martedì 5 aprile 2011

Terno secco. Davide Giacalone

Fa orrore anche la sola ipotesi che si possa continuare così come ci si trascina da sedici anni: le procure provano in tutti i modi a far fuori Silvio Berlusconi, senza mai riuscire a condannarlo e senza scalfirne il consenso elettorale (anzi, divenendo una specie di suo elisir di lunga vita), e la maggioranza ritenta ancora di intaccare il potere delle toghe, senza riuscire a ottenere altro che l’osceno saldarsi degli interessi corporativi con il vuoto politico dell’opposizione (anzi, divenendo la scusa che la magistratura usa per opporsi a qualsiasi riforma). Da troppi anni i due fronti si reggono e giustificano a vicenda, mentre è l’Italia a vivere sotto ricatto.

Le proposte di riforma costituzionale, sempre in tema di giustizia, approvate dal consiglio dei ministri, sono buone e potrebbero divenire ottime. Ma all’auspicabile dialogo istituzionale, possibile e necessario in un Paese che ha la peggiore giustizia del mondo civile, s’è subito sostituita la solita rissa dissennata, alimentata dalla rabbiosa voglia di cancellare l’interlocutore. I tre appuntamenti di questa settimana incarnano il dramma, il terno secco con cui la legislatura si gioca la vita: 1. processo Ruby; 2. conflitto d’attribuzione; 3. processo breve.

Il processo Ruby (lo chiamo così per brevità, ma non senza disagio) è l’ennesimo capitolo dell’assalto giudiziario, con un impressionante dispiegamento di mezzi, su quella che resta una miseria da postribolo. Non c’è un solo italiano che non ne abbia compreso la trama scontata, mentre auguro ai moralisti da tre palle un soldo di provare, almeno, un’ombra d’imbarazzo. Un processo in cui la parte lesa è testimone della difesa, la fanciulla indotta all’impurità sembra poter dare lezioni sulla medesima e il funzionario concusso non ha mai avvertito d’essere tale. Eppure è un processo che lacererebbe le carni di qualsiasi governante, compromettendone l’autorevolezza interna e la credibilità internazionale. Laddove, all’evidenza, i costumi che colà saranno giudicati è dubbio siano reato, ma è sicuro che sono incompatibili con la funzione.

A tale processo si lega il secondo appuntamento, con la Camera che stabilirà se chiedere alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sul conflitto d’attribuzione. So che si tratta di materia, al tempo stesso, complicata e superflua, sicché è facile mandare tutti a ramengo. Ma se vi resta un briciolo di pazienza, seguitemi. Il concetto è questo: se Berlusconi agì da privato cittadino è competente il tribunale nel cui territorio il presunto reato è stato commesso, ma è esclusa la concussione, possibile solo nel caso in cui abbia agito da pubblico ufficiale, nel qual caso è competente il tribunale dei ministri. La tesi del centro destra è la seconda, quindi chiedono che il processo si sposti in quella sede. Singolare, perché comporta la compromissione della figura istituzionale e la rivendicazione di non totale lucidità, affermando che la fanciulla si credeva effettivamente fosse la nipote di un capo di Stato. Insomma: la classica tesi difensiva che, solitamente, si supplica il proprio avvocato di non adottare.

Se la Camera voterà per il sollevamento della questione non per questo il procedimento sarà automaticamente sospeso. Ma faccio una previsione: si andrà avanti per le prime sedute, si faranno i primi interrogatori a base di brache, o quel che ne restava, poi si sospenderà, in attesa che la Corte consumi gli otto o nove mesi necessari per decidere (nel corso dei quali potrebbero cambiare due presidenti, ma di questo ci occuperemo presto). A occhio e croce, il massimo del danno, perché l’unica condanna di questo processo è il fatto che si tenga.

Infine c’è il terzo appuntamento, quello con il processo breve, dopo i pasticci procedurali combinati la settimana scorsa. In questo caso, dicono gli avversari di Berlusconi, l’obiettivo è quello di far morire anticipatamente il processo Mills, mediante l’emendamento all’articolo 4-bis (presentato da Maurizio Paniz, avvocato e parlamentare del centro destra). Siamo alla tragicommedia. Se passasse quell’emendamento, che accorcia la prescrizione per gli incensurati (con arditezza costituzionale), se si varasse la legge e se si applicasse al processo Mills (se, se, se) il “guadagno” sarebbe di quattro mesi. Un’inezia. Il processo Mills è già morto, già prescritto, non ha nessuna possibilità al mondo di arrivare a sentenza definitiva. Inoltre è un mostro, perché per un reato a concorso necessario (non può esserci un corruttore senza un corrotto, e viceversa) i due soggetti sono stati processati separatamente. Follia. Com’è folle il dibattito politico, perché la lentezza esasperante e incivile della nostra giustizia non è un’opinione, ma un fatto. Porvi rimedio non un opitional, ma un obbligo. Salvo che con quella legge non si sveltiscono le procedure, ma troncano i procedimenti.

Ecco l’orrore: chiunque non sia pazzo sa che la nostra giustizia deve essere rivoluzionata; chiunque non sia fazioso nel midollo sa che le proposte costituzionali del governo sono ragionevolissime; ma tutti vediamo che nel soqquadro morale, politico e istituzionale la voglia di ficcare il pugnale nel costato altrui prevale sulla necessità di offrire agli italiani un risultato accettabile. Bene, ora godiamoci la settimana.

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