten del 30 settembre scorso. Da lì ha avuto buon gioco. Ha girato il medio oriente per creare e diffondere la “consapevolezza” dell’oltraggio a mezzo stampa al Profeta. Sotto braccio aveva un dossier, ora spuntato fuori, in cui abbondano i particolari falsi. C’è scritto che in Danimarca la religione islamica non è riconosciuta, e che non si possono costruire moschee; ci sono tre vignette aggiunte ad arte per scatenare la rabbia dei suoi interlocutori, tra cui quella di un musulmano violentato da un cane sul tappeto da preghiera. Il portavoce della Società islamica danese, Ahmed Akkari, sostiene di non conoscere l’origine precisa delle vignette aggiunte. Secondo Akkari, sarebbero state mandate in forma anonima a musulmani danesi. Ma quando gli è stato chiesto di dire i nomi dei riceventi, perché potessero confermare, ha rifutato. Nel dossier si spiega anche come, a ulteriore e insanabile sfregio della comunità islamica, la Danimarca abbia ospitato per un premio Ayaan Hirshi Ali, “autrice di un film che degrada l’islam” (lo stesso film, Submission, il cui regista Theo van Gogh è stato ammazzato per punizione).
Ahmed Abu Laban non è una esclusiva della Danimarca. E’ stato anche da noi. Nel 1995 ha partecipato al nono congresso dell’istituto culturale islamico di viale Jenner. Il suo sermone è finito in una videocassetta registrata e poi divulgata fra le moschee del “cerchio magico”: Milano, Cremona, Varese. Tutte finite nelle indagini giudiziarie relative alle cellule fondamentaliste in Lombardia. La cassetta, segnata nelle indagini come T48, è una delle prove usate nel dibattimento in corso contro il gruppo cremonese, quello accusato da un pentito marocchino di aver progettato gli attentati contro il Duomo di Cremona e la stazione della metropolitana milanese alla fine del 2002. Il video con le prediche di Laban dimostra l’attività di indottrinamento ideologico e di proselitismo a favore del jihad. Secondo gli investigatori italiani, il tema centrale della conferenza riguardava i doveri dei musulmani nei paesi dei miscredenti, i modi per difendersi dalla contaminazione occidentale e il senso (distorto) della pietas per i fondamentalisti. Abu Laban e i predicatori presenti usarono parole durissime contro ebrei e cristiani. L’islam, dicevano, è una religione di clemenza e per questo bisogna avere pietà dei miscredenti. “Bisogna combatterli, ucciderli, lapidarli: solo così si può aver pietà di loro. Il jihad con armi e fuoco ha come obiettivo di togliere il marcio da questa terra, perciò è questa la pietà: salvare il mondo dai miscredenti”. Alla conferenza di Milano si invitavano i musulmani italiani a ribellarsi, e sono parole che spiegano bene il calduccio sotterraneo in cui maturavano le proteste di oggi. “Loro accettano i musulmani fra di loro, accettano lo chador e lo stile di vita islamico, ma in cambio pretendono che noi accettiamo la loro religione e la loro libertà individuale. Ciò è impossibile: l’islam non può accettare nessuno che non adori Allah”. Gli imam intimavano: “Un musulmano non può rispettare i democratici in Europa, altrimenti diventa uno di loro. Deve combattere nel jihad e prendere le armi”.

