mercoledì 30 novembre 2005

Survey sul modello Danimarca. Stefano Cingolani

Il 20% vive di sussidi pubblici

Sa bene di quel che parla Romano Prodi, la flexicurity del resto, ha conquistato Bruxelles durante gli anni in cui il Professore era mr. Europa. Se ne sono innamorati soprattutto i paesi piccoli, ha cercato di imitarla l’Olanda e l’Austria, dal primo gennaio presidente di turno della Ue, vuol metterla in cima alla sua agenda. Non siamo così sicuri che sappia altrettanto bene di quel che parla Giorgio Cremaschi il quale minaccia uno sciopero generale al giorno se il centro-sinistra proverà a seguire il modello danese. Secondo il leader rifondarolo dei metalmeccanici, è l’ultima variante del solito modello neoliberista e si basa sulla libertà di licenziare un operaio con tre giorni di preavviso, senza buona uscita. Al confronto, la riforma dell’articolo 18 era socialista (anzi giapponese perché il posto a vita c’è, o meglio c’era, solo nell’impero del Sole).
Le cose non stanno così. Cremaschi metterebbe cento firme in bianco se il futuro governo di centrosinistra varasse una legge secondo la quale un operaio licenziato può ricevere una indennità pari al 90% del proprio stipendio per quattro anni. Negli ultimi vent’anni i danesi in età lavorativa che vivono di sussidi pubblici sono arrivati a un milione, pari al 20% della popolazione. Nell’insieme, il 61% degli adulti in Danimarca vive di trasferimenti o è occupato nel settore pubblico. Il sogno dei disoccupati organizzati di Napoli.

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