lunedì 2 luglio 2007

Uso e abuso della carcerazione preventiva. Domenico Giugni e Giuseppe Giliberti

Le cronache delle ultime settimane hanno segnato il ritorno sulle prime pagine dei giornali dei casi giudiziari più discussi degli ultimi tempi. I verbali degli interrogatori di Stefano Ricucci hanno offerto spunto per rilanciare la caccia ai suoi eventuali sponsor politici, con reciproche accuse, da destra e da sinistra, di aver patrocinato le disinvolte scalate del finanziere romano. Quasi contemporaneamente veniva scarcerato, con molto meno clamore rispetto ai giorni dell'arresto, il consulente della commissione Mitrokhin Mario Scaramella, accusato di calunnia e violazione del segreto di Stato. Infine il fotografo Fabrizio Corona, che dopo mesi di carcere a Potenza e a Milano già da qualche tempo si era visto riconoscere il beneficio degli arresti domiciliari, è stato restituito alla piena libertà.

Fuori dal clamore delle varie vicende sottese a questi tre casi, che hanno suscitato la grande curiosità mediatica, merita oggi di essere approfondito un aspetto peculiare che li accomuna tra loro e li lega anche a tante storie meno note: l'enorme durata della carcerazione preveniva cui gli indagati sono stati sottoposti. Stefano Ricucci è stato a Regina Coeli per quasi tre mesi, eppure su di lui pendeva semplicemente l'accusa di aggiotaggio, che, in ogni caso, difficilmente lo porterà in carcere dopo il processo, perché i fatti di cui è accusato sono coperti da indulto. L'indagine per la presunta calunnia aggravata nei confronti di un ufficiale ucraino è addirittura costata a Mario Scaramella una detenzione preventiva di sei mesi, che è probabilmente la più lunga della storia per un reato di questo genere. Ha invece sfiorato i tre mesi la detenzione di Fabrizio Corona, che peraltro, dopo l'arresto, ha man mano visto cadere le più importanti ipotesi accusatorie nei suoi confronti.

A fronte di queste carcerazioni record, risuona l'eco sinistra di una frase pronunciata proprio da Stefano Ricucci nei giorni della sua detenzione: «Direi di tutto per uscire di cella!». E' chiaro, infatti, che i tre personaggi coinvolti nelle vicende richiamate non hanno commesso reati gravi e non esprimono una minaccia alla regolare convivenza sociale. Né può ritenersi, senza immaginare un'inspiegabile inerzia degli inquirenti, che il pericolo di inquinamento delle prove si sia protratto così a lungo, per tutto il periodo della detenzione. A dispetto di ogni regola di procedura penale, la durata della carcerazione preventiva non è, quindi, proporzionata alla gravità del reato, alla pericolosità sociale del presunto colpevole o all'effettiva sussistenza del pericolo di inquinamento delle prove. E' piuttosto legata al tentativo del magistrato di estorcere ad un indagato sfiancato da mesi di carcere una confessione o, meglio, delle dichiarazioni accusatorie nei confronti di terze persone.

La vera colpa di Ricucci, Corona e Scaramella, quella che in definitiva ha tenuto tutti e tre in carcere così a lungo, è stata con ogni probabilità quella di non aver immediatamente riferito agli inquirenti le esatte parole che volevano ascoltare. Non è allora retorico domandarsi quanto tempo può essere necessario ad un comune indagato per venir fuori dall'incubo del carcere preventivo, senza il clamore mediatico che ha affiancato questi casi.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

"La vera colpa di Ricucci, Corona e Scaramella, quella che in definitiva ha tenuto tutti e tre in carcere così a lungo, è stata con ogni probabilità quella di non aver immediatamente riferito agli inquirenti le esatte parole che volevano ascoltare."
E andiamo avanti così,
"CON OGNI PROBABILITA'"!!...
invece di dare opinioni come le danno i giornali di sinistra potreste fare uno sforzo per diventare giornalisti seri?
I FATTI DOVE SONO?
possibile che questi pupazzi forzaidioti non pubblichino le carte, tra l'altro pubbliche, degli atti processuali prima di tirare fuori opinioni del piffero???

maurom ha detto...

Ne riparliamo dopo gli eventuali processi.
Una cosa è certa: la carcerazione preventiva ha le sue regole che vanno rispettate.

Anonimo ha detto...

ed è proprio qui che ti sbagli: per la carcerazione preventiva in tutti e tre i casi sono state rispettate le leggi(altrimenti potrebbero essere denunciati i giudici che hanno abusato: mi chiedo perchè non lo fanno i tre indagati se fosse vero?)mentre i signori della "ragionsilviopolitica" si basano su supposizioni senza citare gli atti (di rinvio a giudizio, di carcerazione ecc)
ripeto quando ci saranno meno giudizi e più documenti citati?
"E' chiaro che non hanno commesso reati gravi,.. non esprimono una minaccia alla regolare convivenza sociale, pericolo di inquinamento di prove si sia protratto così a lungo...proporzionata alla gravità del reato"
ma in base a cosa? alle vostre supposizioni? avete letto le carte processuali,potete svelarci il loro contenuto?
i soliti opinionisti di strada, da bar dello sport...

Anonimo ha detto...

mi presentai volontariamente in questura,mi si contestava un ipotetico reato di detenzione di stupefacente,proclamavo la mia innocenza,dopo 8 mesi in primo grado il giudice mi condanna a 6 anni di carcere e mi rigettava gli arresti domiciliari senza tener conto che mi presentai spontaneamente (che significa che non esisteva la pericolosità di fuga)senza prove ne certezze ma ricorrendo al sovrano principio del libero convincimento, dopo tre mesi dalla condanna il giudice tramite il mio avvocato mi manda un messaggio:"se ammetti il reato ti concedo gli arresti domiciliari"dopo 9 mesi passati in un carcere sovraffollato col rischio imminente di essere trasferito laddove economicamente la mia famiglia non aveva la possibilità di venirmi a trovare in caso di trasferimento lontano dal mio luogo di residenza, mia moglie che doveva operarsi di un ernia strzzante,4 figlie minori d'età di cui l'ultima di solo 2 anni e mezzo,e l'unica possibilità di riabbracciare le mie figlie era quello di ammettere un reato non commesso,al finale ho ammesso il reato,mi concsse gli arresti domiciliari,e mi ritrovo marchiato a vita per un reato da me non commesso.