Tre morti in Afghanistan e Somalia
In attesa che le minacce di rappresaglia si concretizzino, la collera islamica ha tuonato in tutta Europa. Ma soltanto in forma spuria e mediata. Qui, a parte l’ammazzamento, per molti evidentemente occasionale, del regista Theo van Gogh, qualche allarme bomba – l’ultimo nella redazione di France Soir, il quotidiano parigino che ha ripubblicato le vignette per solidarietà con i colleghi danesi – e gli attentati andati a segno come alla stazione di Atocha, le regole della convivenza impongono ancora un minimo denominatore di civiltà. Ieri in Afghanistan due persone sono rimaste uccise negli scontri tra la polizia e i manifestanti impazziti. Un ragazzo quattordicenne è morto durante le manifestazioni in Somalia. Una pattuglia dell’esercito di Copenaghen in Iraq – impegnata nel soccorso di un gruppo di bambini rimasti feriti in un incidente stradale – è stata attaccata, ma è riuscita a scampare, sparando, alla minaccia dell’esercito islamico di “fare a pezzi ogni danese che ci capiterà tra le mani”. Il giorno prima i dieci piani del consolato danese a Beirut sono stati distrutti, nonostante la polizia fosse a conoscenza con ore d’anticipo dei piani degli assalitori. Le violenze sono ben presto sfociate, come al tempo della guerra civile, in scontri tra musulmani e cristiani maroniti. Sabato era toccato alle ambasciate di Danimarca e Norvegia a Damasco essere devastate e date alle fiamme, in quello che alcune agenzie perseverano nel chiamare “cartoon row”, il tafferuglio sulle vignette, come se si trattasse di litigio tra parenti a un banchetto di nozze. I manifestanti – è un dettaglio che spiega quanto la loro sia una collera eterodiretta – bruciavano per errore la bandiera svizzera, che come quella danese è rossa e ha una croce bianca. Venerdì la violenza aveva investito il sud-est asiatico: nelle Filippine sei cristiani sono stati uccisi a raffiche di mitra da militanti islamici e gli uffici della rappresentanza danese a Giacarta hanno subito un assalto. Il giorno prima era stato il turno degli irregolari nei territori palestinesi di aprire la caccia al danese. Le minacce contro Copenaghen si sono inseguite dalla Croazia alla Somalia, dalla Cecenia, dove le organizzazioni umanitarie danesi sono state espulse, alla Nuova Zelanda, che teme la vendetta della piccola comunità di musulmani.
La ritorsione feroce, innescata dalla regia degli estremisti, non si compie soltanto nelle spoglie del popolo furente. Lo scontro di civiltà ha aperto anche un fronte economico. Secondo la tv iraniana, il ministro del Commercio, Massoud Mir Kazemi, ha annunciato che a partire da oggi “non sarà più possibile chiedere la licenza per importare prodotti di consumo dalla Danimarca”. L’interscambio commerciale tra i due paesi, che il ministro ha indicato in 280 milioni di dollari l’anno, è stato bloccato. “Qualsiasi tipo di trattattiva commerciale o accordo è sospeso, quelli che possono essere cancellati lo saranno”. S’inizia così a compiere quel disegno nel disegno, afferrato al volo dal presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, per incassare i vantaggi politici di questa straordinaria leva di potere rappresentata dall’offesa islamica, con la minaccia di escludere dai vantaggiosi contratti con Teheran i paesi che hanno partecipato alla pubblicazione dei disegni satirici. Ahmadinejad riuscirebbe in un colpo soltanto a punire l’occidente e a indebolire gli avversari interni, tutti coinvolti nei ricchi traffici con l’estero, spostando infine l’attenzione dai pericolosi piani che persegue per dare l’atomica al regime dei mullah.
(Articolo)

Anonimo ha detto...

@ gigiprimo

"ma che fanatico dalla coda di paglia sei... "

Il fanatico mi è sembrato Calderoli.

E' bello notare come volete il diritto alla parola, alla critica, alle vigniette satiriche, quando fatte contro altri.

Pero' non fate una piega quando le critiche e la satira che vengono viene rivolta verso la vostra posizione, viene censurata.

Secondo la vostra logica, calderoli puo permettersi di fare come gli pare , perche la libertà conquistata dall occidente glielo consente ( e sono daccordo) , pero , poi se questa liberta' di pensiero, di parole, di scritti , vengono esercitati contro la nostra classe dirigente, allora non è piu liberta', diventano offese, diventano atti ingiuriosi, la satira diventa diventa uno strumento da censurare.....

