giovedì 18 settembre 2008

E non dico altro

Milano, 18 set. - (Adnkronos) - Una cinquantina di dipendenti Alitalia sta manifestando davanti al palazzo milanese dove si tiene l'assemblea della Cai. Tra gli slogan gridati dai dipendenti della compagnia di bandiera c'e' 'Meglio falliti che in mano ai banditi'. I lavoratori di Alitalia espongono anche cartelli con la scritta 'Cai, compagnia di avvoltoi italiani'.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono stati accontentati!!!
E ora stesso trattamento riservato ai 200.000 e più licenziati nelle piccole e medie imprese italiane nell'ultimo anno. NIENTE FAVORITISMI o scivoli dorati. Questi fessi non meritano niente!
Claudio

Anonimo ha detto...

I piloti, le hostess e gli stuards cercheranno un nuovo posto di lavoro: con i voli di fantasia.
Tanto a stare con i piedi a terra non ci sono abituati.
z

Anonimo ha detto...

Trent'anni di calvario sotto Aquila selvaggia
Fiumicino, c'è chi non festeggia: posto a rischio
di Paolo Stefanato

Nel 1978 Nordio prova a riorganizzare Alitalia: sarà sciopero. Da allora piloti e assistenti hanno vita facile. Nel 1987 i comandanti chiedono aumenti del 60%, nel 2003 lo "sciopero" dei certificati medici. Viaggio fra gli scontenti dello scalo romano
da Milano

La vicenda che più è rimasta scolpita nella memoria degli italiani risale al giugno 2003: 988 assistenti di volo dell’Alitalia presentarono contemporaneamente il certificato medico all’azienda e si non si presentarono al lavoro. Non fu uno sciopero, fu un’epidemia. La compagnia restò paralizzata, laciando a terra decine di migliaia di passeggeri inferociti. Furono spedite lettere di richiamo e inoltrate denunce al giudice del lavoro. Tutto finì, com’era prevedibile, in fumo.
Ma che cosa contrapponeva hostess e steward al vertice della compagnia, a quell’epoca impersonato da Francesco Mengozzi? Quest’ultimo - che si ritrovò a gestire la crisi dell’11 settembre - cercò di intervenire con il bisturi sul numero dei membri degli equipaggi dell’Md80; poiché il personale è in numero proporzionale al numero dei posti, Mengozzi fece togliere alcune poltroncine per abbattere il parametro e rinunciare a un dipendente. L’epilogo fu un dietrofront dell’azienda umiliante e costoso.
Lo strapotere del personale di volo in una compagnia aerea deriva da un fatto connaturato all’attività: senza piloti e senza hostess un aereo non decolla. Si tratta di professionalità specializzate, rare sul mercato e non fungibili come quelle di minatori o muratori. La formazione da zero di un pilota costa non meno di due anni di tempo e 250mila euro d’investimento.
Ma è negli anni Settanta che i nuovi ruoli si delineano. Il mondo cambia: il trasporto aereo diventa un fatto di massa, e il ’68 ha rivoluzionato le relazioni sindacali. Il combinato di questi due elementi per Alitalia è devastante. Alla fine di quegli anni, nel 1978, il presidente Umberto Nordio cerca di mettere mano all’organizzazione della società, perseguendo obiettivi di efficienza: intuisce, con lungimiranza, che il monopolio è al declino e che in tempi medi le protezioni crolleranno. Si scontra con i piloti: l’azienda persegue maggiore produttività e vuole un nuovo contratto che scrosti i privilegi di quella che anche allora, come oggi, era una corporazione compatta. Lo scontro degenera in sciopero: quel periodo fu battezzato Aquila selvaggia, e fu un momento storico per l’azienda. Quattro settimane di blocco, passeggeri esasperati, compagnia allo sbando. Nordio non viene spalleggiato dal suo azionista Iri: con il presidente di allora, Romano Prodi, ha un rapporto rugginoso e pieno di contrasti. Prodi lo vorrebbe più asservito alla pace sindacale, Nordio resiste.
Alla fine vinsero i piloti, e fu il «peccato originale»: da allora l’azienda non seppe più anticipare i grandi eventi (la deregulation in Europa ebbe un’applicazione progressiva negli anni successivi), ma cercò soltanto di rincorrerli affannosamente.
I piloti sono stati sempre una casta sindacale, con andamento crescente. Nel 1987 chiedono un aumento dello stipendio del 60 per cento: un pilota di Jumbo vuole «recuperare il potere d’acquisto» passando da 5 a 8 milioni al mese netti. Ma non è questo, quello retributivo, il loro definitivo consolidamento. Questo arriva in un momento successivo: nel 1994, un altro anno-chiave. Al comando di Alitalia s’insedia Roberto Schisano, detto il «texano» perché ha lavorato alla Texas instrumets. Il suo esordio ricorda tempi recenti: «La compagnia ha solo 500 giorni di vita», dichiara. Oggi i giorni sono dieci, ma il senso non cambia. Con lui arrivano in flotta dei Boeing 767 nuovi di zecca e anziché assumere nuovi piloti, l’Alitalia ne «affitta» in Australia, a condizioni più vantaggiose. È la seconda Aquila selvaggia, la compagnia viene ricattata e paralizzata dagli scioperi, con occupazione delle piste. La vertenza è durissima. Schisano prende una scorciatoia e firma in sordina un accordo con i piloti per aumenti astronomici, che la stessa azienda e l’azionista Iri (presieduto in quel momento da Michele Tedeschi) disconoscono tanto da avviare un’azione di responsabilità nei confronti del manager.
Il passo successivo è il coinvolgimento dei piloti nella gestione dell’azienda (che nel primo semestre del 1995 perde 240 miliardi di lire). Il 15 settembre di quell’anno Schisano firma un ponderoso ordine di servizio teso a smorzare la conflittualità sindacale. Viene creata una nuova direzione «pianificazione, programmazione e coordinamento operativo» ed è affidata all’ex presidente dell’Anpac, il sindacato dei piloti. Questa direzione deve provvedere «alla pianificazione e alla programmazione delle rotazioni degli aeromobili e degli equipaggi». Un potere enorme sul personale e sull’attività complessiva della compagnia. Non è tutto: viene creato un comitato per la guida delle carriere dei 1.700 piloti dell’Alitalia, che ha potere assoluto sui due punti chiave della carriera di un pilota, l’idoneità al comando e il cambio di aeromobile. Il comitato è formato da sei membri, quattro dei quali piloti in servizio. Uno di questi, il direttore delle operazioni di volo, è un uomo di fiducia dell’Anpac. Quindi il sindacato, di fatto, gestisce le carriere dei piloti: è un’azienda nell’azienda.
Il potere acquisito dall’Anpac trova consacrazione l’anno successivo, nell’era Cempella, quando il suo presidente, Augusto Angioletti, fa ingresso nel consiglio di amministrazione in rappresentanza dei dipendenti-azionisti. Nel 2001, sotto l’amministrazione Mengozzi, Angioletti viene nominato amministratore delegato di Eurofly, la compagnia charter del gruppo Alitalia. Quando si decide di vendere la controllata, a rilevarla è un pool di investitori organizzati dallo stesso Angioletti, che viene confermato amministratore delegato a 850 mila euro all’anno. Più di Michael O’Leary, deus ex machina di Ryanair, quasi alla pari di Jean-Cyril Spinetta, presidente e amministratore delegato di Air France-Klm, la più grande compagnia del mondo.

da Il Giornale