Le parole di Carlo Azelio Ciampi sono pesanti e gravissime, sebbene non chiare ed inequivoche. Escludiamo, anche solo per giocosa ipotesi, che si tratta del volgare lancio per un libro in uscita, quindi facciamo i conti con le cose che ha detto a Massimo Giannini, e da questi pubblicate su La Repubblica. Ovvero: 1. sono convinto che, nel 1992, sia stato tentato il colpo di Stato; 2. le bombe mafiose servirono a favorire la nascita di un “aggregato imprenditoriale e politico”; 3. è ora di sapere chi ordinò quella strategia e cosa celava, in tal senso rimandando al libro di prossima uscita, di taglio autobiografico. Il quotidiano romano, senza neanche forzare troppo, presenta il tutto come l’ennesima conferma di quel che molti hanno già supposto: Silvio Berlusconi usò la mafia per agevolare, anzi, imporre la propria ascesa al governo. Ciampi è persona seria. Abbiamo il dovere di prendere seriamente quel che dice. Mettiamo che sia come lui dice, o, meglio, come lui lascia intendere: Berlusconi è l’apice di un disegno criminale. Va bene, ma i conti non tornano. Per niente.
Il presupposto di tale tesi consiste nel credere che la mafia abbia avuto un organico rapporto con il potere politico, o, se preferite, che sia il potere politico ad averlo avuto con la mafia. Che ci sia un “terzo livello”, nel quale s’incontrano la forza economica e militare della mafia e quella legislativa e governativa di certi politici. Giovanni Falcone sosteneva che tale presupposto era una solenne cretinata e, per quel che conta, penso che avesse ragione. Cosa nostra è uno stato nello Stato, che non ha alcun bisogno d’essere riconosciuto. Non contesta agli sbirri il diritto di dar la caccia ai criminali, contesta ai cittadini il diritto di rivolgersi agli sbirri. Può darsi che Falcone si sbagliasse, che non avesse capito nulla della mafia, o che, come sostenne Leoluca Orlando Cascio, dei disonorati e dei loro legami politici fosse complice. Ma, forse, un’idea di questo tipo andrebbe sostenuta con qualche argomento, se non proprio dimostrata. Vale per Ciampi, come vale per Pietro Grasso e per chiunque altro.
Ciampi dice che nel 1992-1993 si corse il rischio del colpo di Stato. Credo che si trattò di una realtà, non di un’ipotesi. Nel 1992 ci furono le elezioni politiche e la coalizione che le vinse era composta da partiti che, nel 1994, non erano più neanche sulle schede elettorali. Tutti cancellati per via giudiziaria. Un ordine dello Stato, la magistratura, divorò un potere dello Stato, legittimato dal voto. Ma non è questo, ne sono sicuro, cui si riferisce Ciampi. Solo che, all’epoca dei fatti, egli era presidente del Consiglio, e negli anni successivi fu Presidente della Repubblica. Uno nella sua posizione o sa delle cose, e allora dovrebbe dirle, o non le sa, e allora dovrebbe far attenzione ad alludere. Aggiunge che ne parla nel libro autobiografico, che, c’è fatto subito sapere, sarà edito da “Il Mulino”. Lo comprerò, giuro, non appena si poserà sul bancone del libraio. Ma, come dire, il lancio mi pare un po’ forte.
Bombe e stragi mafiose, ricorda Ciampi, cessano alla vigilia delle elezioni del 1994. Furono quelle vinte da Berlusconi, con la neonata Forza Italia. Missione compiuta, insomma. Già, peccato che il governo Berlusconi fu divorato in pochi mesi, al suo posto fu messo un governo sostenuto dall’opposizione e, due anni dopo, le elezioni le vinse l’Ulivo, con Romano Prodi. Cos’è, si sono arresi, i mafiosi? Il colpo di stato, l’ascesa criminale di Berlusconi, ha portato a qualche mese di governo, del tutto inconcludente, e poi basta? E’ una domanda legittima, non provocatoria. Parto dall’idea che Ciampi sia persona seria, per bene e in pieno possesso delle facoltà mentali, ma non riesco a capire come il ragionamento si regga in piedi. Mi aiuti, per favore.
