mercoledì 16 giugno 2010

Marchionne, mandi a quel paese l'azienda-Italia e i suoi sindacati. Giuliano Cazzola

Nel corso della sua lunga storia il management della Fiat non è mai stato un interlocutore raffinato nel campo delle relazioni industriali. Le sue iniziative sono sempre state caratterizzata da un grande senso pratico per risolvere problemi reali che di volta in volta si presentavano all’orizzonte. Eppure, le scelte e i comportamenti del gruppo sono sempre stati accompagnati da grandi introspezioni ideologiche, da debordanti analisi di possibili scenari, di occulti complotti alla cui ricerca tutto il variopinto circo Barnum politico-sindacal-massmediatico si dedica con l’ardore e la puntigliosità che sono consuete nei confronti di un kombinat industriale che è insieme il più odiato ed il più amato. Anche nel caso di Pomigliano d’Arco la Fiat è mossa dall’esigenza di risolvere problemi molto concreti.

Per ragioni strategiche nella dislocazione internazionale del gruppo, Sergio Marchionne ha deciso di valorizzare lo stabilimento campano, investendo ben 700 milioni di euro (senza ricevere un soldo dallo Stato). Lo ha fatto con la medesima determinazione con cui ha deciso di dismettere l’opificio di Termini Imprese. Per dare lavoro allo stabilimento di Pomigliano d’Arco la Fiat è disposta a ri-localizzare o spostare cioè delle produzioni ora eseguite in Polonia. Sia chiaro: il gruppo ex torinese non vuole fare né assistenza né beneficenza. Agisce in nome di un preciso interesse economico e produttivo. Ma la scelta è talmente clamorosa e controtendenza da lasciare un po’ stupiti tutti gli analisti. Per qualunque imprenditore è più facile scappare dalla Campania che restarci ed investire delle risorse preziose proprio perché scarse.

Marchionne, però, ha presente tutte le criticità di quella fabbrica e delle sue maestranze: assenteismo anomalo e conflittualità diffusa, per non parlare d’altro.

Di qui la domanda alle organizzazioni sindacali: siete disposte ad impegnarvi per portare ad un livello fisiologico (e compatibile con le esigenze di produttività) l’orario e l’organizzazione del lavoro, da un lato, e i comportamenti anomali dall’altro? Sulle turnazioni la Fiat la spunta anche con l’adesione della Fiom. Non passano, invece, con i bellicosi metalmeccanici della Cgil le proposte di prevedere sanzioni economiche per gli scioperi anomali e per le assenze causate da malattia sospette. Si badi bene. Questi problemi non erano riservati alla discrezionalità dell’azienda ma a comitati paritetici in funzione di camera di compensazione e di valutazione di situazioni effettivamente abnormi. Questa è la cronaca pure un po’ banale di quanto è in ballo a Pomigliano d’Arco.

Strano Paese l’Italia. Marchionne varca l’Oceano, salva la Crysler, stipula con i sindacati americani e canadesi clausole limitative del diritto di sciopero sotto gli occhi di un riconoscente Barak Obama. Da noi sembra che siano gli operai a fare un favore alla Fiat. Tutto ciò premesso non mi sembra il caso di elevare la vertenza di Pomigliano ad esempio di un nuovo modello di relazioni industriali come, all’opposto, di scomodare chissà quale violazione di fondamentali diritti dei lavoratori.

La Costituzione, all’articolo 40, riconosce il diritto di sciopero, un diritto sacrosanto di cui non si può comunque abusare, come purtroppo avviene in quello stabilimento. Nel contempo, l’articolo 38 afferma che il lavoratore deve essere tutelato, sul versante del mancato guadagno, quando si ammala. Ma è un diritto avvalersi di medici compiacenti per andare a spasso quando occorre lavorare o – l’uomo non è di legno – quando giocano il Napoli o la Nazionale? Ecco perché è intollerabile la campagna scatenata dai quotidiani di sinistra (a proposito, che fine ha fatto il Pd di governo?) che immaginano disegni perversi di attacco ai diritti dei lavoratori, al punto da fomentare la cocciutaggine della Fiom e di mandare sul lastrico molte migliaia di famiglie in quell’area così piena di problemi.

Verrebbe voglia di consigliare a Marchionne di restare dov’è e mandare a quel paese l’azienda-Italia, dove tutto sembra dovuto e preteso. Prima viene il posto sicuro, poi lo stipendio. Poi magari, qualche volta si può anche lavorare.

Tornando alla vertenza, le altre organizzazioni sindacali, al solito, hanno sottoscritto l’accordo in presenza (sic!) di un "osservatore" della Fiom. La prossima settimana ci sarà il referendum. In tale occasione – confermano più o meno tutti – l’accordo sarà approvato, nonostante gli scioperi promossi e le manifestazioni organizzate dalla Fiom. Tuttavia, il cupio dissolvi di un sindacato farà comunque sì che un importante risultato per il Mezzogiorno e l’Italia, come il salvataggio e il rilancio dello stabilimento di Pomigliano, sarà vissuto come una sconfitta ed un ricatto. Ci sarà pure un tribunale di Norimberga che chiami i sindacalisti a rispondere dei loro misfatti! (l'Occidentale)

1 commento:

Andrea ha detto...

Il problema è più grosso di quanto vuoi far sembrare. Situazioni come queste sono innescate da un mercato globale privo di regole. E chi gestisce le aziende ha un grosso vantaggio sugli stati: non facciamo passare un ricatto per un atto di benevolenza, perfavore...
Se vuoi essere più completo, scrivi anche cosa sono costretti a perdere, in virtù di questo "accordo", i lavoratori italiani pur di continuare a campare. In questo modo forse l'analisi che pretendi fare, diventa decisamente più equilibrata.
Se poi vuoi essere zelante, prova a immaginare un futuro nel quale tutte le aziende fanno cose come queste...