Anonimo ha detto...

misterblack!!!
Fai proprio pena!!!

Anonimo ha detto...

Invece di offendere , sono capaci tutti ... argomenta e spiega a me e ad altri perche faccio pena.

Io ti ho riportato un fatto reale, per esempo quando la guzzaanti siprmise di fare satira ed è stata censurata.

non è che me lo invento.

ma allora la i concetti di democrazia, liberta' di pensiero, soceta civile non c'erano ancora???????

è facile nascondersi dietro una tastiera e sparare a zero contro ki la pensa in maniera diversa, non con argomenti validi ma ingiurie. sai chi mi ricordi?

Anonimo ha detto...

ARTICOLO
Anche un diktat islamico all’Italia «Ecco le condizioni per il perdono»

Fini: «Quella di Calderoli è stata solo una leggerezza. Il governo D’Alema invece ospitò volontariamente il terrorista ricercato in Turchia».
La Quercia: «Falso»
Ci vuole rispetto, certo. E molta tolleranza, va da sé. Perché la situazione è delicata. Delicatissima. E un sarcasmo fuori luogo; il pedale dell'ironia schiacciato con spensierata disinvoltura potrebbe portare a nuovi sconquassi, a rinnovate crisi isteriche. E Dio sa se ce n'è bisogno, col dottor Bin Laden & Associati (maiuscoli anche loro, mancherebbe) che ci guardano e ci giudicano.
Ma anche a cospargersi il capo di cenere, e rinunciare a farsi lo shampoo da qui a Natale, è difficile restar seri davanti alla «ricetta» (la parola è sua) di Safwat El Sisi, portavoce della comunità islamica di Como. Per chiudere l'antipatica questione delle vignette di Maometto («Muhammed, prego. Nella parola Maometto c'è un che di spregiativo di origine medievale») il signor El Sisi, architetto di mestiere, egiziano d'origine, anni 60, in Italia da 40, prescrive i seguenti passi:
1) scuse pubbliche degli italiani a tutti i musulmani.
2) sanzioni penali per i direttori dei giornali che hanno pubblicato le malaugurate vignette (par di capire che qualche settimana di carcere, anche con la condizionale - non essendo previste dal nostro ordinamento le nerbate sulla pubblica piazza, o il taglio della mano blasfema - potrebbe bastare. È il principio che conta).
3) Introduzione di una norma legislativa che tuteli i musulmani e il culto del Profeta.
4) Spazi sui principali quotidiani italiani (ma mica una notizia francobollo ogni tanto. Ci vuole una pagina intera per almeno quattro mesi, meglio un anno, con cadenza bisettimanale) affinché i musulmani possano spiegare agli italiani, con tutto il bell'agio che la materia merita, la figura e il pensiero di Maometto.
Ordini? O consigli?
«Consigli, consigli, ci mancherebbe», declina il signor El Sisi, il volto massiccio incorniciato da una barba regolamentare sale e pepe. Da dicembre, da quando l'imam di Como Snoussi Ben Assine è stato rispedito dalle nostre autorità di pubblica sicurezza a Tunisi come persona non grata («Una brava, bravissima persona», obietta il nostro, esecrando l'iniziativa) l'architetto El Sisi è il portavoce della comunità islamica comasca: 5mila anime, provincia compresa.
