giovedì 4 settembre 2008

La sinistra italiana tra "bad company" e "newco". Marco Taradash

Cosa manca all’Italia per essere un paese normale? E perché Veltroni attacca (involontariamente) la magistratura per il rilascio degli ultrà del calcio e allo stesso tempo blocca il dialogo sulla riforma della giustizia auspicato da Luciano Violante? Un attimo.

Qualche giorno fa Massimo Calearo, ex presidente di Federmeccanica e della confindustria vicentina e ora deputato del Pd, ha espresso a Repubblica la sua opinione su Alitalia. A noi non interessa. Sulla compagnia aerea ci basta quel che pensa l’ex presidente dei giovani confindustriali e ora ministro ombra del Pd, Matteo Colaninno: “Tengo famiglia” (tradotto dalla lingua ombra). Tra le righe di quell’intervista a Calearo c’era invece qualcosa di illuminante sotto il profilo politico. Scriveva Repubblica: “E’ appena tornato dalle sue prime vacanze cubane e assicura che non ci ritornerà. Perché – spiega- c’è di meglio del comunismo”. Viene da pensare. Forse Calearo ha ritenuto suo dovere da “uomo nuovo” della sinistra recarsi a Cuba? Forse non sapeva che c’era il comunismo? Forse non sapeva bene cosa fosse il comunismo? Non c’è altra spiegazione. Mai saputo nulla della repressione castrista, della delazione, dei ricatti polizieschi, dei disperati tentativi di fuga, delle segrete di cinquanta centimetri per cento dove i dissidenti erano costretti a giacere indefinitamente fra i propri escrementi a scopo di rieducazione politica e sessuale coll’unico conforto di una lampada elettrica perennemente accesa? Ora che è tornato Calearo potrebbe almeno guardarsi (è una punizione, lo so, il film è brutto, ma lo conforterà la comparsata di Sean Penn) il film – “Prima che sia notte” - sulla vita di Reinaldo Arenas, scrittore omosessuale e anticastrista, emigrato da Cuba nel 1980 (quando Castro generosamente scaricò sugli Usa una strana compagine composta da omosessuali, delinquenti abituali e malati di mente) per morire di Aids a New York qualche anno dopo (e così si risparmia pure una puntata al Gay Pride).

Quel lampo di verità nell’intervista a Calearo spiega meglio di mille editorialesse cosa manca all’Italia per essere un paese normale, come ci domandavamo all’inizio. Manca la sinistra. Qualche decina di anni fa la situazione era più semplice: per essere un paese normale all’Italia mancava tutto, persino il concetto di paese. Da una parte una sinistra legata a Mosca, dall’altra una destra che si definiva di centro e che aveva nel Vaticano il punto di riferimento politico e culturale. L’Italia del secondo dopoguerra non era uno stato occidentale come gli altri ma un contenitore di partiti che neppure si preoccupavano di dargli una fisionomia. Flaiano sintetizzò limpidamente la situazione sul “Mondo”, annata 1956: “Abbiamo da una parte il forte partito comunista che ha per scopo di spiegarci, con un ritardo di dieci anni, quel che ci succederebbe se si instaurasse qui un governo comunista, come se noi non lo sapessimo.. Oggi il comunista è un partito conservatore e reazionario, che non vuol fare rivoluzioni e si accontenta che gli altri partiti lo credano capace di farlo”. Sull’altro versante c’era “Un partito confessionale-economico, talmente vasto che lo si potrebbe scambiare per la volontà degli italiani, se non sapessimo che a dirigerlo è una volontà che ha sempre avversata l’idea stessa di un’Italia libera.. Un partito fortemente involuzionario”.

Oggi non è più così, a destra. Berlusconi ha creato un partito di destra occidentale, alle volte molto conservatore, alle volte un po’ liberale, come tutti. A occupare lo spazio della sinistra c’è invece qualcosa di indecifrabile, che nessuno sa bene dove collocare (come dimostra l’ininterrotto questionare sul “chi siamo-da dove veniamo-dove andiamo” in corso da mesi sui quotidiani italiani). Intanto: dove sta la destra e dove la sinistra? Dipende. Dal punto di osservazione. Di fronte o di spalle? Rosy Bindi o Di Pietro? E qual è la fronte e quale la schiena? Per fortuna l’antiberlusconismo definisce oggi tutto ciò che non è destra, a parte Storace. Il resto è un catalogo vintage: un vecchio partito comunista guidato da un politico che può vantare come maggiore successo il rilascio di Silvia Baraldini dalle carceri americane; un nuovo partito della rifondazione comunista, attualmente senza guida, impegnato nella ricerca della nonviolenza attraverso il sostegno ai movimenti terroristi internazionali. Infine un nuovissimo e consistente Partito Democratico che cerca di trarre linfa dalla fusione dei rami attivi derivati dalla liquidazione delle “bad companies” comunista e democristiana. Oggi ci si interroga sul ruolo del suo leader, Veltroni. E’ famoso per la sua ambiguità, per i suoi “ma anche”. Vero, ma cos’altro potrebbe dire o fare il segretario di un partito la cui metà degli iscritti soffre di allergia per le idee, i costumi e gli inni (“l’internazionale” – avete presente?) dell’altra metà, la quale disinteressatamente contraccambia? Se il nuovo poi sono i Calearo, i Colaninno e le ovazioni della festa democratica a Di Pietro con immediato contrordine compagni sulla riforma della giustizia, non ci sarà da attendere molto prima che Veltroni cominci a ripetere a manovella un mesto ma più autentico “ma neppure”. Non vediamo l’ora. (l'Occidentale)

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