La viltà è il desiderio, sempre e comunque, di sfuggire al pericolo. La viltà è il desiderio di non portare mai il peso delle proprie azioni. Giorgio Napolitano è un vile, talmente pieno di sé da consegnare alle stampe un’autobiografia (“Dal Pci al socialismo europeo”, Laterza) che lo documenta. Scrivo questo senza nessuna soddisfazione, anzi, con molto rammarico, perché Napolitano è un uomo cui guardammo con interesse, sperando in un possibile, e sempre necessario, dialogo a sinistra. Non immaginavo quanto profonda fosse la malattia morale indotta, nel comunismo italiano, dalla lunga pratica della doppia verità.
La raccolta delle proprie memorie, quando si raggiunge una certa età (l’autore ha superato gli ottanta anni, ed è anche stato nominato senatore a vita), può essere un atto di generosità. Lo sforzo di rileggere gli eventi e le passioni alla luce di una maturazione giunta a compimento. La voglia di cogliere la verità dei fatti, al di là delle interpretazioni di comodo. Ma per vergare pagine di questo tipo occorre un coraggio ed un’onesta che a Napolitano mancano. Il lettore, in un certo senso, viene messo sull’avviso proprio alla prima pagina, dove si trova scritta una strana frase: “Parlo della storia –tra il 1944 e il 1991- della sinistra italiana e del suo maggiore partito, collocato nel movimento comunista internazionale e poi distaccatosene attraverso un tormentato sforzo di ricerca e di revisione”. E’ strana perché il lettore ha come l’impressione che sia esistita una storia di rottura fra il comunismo italiano e quello sovietico, o internazionale, mentre, invece, i comunisti italiani tennero un congresso a Roma, nel marzo del 1989, dove ancora rivendicarono con orgoglio di essere il “grande Partito Comunista Italiano”, e cambiarono nome, non cambiando altro che il nome, un anno dopo, con il congresso di Bologna. Fu la storia a trascinarli, non certo loro a precederla, avendone compreso il percorso. Ciò significa che le vicende raccontate da Napolitano riguardano, per quarantasei quarantasettesimi il Pci, mica quella circonvoluta roba che si legge nella prima pagina.
Andando avanti, pagina dopo pagina, vicenda dopo vicenda, ci si rende conto che Napolitano è un maestro di dissimulazione ed omissione, del dire e non dire, senza mai affondare il coltello della critica, dell’analisi originale, di un dietro le quinte che non riguardi inutili episodi tratti dalle vacanze capresi di Togliatti. E la viltà raggiunge la sua monumentale consistenza quando si arriva al tema dei finanziamenti sovietici al Pci. Una storia interessante, tutta da scrivere, e che Napolitano deve conoscere assi bene, perché fu giovane influente inviato in missione a Mosca, perché fu responsabile organizzativo del Pci, ne fu vice segretario, fu responsabile economico e fu responsabile della sua politica estera. Una testimonianza interessante, la sua.
Ma tutto si riduce ad una pagina, una pagina, la 173. Una pagina su 331. Ed in quell’unica pagina mente. Mente perché, con il tono delle grandi rivelazioni, scrive che i comunisti italiani furono finanziati da quelli sovietici, poi, però, si nasconde dietro le parole di Gianni Cervetti (“L’Oro di Mosca”, Baldini & Castoldi, pubblicato nel 1993) per affermare che quei finanziamenti furono interrotti, per volontà di Berlinguer, Chiaromonte e Cervetti, nel 1978. Il che è falso. Totalmente falso.
E’ falso perché lo ha documentato Vladimir Bukovskij (un dissidente che se ne stava nei Gulag, mentre Napolitano ed i suoi compagni riscuotevano i soldi sporchi di sangue, elargiti dalla medesima mano che edificava i campi di concentramento), che ha raccolto documenti importanti e non smentiti (“Gli archivi segreti di Mosca”, Spirali), ed alcuni di questi riguardano la Interexpo, società guidata dal “compagno L. Remigio”, per il tramite della quale, nel 1983 il Pci chiede a Mosca “ulteriori finanziamenti”. Prego osservare la data, 1983, ed il non secondario “ulteriori”. E li ebbero, giacché quelli sono gli anni in cui i comunisti italiani sono impegnati a colpire la sinistra democratica italiana, rea di avere consentito alla giusta scelta di schierare i missili nucleari occidentali, contro gli SS20 sovietici. Sono gli anni in cui vestono una delle loro giubbe “pacifiste”. La pace di Gulag, solo appena più operosa di quella dei cimiteri.
