venerdì 23 marzo 2007

Parisi non può restare nel governo Prodi-D'Alema-Strada. Marco Taradash

Mettiamo che ci sia un paese impegnato in una trattativa con dei feroci sequestratori. Mettiamo che sia stato rapito un giornalista. Mettiamo che i servizi segreti di questo paese riescano a trovare un modo per liberarlo senza accedere alla richieste dei sequestratori. Mettiamo che l’operazione venga bloccata per consentire che invece il ricatto vada a buon fine. E che nessuno paghi per questa ignominia. Assurdo vero? Eppure è quanto è successo nei giorni scorsi in Italia. Per consentire a Gino Strada, ambasciatore di fatto dei talebani in Italia, di chiudere l’accordo con i tagliagole islamici e riconsegnare loro 5 capi militari detenuti nelle carceri afgane in cambio della consegna di Daniele Mastrogiacomo, il governo Prodi-D’Alema ha impedito ai servizi segreti italiani di arrivare alla liberazione dell’ostaggio per altra via.
Chi lo dice? Questa è la cosa più incredibile. Lo dice il ministro della Difesa di questo stesso governo, Arturo Parisi. E lo dice ad alta voce, a un giornalista del Corriere della Sera. Queste le parole di Parisi, riportate tra virgolette l’altro ieri da Francesco Verderami, e non smentite: “Quel che avevo da dire a Romano l’ho detto: i nostri servizi erano riusciti a trovare la strada per liberare Mastrogiacomo, ma è stato loro impedito. Ora dovremo fare i conti con le ripercussioni che rischiano di essere pesanti”. E ha aggiunto Parisi: “Le contraddizioni e la confusione nel governo, uniti ai modi sprezzanti del dottor Strada nei confronti dei servizi italiani hanno provocato un grave danno all’immagine dello Stato e la perdita di credibilità agli occhi degli alleati”.
Parole che in qualsiasi altro paese avrebbero provocato le dimissioni del ministro in questione oppure quelle del Governo ma che da noi sono state inghiottite dal silenzio come acqua sulla sabbia, tranne un’interpellanza firmata dall’on. Benedetto Della Vedova e dal predecessore di Parisi alla Difesa, Antonio Martino.
Le dichiarazioni di Parisi gettano anche una luce sull’apparente contraddizione nell’atteggiamento del governo Usa, che, a quel che ci racconta il ministro degli Esteri D’Alema, avrebbe dato il suo consenso all’operazione di scambio dei prigionieri per poi accusare l’Italia di essere venuta meno ai suoi impegni di lealtà. La realtà è un’altra. E’ assolutamente probabile, per non dire scontato, che il Dipartimento di Stato americano, e la stessa Condoleeza Rice, fossero convinti che il governo italiano agisse attraverso i suoi servizi segreti, e che lo scambio di informazioni sull’andamento delle trattative avvenisse a livello di intelligence. Ingenuità americana, questo sì, di fronte a un Governo che ha nel suo Dna la tradizione machiavellica del togliattismo. Si può ben immaginare la sorpresa a Washington quando, a cose fatte, si sono resi conto che il vero negoziato l’aveva condotto un misterioso personaggio di nome Gino Strada. Quel Gino Strada che nel giugno scorso aveva scritto sull’Unità, scambiando le sue paranoie per la realtà, che “la maggioranza degli afgani non vede il ritorno dei Talebani al potere come una «minaccia»: per molti sarebbe «meglio», per altri è «una speranza», alcuni perfino pregano perché succeda. Molti non hanno simpatia alcuna per i Talebani, ma giudicano ancora peggio il fatto che il loro Paese sia militarmente occupato da stranieri”; quello Strada che nella stessa occasione aveva lanciato per primo l’idea di un tavolo della pace allargato ai talebani, pensata brillantemente ripresa dal segretario dei Ds Fassino nel pieno del sequestro Mastrogiacomo. Quello Strada che l’altro giorno, ad autista sgozzato e giornalista liberato, ha ripetuto che “In Italia c’è una percezione distorta della realtà afgana. In questa storia ci si è voluti fidare del governo filoamericano di Karzai, che a parole garantiva piena collaborazione e massimo impegno, mentre nella realtà faceva di tutto per far fallire una trattativa che a Kabul, e forse anche altrove, non piaceva”.
Ora che il bubbone con gli Usa è scoppiato, ora che il Governo si è rassegnato a sorbire una giusta ma indecorosa rampogna dagli alleati, che senso ha offrire, da parte dell’opposizione, un qualsiasi sostegno a una missione in Afghanistan che, inutile quanto a contributo bellico e civile per i limiti imposti dalla sinistra massimalista, serve soltanto a mantenere in piedi il governo Prodi-D’Alema-Strada?

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