Lei parla di consigli. Ma a giudicare da ciò che si è letto sembravano prescrizioni. E non uso la parola ricatto perché poi non si dica che i giornalisti esagerano.
«Sono stato frainteso. Io dico solo questo. Abito in questo Paese da quarant'anni. Amo l'Italia. Conosco i sentimenti della sua popolazione, la cultura, i valori. Ma c'è un ma».
Sarebbe?
«Che non devi ficcare il naso nelle mie credenze. Il Profeta, il Corano, Allah, Gesù, il Vangelo, la Bibbia, Abramo non devono essere toccati per nessun motivo. Perché la mia libertà finisce dove comincia la tua. E ogni buon musulmano preferisce immolare la sua vita piuttosto che vedere offesa la figura del Profeta».
Il premier Berlusconi, parlando alla Tv Al Jazeera, ha detto che quelle vignette sono da condannare, perché hanno nuociuto ai sentimenti dei fedeli. Il vice primo ministro Fini è andato pellegrino alla moschea di Roma. Due gesti di distensione importanti, non crede?
«Sì, ma le scuse formali non bastano. Per completare l'opera, soprattutto all'estero, ci vuole una maggiore diffusione del messaggio del Profeta. Ed esperti veri. Non gente come quel sedicente esperto del Corriere della Sera, che di Islam non capisce nulla. Gente che spieghi, che diffonda la parola del Profeta».
Perdoni l'osservazione puerile. Ma lei sa che in molti Paesi islamici è perfino vietato, ai cristiani, dir messa...
«Sciocchezze. Eccezion fatta per l'Arabia Saudita...».
E in Sudan? In Nigeria, dove i cristiani hanno pagato con la vita per certe vignette sceme pubblicate a Copenaghen? A Kabul, dove una volta abbiamo detto messa all'ambasciata italiana, perché fuori sarebbe stato sacrilegio?
«Ma no. Lì c'è qualcuno, chissà, forse Satana, che semina zizzania».
Concludendo: lei ribadisce la sua «ricetta»?
«Sì. Posso perfino accettare che i direttori dei giornali non siano puniti. Ma per riparare devono offrire due spazi settimanali, per un anno intero, ad autorevoli esperti di cose islamiche, per spiegare al popolo italiano la verità dell’Islam e del Corano».
A proposito. Se la sente di escludere che in Italia possano esserci problemi di ordine pubblico a seguito di quelle esecrande vignette?
«Sì, lo escludo».
Ecco. Questa è l'intervista. Per esprimere i succitati concetti, il signor El Sisi ha impiegato circa seicentomila parole. Spero che la sintesi non gli dispiaccia troppo. Al termine dell'intervista, dopo quel suo «Sì, lo escludo», avevo chiuso con un fantozziano «Come è buono lei, signor portavoce». L'ho cancellato. Capaci di scambiarlo per un sarcasmo.