E’ falso perché lo ha documentato Giuseppe Averardi (“Le carte del Pci”, Piero Laicata Editore), utilizando appunti e note di Eugenio Reale e descrivendo il meccanismo di finanziamento illecito che utilizzava una fitta rete di società d’intermediazione (come la Interexpo, appunto), che non intermediavano un bel nulla ma riscuotevano tangenti per i comunisti italiani.
E’ falso perché il magistrato russo Sergej Aristov parla di finanziamenti giunti fino al 1991, così come risulta da un documento datato 17 gennaio 1898, classificato come rigorosamente segreto e destinato a Vladimir Chruscev, uno dei capi del Kgb, un documento intitolato: “Aiuti finanziari supplementari per il Pci”. Prego notare la data, 1989, ed il suggestivo “supplementari”. Di tutto questo ha mai sentito parlare, l’onorevole Napolitano? Lo sa che Aristov aveva chiesto l’assistenza e la collaborazione di Giovanni Falcone, e che questo era l’incontro in programma al suo rientro a Roma, se non lo avessero ammazzato a Capaci? Ha mai letto niente, di tutto questo, l’onorevole Napolitano? Riesce ad immaginare cosa si sarebbe scritto e fatto se al rientro a Roma Falcone avesse dovuto incontrare Aristov per scandagliare le amicizie di Andreotti o i conti di Craxi?
Certo, so che queste cose non si leggono spesso, talché io stesso, scrivendole, mi conquisterò il compatimento di chi m’immagina giapponese renitente all’armistizio, in guerra contro comunisti immaginari che esistono solo nella mia malata fantasia ed in quella corrotta da Arcore. Capita, difatti, che la grande forza dei preti senza più un dio, dei comunisti senza più comunismo, ancora si esercita sul mercato italiano delle idee e delle conoscenze, complice una destra di analfabeti d’andata e ritorno. Ma Napolitano è uomo di cultura, di buone letture, è escluso che ai suoi occhi non siano mai comparse queste notizie, e, allora, perché non commentarle, perché non smentirle, perché tenere tutto in una ridicolissima e rivelatrice pagina? Per viltà. Perché il passato che questi uomini hanno alle spalle fa così orrore, copre ancora le grida delle vittime, da non consentire loro di guardarlo in faccia senza perdere la capacità di guardarsi in faccia. Quindi meglio affidarsi ad un linguaggio che avrei definito democristiano, se non fosse che non conosco un solo democristiano che abbia da tacere tanto sul passato proprio e dei propri compagni di partito.
Altri uomini, altri comunisti, come Giovanni Pellegrino, hanno avuto la forza ed il coraggio di rimestare criticamente nella nostra storia recente, non si sono autorisparmiati, pur compiendo lo sforzo di collocare i propri comportamenti nel clima e nel contesto in cui i fatti si svolsero. Il capitolo dei finanziamenti sovietici ai comunisti italiani è uno di quelli senza il quale non si è in grado di capire nulla, né del dibattito politico nella sinistra, né della storia italiana del dopoguerra. Ma, evidentemente, al contrario di quel che Pellegrino ha fatto per gli anni del giustizialismo, queste altre sono cose di cui è ancora difficile e pericoloso rivelare dimensioni reali e complicità taciute. Alcuni canali di scolo dei dollari russi ancora non si sono prosciugati. O, comunque, non è compito che abbia assolto la debole penna di Grigio Napolitano.
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2 commenti:
perchè non lo hai scritto a suo tempo se sapevi? perchè non hai denumciato in prima persona questi fatti criminosi? dove eri nascosto tu? Hai appreso da Noapolitano?
addirittura.. nei confornti di napolitano occorre prima denunciare per poi affermare la sua colpevolezza.. perchè non è cosi per tutti?? perchè molti invece sono gia colpevoli prima ancora di essere giudicati, prima ancora di essere processati, prima ancora di essere indagati.. sinistra = incoerenza!
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