giovedì 11 settembre 2008

Il lato buono del caro-petrolio. Nicola Porro

Il cartello dell’Opec ieri, a sorpresa, ha deciso di tagliare la produzione di greggio. Il mercato non ha reagito, e ha mantenuto la sua tendenza discendente. La mossa dei produttori ha un significato che va ben oltre le considerazioni di breve periodo, ma rischia di essere miope. Il taglio della produzione ha il fine (pur rappresentando l’Opec meno del 40% della produzione mondiale di oro nero) di mantenere i prezzi sostenuti. Nonostante questo, si può rivelare ottimo per la crescita globale e pessimo per gli esportatori di petrolio. Un caso esemplare di eterogenesi dei fini. La crisi degli anni ’70 ha portato (il caso francese è il più eclatante) alla ricerca di fonti di energia alternative. Il nucleare ha avuto proprio in quegli anni la spinta più forte. La ricerca di soluzioni alternative, l’esplorazione di nuovi giacimenti, il contenimento dei consumi, sono tutte contromisure che, inevitabilmente, verranno messe in campo.
I paesi produttori giocano dunque con il fuoco. L’età della pietra è finita non per mancanza di pietre: l’era del petrolio rischia di finire non per l’esaurimento del petrolio. Il costo della materia prima è ovviamente solo uno dei fattori che determinano la ricerca di alternative. Nella nostra epoca alla presunta scarsità della materia prima si somma infatti anche la ricerca di un equilibrio ambientale più corretto. Agli incentivi economici per la sostituzione del petrolio con altre fonti oggi si somma anche una tendenza per così dire filosofico-ambientale.
Il petrolio a prezzi bassi non aiuta, un petrolio su livelli insostenibili agevola invece la sostituzione. È un problema che riguarda i Paesi europei in maniera più attenuata rispetto ad altri. Il prezzo della benzina da noi è infatti gonfiato dalla componente fiscale, che rende il valore del combustibile artificialmente alto. Ma questo non avviene ovunque. In Cina, ad esempio, vi sono ancora sussidi al prezzo del carburante. Così come negli Usa la componente fiscale è molto ridotta. Dunque, l’aumento del prezzo si farà sentire maggiormente proprio dove oggi il costo della benzina è più basso.
L’Opec dunque, tagliando la produzione, in ultima analisi non fa un favore a se stessa. Se davvero riuscisse a mantenere i prezzi artificialmente alti, non farebbe che accelerare un processo che appare comunque irreversibile. Si tratta di una decisione che va ad alterare il funzionamento corretto di un’industria e di un mercato. Quando mai si è visto che un’impresa utilizzi solo una parte della propria capacità produttiva? È diseconomico e folle. Nelle prossime settimane vedremo l’effetto pratico del taglio deciso ieri. Ma la paura del greggio a 200 dollari non è passata e i governi europei hanno capito che un modello di sviluppo dei trasporti basato solo sulla benzina è destinato a finire. Meglio prima che poi. (il Giornale)

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