Anonimo ha detto...

Misterblack, ma che dici?

Anonimo ha detto...

ARTICOLO

IL VERO PERICOLO È AVER PAURA

Proviamo a metterci, per quanto durerà la lettura di queste righe, nei panni di un credente mussulmano. Bene, allora c'è una gran bella notizia per noi. Infatti l'infallibile Corano, parola divina, sostiene che se il nemico arretra - si mostra debole, arrendevole, impaurito - Allah è con noi, ci incoraggia e ci sollecita ad attaccarlo in modi sempre più duri e implacabili fino alla vittoria fatalmente certa. Se dunque siamo credenti (fanatico o moderato, non fa differenza) abbiamo ricevuto da Dio in persona l'assicurazione che l'Europa tutta ha paura - paura fisica - dell'Islam, e sappiamo per innata educazione che al nemico impaurito e arrendevole non bisogna riservare né pietà né considerazione, ma soltanto attacchi ancora più violenti e spietati. E se per un «moderato» ciò vuol dire poco più che aumentare il disprezzo verso gli occidentali e i cristiani in particolare, per un estremista significa rafforzarsi nel sacro diritto-dovere di seminare fra noi morte e distruzione fino alla nostra immancabile caduta, fino alla nostra resa. Significa che ci saranno sempre più estremisti e sempre meno moderati.
Ora torniamo occidentali e cristiani, finalmente, e consideriamo che questa semplice tesi viene confermata da quanto ha comunicato ieri il ministro Fini: i manifestanti, i morti e i feriti di Tripoli non erano tutti libici, fra loro c'erano anche palestinesi, iracheni, afghani eccetera: elementi sparsi non a caso in tutto il mondo arabo e mussulmano per fomentare le folle contro di noi e contro quei governanti che non mostrino sufficiente aggressività verso il nemico occidentale. Gheddafi - oggi - viene considerato uno di questi. E se è vero che le manifestazioni in Libia sono state organizzate per colpire lui, è ancora più vero che lo si vuole costringere a tornare all'aggressività di un tempo verso l'Occidente.
È chiaro dunque che c'è in atto un progetto globale di estremizzazione e radicalizzazione del conflitto Islam-Occidente. Questo progetto (bellico, non c'è altra parola per definirlo) si rafforza ogni volta che dimostriamo «comprensione» e cedevolezza. Ogni volta, per esempio, che rinunciamo alla nostra libertà di pensiero ed espressione in favore della loro intolleranza alla libertà di pensiero e di espressione. La nostra libertà vuole che un ministro sia prudente e attento a non provocare problemi politici, ma un disegnatore satirico, uno scrittore, un cittadino non hanno affatto questo obbligo, anzi.
La storia è maestra di vita, diciamo sempre, ed è vero. Ma è anche vero che - poiché si ripresenta in modo sempre diverso - facciamo fatica a capire le sue lezioni e ad agire di conseguenza. Paragonare la situazione attuale con quanto accadde appena settanta anni fa con Hitler non è affatto paradossale, esagerato o irreale. Hitler aveva una buona parte di ragione quando voleva l'Austria perché «tedesca»: e si lasciò che se la prendesse con la forza. Pochi mesi dopo aveva molta ragione in meno, quando voleva i Sudeti: ma visto che l'Europa aveva ceduto su Vienna li pretese lo stesso e lo si lasciò fare anche in Cecoslovacchia. Pochi mesi dopo il Führer aveva ancora meno ragione per il problema di Danzica, ma visto come gli era andata bene fino ad allora pensò di poter aggredire la Polonia e fu la Seconda Guerra Mondiale.
Adesso facciamo un altro piccolo sforzo e sostituiamo alla faccia di Hitler quella - simbolica - di bin Laden: è evidente che, se non si vuole arrivare alla guerra, non bisogna cedere. Oggi la libertà di espressione è la nostra Austria. Non lasciamocela prendere.

Anonimo ha detto...

DISCORSO DI ORIANA FALLACI - MEDAGLIA D'ORO DELLA REGIONE TOSCANA (piaccia o non piaccia)

