Il cittadino che incorre in un errore formale, che ritarda a pagare il dovuto, che dimentica di ricorrere per tempo, che tradisce un appuntamento fissato dallo Stato, non lo salva nessuno e cade direttamente nel tritacarne delle sanzioni, delle punizioni o della perdita dei diritti. Hai voglia a dire che si tratta di una questione formale, che avevi tutte le migliori intenzioni e che si deve badare alla sostanza. Nisba, hai torto e paghi. Se lo piantino bene in testa, i vertici del centro destra, se lo stampino sulla fronte, perché è vero che s’è trovato un rimedio ai loro stessi errori, è vero che cancellare una parte politica dalle schede sarebbe stato un colpo ai danni degli elettori, ma è anche vero che l’hanno combinata davvero grossa e che, adesso che sono tornati in pista, occorre che forniscano qualche valida ragione per essere sostenuti.
Certo, c’è sempre la stessa: basta ascoltare le parole fascioinsurrezionali di Antonio Di Pietro, valutare l’insipienza di una sinistra che dissente da lui (credo solo perché c’è di mezzo il Presidente della Repubblica, altrimenti non saprebbero fare altro che dire le stesse identiche cose), ma poi sfila al suo fianco, mettere sulla bilancia anche l’Italia massacrata da inchieste giudiziarie che sventrano tutto e non dimostrano nulla, e ci si convince che vale la pena rinnovare la fiducia alla maggioranza che ha vinto le scorse elezioni politiche. Ma ci si convince sempre meno, con il voto che non sempre è sinonimo di fiducia. Detto in modo diverso, una democrazia non può funzionare votando sempre contro: a sinistra perché si è contro Berlusconi e a destra perché si è contro chi è contro Berlusconi. Non se ne può più. Una democrazia ha bisogno di votare a favore di qualche cosa.
Mancano tre settimane al voto regionale. Ho i miei dubbi che la campagna elettorale riesca a prendere la via dei programmi e delle proposte concrete. Dubito anche che a qualcuno interessi, perché a forza di campare “contro” crescono la noia e il disincanto. Eppure non c’è alternativa al ridare dignità alla politica, non c’è alcuna ricetta risolutiva che prescinda da una politica vera. La campagna elettorale, per la maggioranza come per l’opposizione, si svolga, allora, all’insegna del dopo: che ne facciamo, del tempo che rimane? Che significato diamo ad una legislatura già avviata sul binario morto del “vorrei ma non ci riesco”? E, vista l’eccelsa qualità delle prove date, in questi giorni, siamo proprio sicuri che le classi dirigenti regionali siano le più adatte a prendere in mano le sorti di un federalismo cui tutti s’inchinano, nessuno vuole avversare, ma neanche è capace di descrivere e definire?
Anche in questi giorni di polemiche infuocate, di scontri sul valore delle regole e sull’essenza stessa della democrazia, abbiamo provato a mantenere la capacità di ragionare sui temi concreti, dall’economia alla giustizia, dal lavoro alle intercettazioni. Su queste pagine ne abbiamo scritto, ma la politica ha totalmente ignorato. La ragione è triste: manca una classe dirigente degna di questo nome. Manca a destra e manca a sinistra, manca in politica come manca nel mondo produttivo o in quello culturale. Manca perché s’è uccisa la politica, quella vera, fatta d’interessi, certo, ma organizzati in idee e programmi. E la cosa che più temo è che si abbia in animo di reagire non tornando alle idee e ai programmi, agli interessi e ai sogni, ma cercando si sopprimerne meglio la presenza. Non è solo un errore, è un terribile abbaglio, come far da diga con un canotto.
La sinistra ha grandi responsabilità, perché incapace di costruire un’alternativa di governo, che si affranchi da un passato vergognoso e riporti nella spendibilità gli ideali di giustizia e libertà. Ma la maggioranza parlamentare fa capo al centro destra, quindi anche la maggior parte del problema. E’ vero, alcune spinte riformiste sono state smorzate dalle resistenze conservative (direi reazionarie) annidate nelle istituzioni. Questo è avvenuto, però, perché quella parte politica manca di lucidità e coesione. Se non si riesce a cambiare passo lo si deve dire, riportando la scelta agli elettori. In caso contrario si va avanti, proprio per rimuovere gli ostacoli che ostruiscono il cammino.
A sostenere le ragioni di uno spericolato decreto legge s’è levata la voce di Giorgio Napolitano. Taluno può credere che questo metta in difficoltà la sinistra, in realtà pone sotto tutela il governo. Forse è questo il più incostituzionale effetto di quel che è accaduto.
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1 commento:
imparato molto
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