Un sistema regionale e uno federale. Così si accontenta anche la Consulta
La Corte costituzionale ha bocciato un aspetto formale della norma con la quale si imponevano risparmi agli enti locali. La legge chiedeva loro di non eccedere nelle spese per consulenze esterne, missioni all’estero, relazioni pubbliche eccetera. La Corte ha reputato questa un’“inammissibile ingerenza nell’autonomia degli enti quanto a gestione della spesa”. Sarà “inammissibile”, ma sembra di buon senso prescrivere che i risparmi necessari non si facciano sulle spese indispensabili o sui servizi sociali, ma sulle attività che servono prevalentemente alla propaganda delle amministrazioni o al foraggiamento di clientele già denunciato, tra gli altri, da Piero Fassino.
Il problema di fondo è sempre lo stesso, la finanza “derivata”, cioè emanata dallo Stato, delle Regioni e degli enti locali, che risale alla legge Visentini. E’ urgente passare a un sistema che porti le autonomie a finanziarsi con tasse proprie, in modo che i cittadini contribuenti possano valutare più da vicino l’impiego delle risorse. Insomma, servono due fischi, uno federale (statale) e uno regionale. E’ quel che si chiama federalismo fiscale. Bisogna che gli amministratori non spendano più denaro che non hanno, per poi lamentarsi dell’avarizia del governo. Qualche compensazione per le Regioni più povere può servire a equilibrare il sistema, che però deve essere basato soprattutto sulla responsabilizzazione degli amministratori, che oggi sono ridotti nelle condizioni di postulanti lamentosi e spesso spendaccioni. Se questo fosse l’effetto della sentenza puntigliosa della Consulta, non sarebbe male.
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