lunedì 14 novembre 2005

Questo sindacato aiuta i forti e snobba i deboli. Benedetto Della Vedova

“A me pare anche di vedere un mondo di garantiti che, impugnando i diritti dei non garantiti, li fottono e li tengono alla larga dalle redazioni”, parole grosse, che vengono dal direttore di un giornale politically correct come “Europa”, organo della Margherita. Si parli di giornalisti o di pubblico impiego o di impiego privato, il potere del sindacato in Italia costituisce un’anomalia perversa.
Perché da noi, il paese più sindacalizzato al mondo, la “costituzione materiale” ha assegnato alla trimurti un potere costituzionalmente abusivo. Una politica tremebonda di fronte alle piazze traboccanti di scioperanti convocati con ingente dispiego di mezzi, assegna alla trattativa con i sindacati un’importanza superiore a quella del confronto politico interno alle coalizioni e tra coalizioni. Che si ascoltino i sindacati sulle questioni del lavoro, anche in senso lato, va benissimo. Altro conto è “negoziare”. Altrimenti, come diceva il compianto Presidente della Consulta Vincenzo Caianiello a proposito della concertazione, “il Parlamento si riduce a mettere un timbro su decisioni prese altrove”.La concertazione prevede un ruolo importante anche per la Confindustria, che non sciopera e non riempie le piazze ma ha buoni mezzi - di stampa, per esempio - per fare pressione. Il ruolo è diverso, ma è chiaro che noi vorremmo un disarmo bilaterale: meno sindacato ma anche meno Confindustria.Torniamo al punto: un ruolo anomalo, quello del sindacato, ma soprattutto perverso. Nessuno disconosce meriti storici al movimento sindacale o prefigura una situazione in cui non vi sia spazio per le organizzazioni dei lavoratori: qui si discute di altro.
Oggi il sindacato, rigonfio di pensionati e dedito alla politica, non è strumento di lotta per l’emancipazione e la promozione dei lavoratori più deboli o dei disoccupati, ma una pietra angolare su cui si sta costruendo una società duale. Il sindacato difende oltre il ragionevole chi ha già - articolo18, pensioni di anzianità, cassa integrazione - ben sapendo che i costi di queste rigide garanzie si scaricano sui più deboli: a partire dei giovani che faticano a trovare contratti di lavoro standard o che non trovano lavoro punto e basta o che avranno pensioni da fame.Ma la perversione sta anche in settori cruciali come quello della scuola, sfiancata da decenni di contratti sindacali pensati sempre e soltanto in funzione nella scuola lavora e mai in funzione di chi dovrebbe imparare. Nella scuola è massimo il contenuto “assicurativo” nell’accezione usata da Pietro Ichino: stipendio basso ma garanzia assoluta del posto di lavoro fino alla pensione e senza alcun premio al merito individuale. Una pazzia in un settore cruciale come quello dell’istruzione, dove massima dovrebbe essere l’attenzione alla qualità dei docenti.
Si potrebbe parlare di molto altro, compresi i finanziamenti pubblici ai patronati, le trattenute sulle pensioni effettuate dall’Inps e i fondi per la formazione malamente utilizzati.Il fatto è che in Italia esiste, grande come una casa, una “questione sindacale” di cui nessuno sembra volersi fare carico. Il centrosinistra non potrebbe per ragioni di scambi elettorali e di sostanziale omogeneità politico culturale. Spetta ad un centrodestra che voglia essere paladino di riforme e libertà, prendere di petto il sindacato. La Thatcher lo fece tanti anni fa, con benefici enormi per il suo paese e per il “delfino” Tony Blair. I tempi sono cambiati, certo, ma da noi la questione resta. I sindacalizzati sono tanti e visibili; ma coloro, a partire dai giovani, che ne subiscono lo strapotere sono di più.

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