L’Italia s’appresta a sopprimere la golden share, introdotta da una legge del 1994, anche perché in tal senso sollecitata dall’Unione Europea. Ma quell’“azione d’oro” fu solo una dorata fregatura, una presa in giro, se non una truffa. Fu il monumento all’incapacità della politica italiana, nella sua nuova versione, nata dalla falsa rivoluzione, non solo di affrontare i problemi del mercato, ma anche d’essere trasparente e conseguente.
L’originaria funzione della golden share non era quella di impedire le scalate delle società pubbliche consegnate alla quotazione, mediante un veto del governo, che la deteneva, bensì quello di garantire i risparmiatori investitori che sarebbero state rispettate le condizioni che il governo stesso aveva posto per la privatizzazione. Non solo non è stato così, ma, come nel caso di Telecom Italia, è successo l’esatto contrario, con il governo che ha mancato di parola e di credibilità, danneggiando le casse pubbliche, i risparmiatori ed una società, la Telecom, che ancora oggi s’appresta a cambiare assetto proprietario.
Qualche data e qualche numero, tanto per capirci. Nel 1997 il governo Prodi vende il controllo di Telecom Italia per 11,82 miliardi. Quattro anni dopo l’Enel, una società posseduta dallo Stato, che gestisce un monopolio, compera Infostrada impegnandosi a spendere 11 miliardi, a favore di Vodafone (ne pagherà 7,5, ma non per proprio merito). Insomma, a cifre equivalenti lo Stato vende un grattacielo per acquistare una cabina al mare. Che senso ha? Possibile che un simile passaggio non abbia destato ogni tipo di sospetto?
Infostrada, a sua volta, teneva in corpo la rete telefonica delle Ferrovie dello Stato, che era stata venduta, sempre nel 1997, alla Olivetti, per 700 miliardi di lire, pagabili in quattordici anni. L’anno successivo Olivetti vende la stessa rete a Mannesmann, per 14 mila miliardi di lire, da pagarsi immediatamente.
Bastano queste poche cifre per rendere evidente che con quel tipo di privatizzazioni lo Stato ci ha rimesso una montagna di quattrini. Montagna che è mancata nel far diminuire il debito, la cui imponenza ancora ci pone in grave difficoltà con l’Unione Europea.
E non è finita: al momento della vendita delle azioni di Telecom Italia il Governo disse che era stato trovato un partner internazionale, la AT&T, e, in effetti, due consiglieri d’amministrazione, nominati dal Ministero del Tesoro, furono assegnati ai soci stranieri. Quella partnership era parte stessa del valore delle azioni che venivano vendute ai risparmiatori. Ma solo pochi mesi dopo si scopre che quell’accordo non c’è mai stato, che AT&T non intende investire in Italia. Ma, allora, cosa hanno fatto, per mesi, quei due consiglieri d’amministrazione, seduti nel board di una società concorrente?
Ancora oltre: al momento della cessione del controllo il governo stabilì che la nuova società doveva essere una public company, e che nessuno ne avrebbe dovuto possedere, allora e per il futuro, più del 3 per cento, altrimenti si sarebbe utilizzata la golden share, per impedire che un solo proprietario dominasse la società. D’Alema, presidente del Consiglio, nel dare il determinante appoggio alla scalata di Colaninno, criticò pesantemente il fatto che la Fiat, per il tramite dell’Ifil, poteva avere un ruolo dominante possedendo solo lo 0,6 per cento del capitale Telecom ed a Colaninno fu consentito di lanciare un’Opa, superando alla grandissima il 3 per cento. Il governo applaudì (e spiace ricordare che Carlo Azelio Ciampi si unì al tradimento degli impegni presi). Successivamente, però, si è considerata Telecom Italia come una proprietà di Pirelli, che ha acquistato, fuori Borsa, senza alcuna tutela per i diritti dei piccoli azionisti, meno dello 0,3 per cento del valore di Telecom Italia. Ed oggi, dopo avere varato la fusione fra Telecom e Tim, essendo in forte ed insanabile squilibrio dei conti, è ancora una volta in cerca di un assetto futuro, con una diversa proprietà.
Ecco, questa è la storia della fregatura d’oro, data all’intero sistema-Italia. Ragion per la quale ai funerali della golden share non ci saranno le masse, ed i pochi partecipanti potranno solo festeggiare.
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