E' davvero insopportabile la retorica con la quale gli stessi commentatori che due anni fa osannavano e magnificavano la candidatura di Romano Prodi descrivono oggi la scelta del Pd veltroniano di correre da solo alle prossime elezioni del 13 e 14 aprile. Orfani di un prodismo divenuto inguardabile e indifendibile, rilanciano ora il mantra del «nuovo che avanza», ovvero dell'indomito sindaco di Roma che «rivoluziona» il quadro politico italiano, fa fare «un passo avanti» alla nostra democrazia, apre col suo coraggio una «nuova stagione» per il nostro paese. Del resto, la capacità della cosiddetta «grande stampa» di genuflettersi di fronte al potente (ovviamente di sinistra) di turno è pari soltanto all'ipocrisia con cui essa nasconde agli italiani la pura e semplice verità: andare in solitaria alle prossime elezioni non è, per Veltroni, una scelta, ma una necessità dettata dal vecchio, saggio motto per cui «è meglio perdere le elezioni che perdere la faccia». Correndo da solo, il segretario del Pd uscirà sconfitto dalle urne, ma almeno avrà salva la dignità politica. Tutto qui.
Ma ai giornali con un occhio rivolto a sinistra e l'altro ai cosiddetti «poteri forti» interessa altro rispetto alla verità: interessa creare l'ennesimo mito della «meglio sinistra», il «new dream», appunto la «nuova stagione». Tutta panna montata ad arte per nascondere l'evidenza di una sinistra sinistrata, alla frutta, uscita a pezzi dalla devastante esperienza dell'Unione e del governo Prodi. Una sinistra priva di slancio ideale, che ha abbandonato il popolo per entrare nei salotti che contano; che ha messo al bando la classe operaria, tassandola e tartassondola con furore vampiresco, per promuovere i «liberali della cattedra» a nuovi profeti dell'economia nazionale; che ha eluso tutti i grandi temi storici della sua politica per dedicarsi alla sistematica distruzione dell'operato del precedente governo di centrodestra.
Che cosa può avere di nuovo il Partito Democratico quando i suoi dirigenti sono, nella maggior parte dei casi, gli stessi che hanno gestito il lento ma inesorabile declino della sinistra come orizzonte politico e come identità? Quando i suoi notabili hanno partecipato senza colpo ferire agli scempi prodotti dall'esecutivo prodiano? Quando persino il suo stesso leader è in politica dal 1976, in posizioni di rilievo nel Pci, nel Pds, nel Ds - di cui fu pure segretario, portandolo al mimino storico nel 2001? Eppure quasi nessuno dice più queste cose, e ci si acconcia in tutta tranquillità (in alcuni casi perfino tra le fila del centrodestra) ad essere presi per i fondelli dal Paolo Mieli di turno, che ci racconta la favola bella di Veltroni e del Pd dopo che quella di Prodi e dell'Unione, da lui con egual enfasi vergata, è finita in tragedia. Come se gli italiani fossero fessi e avessero la memoria corta, non ricordando oggi quel ch'è accaduto ieri.
E allora via con le articolesse, i peana, le finte analisi super partes degli illuminati politologi che tentano di convincerci della «portata dirompente» della strategia veltroniana, a fronte della quale il centrodestra rischierebbe di apparire come il «vecchio», «incapace di rinnovarsi», «sempre uguale a se stesso». In spregio ad ogni senso del ridicolo e - cosa ancora peggiore - ad ogni senso della realtà, che indica con chiarezza il divario di gradimento popolare che separa il centrodestra dal Partito Democratico, si proprina al popolo - ritenuto, come sempre, «bue» dalla sinistra e dai poteri non eletti che gli tengono bordone - l'indigeribile sbobba nuovista del sindaco della Capitale, spacciata per cibo succulento destinato a conquistare il palato della maggioranza degli italiani.
Bene ha fatto, il centrodestra, ad aggregare nel Popolo della Libertà Forza Italia, Alleanza Nazionale e altri partiti minori della coalizione: in tal modo ha tolto a Veltroni uno dei pochi argomenti da lui spendibili in campagna elettorale, quello dell'eccessivo numero di sigle e simboli presenti nello schieramento berlusconiano. Un'operazione che il segretario e candidato premier del Pd ha definito di «maquillage», dimenticando di guardare in casa propria, all'interno del suo partito pullulante di ex. Guai a ricordarlo a Veltroni, un mitografo prestato alla politica che non tollera deviazioni o scarti dalla rotta dell'iconografia di regime e dalla propaganda ufficiale. (Ragionpolitica)
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1 commento:
A Silvio”
Testo e Musica: Andrea Vantini
Si è detto troppo
E anche di più
Si è usata pure la musica contro
Oggi canto anch’io
E dico che
Menomale che Silvio c’è
Non ho interessi politici
E non ho neanche immobili
Ho solo la musica
E penso che
Menomale che Silvio c’è
Ci hanno provato
scrittori e comici
Un gioco perverso
Di chi ha già perso
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è
La musica suona senza colori
Ma i riferimenti sono reali
Viva l’Italia
L’Italia che ha scelto
Di crederci un po’ in questo sogno
Per questo dico che
Menomale che Silvio c’è
Per questo dico che
Menomale che Silvio c’è
Canto così
Con quella forza
Che ha solamente
Chi non conta niente
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è
Viva l’Italia
L’Italia che ha scelto
Di crederci un po’ in questo sogno
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è
Viva l’Italia
L’Italia che ha scelto
Di crederci un po’ in questo sogno
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è
Viva l’Italia
L’Italia che ha scelto
Di crederci un po’ in questo sogno
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è
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