Falcone saltò in aria a Capaci. E’ storia di quella stagione di sangue. Mettiamo, come ritengo credibilissimo, che in quell’azione vi furono complicità non solo mafiose, che le colpe di quell’assassinio ricadano anche su ambienti politici. Ma quali? Berlusconi? Mha, e perché? Non risultano elementi di frizione, o pericoli imminenti, dati dall’azione di quel magistrato. E’ noto, invece, che egli fu avversato dalle correnti di sinistra, che contro di lui si mosse Luciano Violante, che per togliergli la possibilità di combattere la mafia si mobilitò Magistratura Democratica (con alcune eccezioni). E noto che di Falcone non si fidavano quelli del pool Mani Pulite. E si è saputo che stava lavorando, con il procuratore di Mosca, sui canali di riciclaggio del denaro, coincidenti, in parte, con quelli che il Kgb utilizzava per far uscire soldi, anche destinati al Partito Comunista Italiano. Dite che quell’animale di Giovanni Brusca, sotto il comando di quella bestia di Totò Riina, lo abbiano ucciso per fare un favore a Berlusconi? Può essere, ma mi aiutate a capire come ci siete arrivati?
Poi saltò in aria Paolo Borsellino, e, anche qui, è credibilissimo che la bomba omicida non veda innocenti anche mandanti non punciuti, non mafiosi. Ma chi? Invece di cercare le carte scomparse, ammesso che siano esistite, perché non provate a leggere quelle rimaste: Borsellino riteneva che per trovare la traccia degli assassini di Falcone si dovesse lavorare all’inchiesta mafia-appalti, preparata dai carabinieri. Dopo la sua morte quell’inchiesta fu smembrata, a cura della procura di Palermo (possiamo consideratala un: apparato dello Stato?) e quei carabinieri trascinati sul banco degli imputati. Dite che tutto questo sia stato fatto per favorire l’ascesa di Berlusconi, e non per coprire le complicità industriali, nazionali e non, della mafia, i suoi canali di reimpiego del denaro, che portano più alla Madonnina che a Santa Rosalia? Può essere, ma dateci qualche cosa in più che non sia un luogo comune privo di senso. Grazie.
Poi la mafia tacque. Poi le presunte trattative furono interrotte. Non ebbe alcun beneficio? Perse i referenti politici? Mica mi convince, perché nei mesi e negli anni successivi alle stragi e alle presunte trattative un numero sconcertante di macellai mafiosi uscì dalla galera e si diede alla bella vita. Non servirono decreti, non fu necessario occupare il governo, essendo bastevole utilizzare con sapienza la legge sui pentiti e rivolgersi a magistrati particolarmente attenti. Ma queste cose non si dicono e non si scrivono. Troppo pericoloso. Salvo che non si sia degli incoscienti, come chi qui firma.
In quanto alle parole di Ciampi, che spero vorrà approfondire, voglio dire una cosa: vede, Signor Presidente Emerito, dicono di Lei che sia figlio di quella “cultura azionista” che ha esercitato egemonia sulle cose della Repubblica, annettendosi un potere privo di consenso elettorale, io non lo credo affatto, forse perché di quella cultura sono a mia volta figlio (magari bastardo, faccia Lei), però, quando si parla di cose assai delicate si devono usare parole nette, senza alcun margine d’equivoco, essendo pronti a pagarne le conseguenze. Si discuterà altrove di cosa sia stato l’azionismo, né, del resto, può assimilarsi tutto, da Emilio Lussu a Ugo La Malfa, ma una matrice dovrebbe pur sopravvivere, non piegando la morale e le idee alla piccole necessità contingenti. Sicché, a me pare, si può fare non solo l’opposizione a Berlusconi, ma anche ritenerlo una disgrazia, senza per questo ricorrere ad argomenti che rischiano di consegnarli anche l’aureola del salvatore dalla follia.
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