Lo sciopero dei magistrati è solo un sintomo. Pessimo, salvo che per un aspetto: la sinistra, per una volta, non è corsa a blandire la magistratura associata e politicizzata, non ha, almeno fin qui, coperto qusta irragionevole protesta. Un sintomo, comunque, rivelatore. Ci si può leggere la realtà complessiva del Paese, il nostro progressivo affogare nell’egoismo corporativo e nell’arroganza impotente. Non colpisce la protesta, ma la miseria della scena, l’assenza di forze e protagonisti capaci di credere veramente si possa cambiare, si possa rendere migliore l’Italia. Colpisce che a pagare sono i non protetti, i non inquadrati nelle corporazioni, a cominciare da quel “popolo delle partite iva”, tanto osannato quanto fregato.
Quella dei magistrati è una categoria iperprivilegiata. Guadagnano, mediamente, più dei loro colleghi d’Europa (amministrando la peggiore giustizia). Hanno vacanze infinite. Nessuno controlla i loro orari di lavoro. Nessuno ne valuta la produttività. Per accedere alla magistratura basta superare un concorso, dopo di che la carriera e i soldi sono garantiti, per tutta la vita. Quel concorso seleziona giuristi di prima qualità, persone serie che si dedicano con passione al lavoro, ma lascia passare anche gli analfabeti e i lavativi. Gli uni e gli altri, dopo l’ingresso, non vengono più distinti. Ora scioperano, perché si sentono penalizzati e non vogliono mollare un tallero. Dicono che i tagli previsti dal decreto governativo sono “punitivi”. Forse credono che quelli rivolti ad altri lavoratori siano, invece, premianti. Il ministro della giustizia, Angelino Alfano ha bollato come esclusivamente politica la loro protesta, perché non si vede come possano quelle toghe, già privilegiate, chiamarsi fuori da uno sforzo che le colpisce meno di altre categorie. Ma, forse, neanche l’Associazione Nazionale Magistrati ha tutti i torti, affermando che lo sciopero non è politico. Difatti, è corporativo. Inoltre, che un ordine dello Stato scioperi è anche inquietante. Il loro caso, però, non è affatto isolato.
Tanto per rimanere nello stesso settore, l’altra parte delle toghe, gli avvocati, si stanno battendo per imporre la loro presenza anche dove non è indispensabile (per esempio nelle conciliazioni) e per imporre tariffe minime. Essi stessi, quindi, considerano il ricorso all’avvocato non un diritto (com’è e deve restare), ma un dovere, per giunta oneroso e tabellarmente fissato. Il cittadino, alla fine, paga entrambe le toghe, per poi attendere anni d’avere una qualche risposta.
A fronte di ciò, il legislatore cosa fa? I problemi più urgenti sono aperti da anni, talché ci vuol fantasia per considerarli realmente urgenti. Si procede dando un colpo al cerchio e uno alla botte, con una produzione legislativa enorme, ma pulviscolare, destinata a scassare qualsiasi cosa, nella pretesa di farla funzionare senza riformarla. Ultimamente è impegnato in una lunga e demenziale battaglia sulle intercettazioni, al termine della quale (accetto scommesse) cambierà poco e niente, ma si sarà evitato di parlare di ciò che serve.
Riassunto: ciascuno combatte per la saccoccia propria e il cittadino ne subisce le conseguenze. Solo che c’è un limite, difficile da valutare e fissare, ma c’è. Finché ciascuno poteva pasteggiare alle spalle altrui, facendo tutti finta di condannare il debito pubblico così generato, la baracca si reggeva e, anzi, produceva anche felicità, ma non appena si è costretti a togliere qualche cosa a qualcuno la reazione si fa rabbiosa e s’indirizza, inevitabilmente, verso quelli che ancora approfittano. Di ciò, purtroppo, non c’è coscienza, altrimenti non si spiega come faccia la classe politica, per prima, a non capire che la propria condotta è propedeutica alla sommossa.
Nessuna persona ragionevole crede che togliendo qualche migliaio di auto blu dalla circolazione, facendo cessare i doppi incarichi o tagliano i privilegi parlamentari, si risparmi in modo significativo. Ma è difficile accettare tagli collettivi da gente che non rinuncia neanche a ciò che è disgustosamente inutile. Avete visto le immagini della festa quirinalizia per il 2 giugno? una sfilata di soddisfatti d’esserci, che discendono da macchine con autista. Come fanno a non capire che, così andando, si ritroveranno i forconi sotto casa? Non lo capiscono perché credono che i privilegi siano loro dovuti, se ne sentono meritevoli, li considerano naturali. Come i magistrati che scioperano, come gli avvocati che pretendono di conoscere l’interesse del cliente meglio di lui stesso. Non ci arrivano, anche s’offendono, perché pensano che il futuro non sia altro che la proiezione ingrandita del loro passato.
Ora, per favore, mettetevi nei panni di una partita iva, di uno di quei lavoratori che sono stati blanditi, quasi fossero la vera speranza d’Italia e che, in realtà, erano, in gran parte, persone che avrebbero volentieri accettato un lavoro dipendente, se solo qualcuno glielo avesse offerto. Non hanno mai preso lo stipendio, ma emesso fattura, al loro unico cliente, o ai due che si ritrovavano. Quando il cliente s’è trovato in difficoltà non li ha licenziati, visto che non li aveva mai assunti, li ha solo salutati. E così, dalla sera alla mattina, si sono trovati con il sedere a terra, mentre sui giornali leggono dei meravigliosi “ammortizzatori sociali”, di cui non godono, come leggono del fisco, cui dovranno dare tutto quel che chiede, entro novanta giorni, perché, e che cavolo, è finalmente cominciata la lotta all’evasione fiscale! Siete entrati in quei panni? Bene, ora guardate i tagli al finanziamento dei partiti, annunciati per il 50% e ridotti, forse, al 10; prendete il tira e molla, dove prevale il molla, sulle province, e relativi incarichi elettivi; mettete in conto la pensione ritardata per alcuni, che loro, comunque, non prenderanno mai; aggiungete la scena dei magistrati, straprotetti e strasicuri, che vengono ricevuti dal governo e che si tenta di non far arrabbiare troppo, e, ditemi, non vi pare sensazionale che questa gente stia ancora ad ascoltare, che non abbia ancora deciso di mandare tutti a quel paese?
Ciò capita perché la nostra spesa pubblica, il nostro stato sociale, ancora alimenta anche i loro consumi, perché ciascuno si trova in famiglie e zone irrigate da quei quattrini. Ma non può durare, perché i mercati ci prestano il denaro con crescente diffidenza, quindi la pacchia diventa costosa e la fonte si prosciuga. E qui voglio arrivare: in questi giorni si fanno gran titoloni sullo sciopero dei magistrati, che è irrilevante, che non cambia nulla, mentre della rabbia degli esclusi si parlerà solo quando non avremo più i soldi per mantenerli. E sarà un filino tardi.
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