La parola “libertà” s’è alquanto sprecata, ieri, al Senato. Il disegno di legge che regola le intercettazioni telefoniche è stato approvato, dopo che il governo aveva posto la fiducia, sicché le opposizioni hanno strillato, sia sul metodo che sul merito del provvedimento. Temo, però, che il prodotto non sia affatto risolutivo e che il clangore sia più recita che realtà. Per il prossimo 9 luglio è stato anche indetto uno sciopero dei giornalisti, anch’essi impegnati a combattere per la libertà. Non parteciperò, sia perché svolgo altra professione sia perché, quel giorno, sono pronto a scrivere anche cartoline, pur di non aderire all’ipocrisia.
Sul metodo, è presto detto: chiedendo la fiducia il governo ha, secondo le opposizioni, strozzato il dibattito parlamentare, imponendo il proprio testo. Peccato, però, che il dibattito “strozzato” è durato settimane e non accennava a concludersi, mentre il testo approvato non è manco per niente quello voluto dal governo. Questa gnagnera dei governi che umilierebbero il Parlamento, con la decretazione d’urgenza e la fiducia, deve finire, anche perché cambia il colore dei governi, ma non il ricorso a questi strumenti. La verità è che il nostro processo legislativo è insensato, maniacalmente ripetitivo, terribilmente inefficiente. Chi abbia a cuore l’importanza del Parlamento dovrebbe chiederne la modifica, cominciando dai regolamenti parlamentari e dal rapporto fra governo e Parlamento. Ma le cose, da noi, seguono un copione diverso: l’opposizione, quale che essa sia, cerca d’impedire al governo di governare. Che questo abbia a che vedere con la democrazia e con la libertà è tesi alquanto bislacca.
Nel merito, la situazione è ancora più paradossale. Antonio Di Pietro è giunto a dire che neanche Benito Mussolini avrebbe osato tanto. I riferimenti storici del noto intellettuale vanno presi con prudenza, in questo caso non essendo chiaro se si riferisce ai lavori parlamentari (ma allora l’opposizione era stata cancellata), o alla possibilità d’intercettare (ma allora ciascun cittadino era in balia dei poteri polizieschi), o, più semplicemente, di un rigurgito del sussidiario mai digerito. Sta di fatto che sono in molti a ritenere che la nuova legge, quando sarà tale, combinerà sconquassi. Il Corriere della Sera, per meglio documentarlo, se l’è fatto dire anche da Giuliano Tavaroli, fresco di patteggiamento per i reati commessi spiando e producendo materiale che lo stesso quotidiano ha pubblicato. Non oso immaginare chi intervisteranno quando dovesse discutersi una legge sulla violenza carnale.
Se la nuova legge servisse veramente a proteggerci dall’invasività e imprecisione degli inquirenti, oltre che dall’inciviltà di una stampa che s’inginocchia a far da ciclostile alle procure, sarebbero accettabili anche le controindicazioni. Ma non credo che stiano così le cose. Le intercettazione continueranno a farsi, la magistratura continuerà ad amministrarle più o meno come crede, i termini temporali saranno aggirati, perché ogni volta saranno urgenti e determinanti altri due o tre giorni (e voglio vedere come si fa a dimostrare il contrario), e, in quanto alla pubblicazione, le trascrizioni saranno pubblicate da siti internet allocati fuori d’Italia e da qui riprese. Funziona così anche per il mercato della pornografia, che ritengo meno offensivo della moralità pubblica.
La soluzione sarebbe dovuta essere diversa, bilanciando i tre principi in gioco: sicurezza
collettiva, diritto alla riservatezza personale e libertà di stampa. Ecco come: le intercettazioni non devono essere disposte dalla magistratura, non divengono mai elementi di prova, non possono essere depositate nelle carte processuali, ma sono strumento d’indagine, nelle mani della polizia giudiziaria, e servono a garantire la sicurezza di tutti nell’attività di prevenzione e ad acquisire prove, ove il reato sia già stato commesso, in quanto alla stampa, non essendoci testi da copiare dovrà provare a lavorare, facendo inchieste in proprio e raccontando gli esiti processuali, come avviene in ogni democrazia che si rispetti. Il testo approvato, fra clamori e schiamazzi, è una via di mezzo, né carne né pesce, con il risultato d’avere i difetti d’ambo i mondi animali, disperdendone i pregi.
Ancora una volta, quindi, una battaglia furente si rivelerà preludio di un risultato deludente. Questo sì, alla lunga, nuoce alla democrazia.
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