Accettando il premio conferitomi dal Center for the Study of Popular Culture, qui a New York incominciai dicendo che con gli omaggi e le onorificenze io ho una ben scarsa dimestichezza. An exigous familiarity indeed. Niente di più vero. Non solo perché di premi ne ho ricevuti ben pochi, ma perché quando me li hanno offerti li ho quasi sempre rifiutati. Specialmente in tempo di elezioni, ad accettare un premio si rischia di venire strumentalizzati. Ed io sto ben attenta a non farmi strumentalizzare da nulla e da nessuno. Inoltre chi dà un premio vuole quasi sempre che il premiato lo ritiri di persona, dinanzi a un folto pubblico che lo guarda comeuna scimmia allo zoo. Ed io non amo mostrarmi in pubblico. Sono una donna ritrosa, ossessionata dal culto della privacy, e l'idea di esibirmi alle altrui curiosità, dare spettacolo, mi ripugna. Come se ciò non bastasse, le cerimonie col folto pubblico si portano dietro i giornalisti e i fotografi. A me non piace essere fotografata, ed è noto che i miei rapporti coi giornalisti sono abbastanza tesi. Reciprocamente tesi. È quasi comico, dunque, che dopo l'award americano mi sia caduta addosso una inaspettata pioggia di premi. L'Ambrogino d'oro per cui a Milano si azzuffarono come galletti in un pollaio. La Medaglia d'oro per la Cultura assegnatami da Ciampi e che con gran sorpresa di tutti feci ritirare da un augusto prelato cioè dal Rettore dell'Università Lateranense, monsignor Rino Fisichella. Quella che presto riceverò dalla Polonia e che è intitolata a un grande eroe della Resistenza polacca, Jan Karski. Nonché un'altra su cui per il momento taccio perché non ho ancora capito se dovrei prenderla o no. Infine, la vostra. Che accetto con divertimento perché mi viene dalla regione più rossa d'Italia, dalla roccaforte della Sinistra per cui non profumo di santità. (Né lei per me). Ma insieme al divertimento provo una specie di tenerezza mista a gratitudine, e il primo motivo di ciò è che sono fiorentina. Toscana doc. Da generazioni e generazioni la stragrande maggioranza dei miei avi e bisavi e bisavoli e arcavoli appartengono alla Toscana. Sia da parte di madre che da parte di padre fanno della Toscana la mia patria genetica. D'accordo: tra quei nonni e bisnonni e trisnonni eccetera vi sono anche cittadini di altre città e di altri paesi europei. Ma i più sono nati e morti a Firenze, a Siena, a Pisa, a Livorno, e nel più profondo Chianti. Il secondo motivo è che laToscana io laamoappassionatamente. Adoro il suo paesaggio, le sue colline, i suoi monti, il suo mare, la sua storia, i suoi monumenti. Mi inchino ai giganti che la Toscana ha dato nel campo dell'arte, della scienza, della letteratura, della politica, insomma nei giardini della cultura, e ad ogni pretesto ne parlo. Ne scrivo, esalto le sue glorie, la sua bellezza, la sua unicità. Però si tratta d'un amore poco ricambiato: quella mia patria si è sempre comportata poco garbatamente con me. Anzi, con me finoggi è sempre stata ingiusta e cattivella. Forse perché non s'è mai ripresa dalla faccenda dei guelfi e dei ghibellini, la Toscana non è una mamma affettuosa. Otto casi su dieci, quando ha un figlio (o una figlia) che la ama e la onora, invece di amarlo a sua volta e a sua volta onorarlo, lo bistratta. Lo perseguita, lo respinge, lo caccia o lo induce ad andare in esilio e a creparvi. (Pensa al poeta che morì in esilio a Ravenna). Oggi accade lo stesso, e non dimentichiamo che con lo straniero lei fa esattamente il contrario. Soprattutto se oltre ad esser straniero è invasore, cioè mussulmano. Lo provano le milleduecentoottantacinque firme che (contro le millecinquecento favorevoli giunte al "Giornale della Toscana") i filoislamici diessini e di Rifondazione comunista hanno raccolto per impedire che il socialista Riccardo Nencini, fiero e singolare esponente del Centro Sinistra, premiasse la Fallaci. Cioè per indurlo a sconfessare la per loro scomoda onoreficenza. (Grazie, Nencini, d'avere accolto la richiesta dell'incontro concedendogli udienza alle 6 del mattino e all'aeroporto di Pisa, cioè prima di imbarcarsi e venire a NewYork da me. Sapeva che alle 6 del mattino non si sarebbero presentati, vero? Eh! In ogni senso quelli dormono fino a tarda notte, quando si svegliano per dormire di nuovo). Grazie anche ai consiglieri Angelo Pollina di Forza Italia e Gianluca Parrini della Margherita che mi hanno altrettanto sostenuto a dispetto dei milleduecentoottantacinque e sono venuti qui con Nencini. Grazie anche al civilissimo Console Generale Antonio Bandini che vi ha ospitati. Peggio: che ha ospitato me. Dio ve la mandi buona, amici miei. Prima o poi lo pagherete caro, questo gesto di indipendenza e di audacia e di onestà. Vi resterà soltanto la consolazione d'aver conquistato il mio rispetto e il mio affetto. Nonché l'orgoglio d'aver documentato che nonostante i maccartismi, la caccia alle streghe, una democrazia esiste.