Dare del verme vale 16mila euro. Dare del mafioso, invece, rientra nel diritto di cronaca. A stabilirlo è stato un magistrato che doveva decidere su una richiesta di risarcimento danni avanzata dal Presidente del senato Renato Schifani nei confronti di Marco Travaglio che lo aveva accusato in diverse occasioni, a mezzo carta stampata ed a mezzo televisivo, di essere al tempo stesso un verme ed un politico con rapporti mafiosi. Non entro nel merito della sentenza. E non perché condivida la tesi ipocrita e ridicola secondo cui le sentenze non si discutono. La libertà di stampa, infatti, è fondata proprio sull’esigenza di poter discutere e criticare le sentenze di magistrati che negli anni dei regimi assolutisti e privi di costituzioni liberale erano regolarmente asserviti al potere del sovrano. Le sentenze, allora, possono essere tranquillamente criticate. Perché solo una discussione libera sulle loro conclusioni garantisce la funzionalità e l’esistenza dello stato di diritto. Non entro nel merito perché non voglio immischiarmi nel contrasto personale tra Schifani e Travaglio. Sono fatti loro. Non condivido il modo di fare giornalismo sputtanatore di Travaglio. Ma credo che sia sbagliata anche la tendenza dei politici ad appellarsi alla magistratura per tutelare la propria onorabilità messa in discussione dai giornalisti sputtanatori. Credo che tra politici, giornalisti e gli stessi magistrati basterebbe un giurì d’onore effettivamente funzionante. E quindi non mi convince l’idea che l’onorabilità di una persona possa avere un qualsiasi prezzo. Ma la vicenda del verme che vale 16 mila euro di multa e del mafioso che rientra nel diritto di cronaca mi spinge a sollevare una questione di natura generale da una esperienza personale. Quella di essere il direttore di un giornale che per aver definito un “cattivo maestro” un rappresentante di un movimento islamico che nel suo paese d’origine era stato condannato a morte per terrorismo è stato condannato ad un risarcimento di danni di altre 70 mila euro da un magistrato monocratico. Bene, se dare del verme vale 16 mila euro e dare del mafioso non vale nulla, perché rientra nel diritto di cronaca, in base a quale criterio l’epiteto di “cattivo maestro” deve pesare e valere 70 mila euro?
La risposta è che nel nostro ordinamento giuridico non esiste un parametro oggettivo in base al quale si valuta quali affermazioni della stampa rientrino nel diritto di cronaca, e quindi non siano sanzionabili in alcun modo, e quali debbano essere considerate delle offese da sanzionare con risarcimenti danni dalla definizione fluttuante. Ogni magistrato decide autonomamente, in base alla propria cultura, coscienza e, naturalmente, in base alle proprie opinioni. La decisione, dunque, è assolutamente discrezionale. Ed essendo tale è influenzata dalle convinzioni e dalle convenzioni dominanti del momento. Per cui capita che criticare un musulmano venga considerato politicamente scorretto da un magistrato convinto che ogni tipo di osservazione negativa neghi in dialogo e favorisca la guerra di civiltà. E che sanzioni una pena esorbitante per chi ha avuto l’ardine di contestare un musulmano in odore di terrorismo. E può capitare anche che un magistrato politicamente corretto consideri assolutamente normale che il guru del giustizialismo italico dia del mafioso ad un aborrito berlusconiano, per di più Presidente del Senato, e decida di sanzionare solo un epiteto, come quello di verme, che difficilmente può rientrare nel diritto di cronaca del professionisti dell’antimafia. Ma se ogni magistrato può comportarsi come meglio ed interpreta la propria autonomia ed indipendenza come appiattimento sul pensiero politico dominante, diventa difficile dare credito e fiducia alla giustizia dei conformisti. Peggio che ai tempi degli stati autoritari! (l'Opinione)
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