martedì 4 maggio 2010
Il tormentone dell'Italia disunita. Paolo Pillitteri
Heri dicebamus, a proposito dell’Unità (d’Italia), degli anniversari, di quelli della Lega, di quelli dei Comitati che si dimettono, di quelli del Pd che protestano. Siamo all’eterno ritorno al punto di partenza, come nella peggior tradizione italica. Adesso, poi, ci si è messo il Calderoli che dal “format” (sic!) dell’Annunziata ha detto papale papale che loro, i leghisti, alla cerimonia inaugurale del 150 o anniversario non ci saranno. Proteste dei bersaniani e casiniani che reputano incompatibili col ruolo di ministro le contestazioni all’unità d’Italia, mentre i dipietristi attaccano a testa bassa l’intero governo come impresentabile e secessionista. Intanto, vengono confermate, a maggior ragione dopo l’annuncio calderoliano, le dimissioni degli autorevoli rappresentanti della sinistra dal comitato celebrativo, già presieduto da Ciampi fattosi da parte, pare, per ragioni di anagrafe. Naturalmente, di tutta questa rissa all’ombra dell’Unità d’Italia, poco o punto interessa alla maggior parte degli italiani. Non solo o non tanto per la ragione che la disunità italiana non è, da decenni, un tema all’ordine del giorno, ma perché gli italiani, Lega e suoi elettori compresi, danno per scontata questa unità, la considerano un dato di fatto, una presa d’atto. Diverso è il ragionamento sul come si è raggiunta l’unità del paese, ma questo è un altro discorso. Stonata fin che si vuole, l’esternazione del ministro leghista ha avuto almeno il pregio della sincerità, che farà dispiacere al Presidente della Repubblica, istituzionalmente custode dell’unità d’Italia, ma non cambierà nulla, nella sostanza delle “cose” di governo, a parte un’accelerazione del federalismo fiscale o, più probabilmente, demaniale. Il punto della querelle sta nell’atteggiamento di una certa sinistra che ha scoperto di recente il valore unitario del Risorgimento, per decenni considerato svuotato dalle classi dominanti, privo di partecipazione popolare, una “conquista regia”, secondo la vulgata gramsciana prevalente fino a qualche anno fa. Il tema del Risorgimento mancato anticipava quello della Resistenza tradita e, successivamente, il tema del doppio stato, uno legale e l’altro criminale, secondo cui la storia del dopoguerra da Salvatore Giuliano in poi, è stato un susseguirsi di stragi (di stato) e di complotti per impedire l’ascesa della sinistra al potere. C’è stata per decenni una rappresentazione truffaldina della nostra storia, scritta, prevalentemente, dalla sinistra e narrata in cinema e Tv dalla ideologia che ha ingannato, manipolato, cambiato, inventato. Quando l’Idv, che ha insultato e minacciato il Quirinale fino a qualche settimana, si scaglia contro la Lega “secessionista”, è peggio del bue che dà del cornuto all’asino, è, piuttosto, il simbolo del doppiogiochismo e della strumentalizzazione, di un gridare al lupo al lupo per sollevare una questione al solo scopo di colpire il Presidente del Consiglio e il suo governo. Il fatto è che, in tutta questa dròle de guerre pro o contro il 150o unitario, si vuol fare passare la Lega come causa, quando invece è l’effetto. Una Lega, peraltro, che è abile a guadagnarsi la scena e i titoli dei giornali in virtù della propaganda altrui. A un ministro bossiano, annunciante la sua assenza alle celebrazioni, bastava rispondere con un secco, ancorché rispettoso: e chissenefrega! (l'Opinione)
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