sabato 13 marzo 2010

Il voto non voto. Davide Giacalone

Si dice, adesso, che il vero pericolo, riguardo alle elezioni amministrative, sia l’astensionismo. Il problema, quindi, consiste nel richiamare gli elettori alle urne. Com’era facile prevedere, e qui previsto, lo strumento non poteva che essere la drammatizzazione dello scontro, con un Berlusconi che guida la prima linea e personalizza l’esito. Quel che non è scontato, invece, è il modo in cui si debba leggere l’astensione dal voto, che sia reale o solo paventata. In quel dato, credo, vi sia molto più significato che nel resto della distribuzione dei voti.

Ci sono tre tipi d’astensione, che hanno tre significati diversi. Da noi si mette tutto nello stesso calderone perché la nostra democrazia è giovane ed ha alle spalle la dittatura, sicché il voto è (era?) vissuto come affermazione di libertà e responsabilità, quindi il tasso dei votanti è letto come rilevatore della fiducia nel sistema. Ma è un modo rozzo e superficiale di vedere le cose.

C’è un primo tipo d’astensione, di chi non s’interessa o non ritiene che il voto valga la fatica d’andarlo ad esprimere. Questo genere di rinuncia non nuoce alla democrazia, anzi, è tipico delle più solide. Negli Usa votano in pochi, mentre gli altri non ritengono che la vittoria di Tizio o Caio cambi poi molto, nella propria vita. Se dovessimo scegliere in base alla convenienza, rispetto ai programmi dei candidati sindaci o governatori, potremmo starcene tutti a casa, perché ci vuole un maniacale estimatore della materia per conoscerne i contenuti e, eventualmente, le differenze. Poi c’è l’astensione di chi pensa che sono tutti uguali e tutti fanno schifo. Anche questa è fisiologica, perché connaturata al qualunquismo e coniugata con la rivincita degli esclusi e dei perdenti. In questo secondo caso, però, se la percentuale cresce troppo equivale ad un allarme: il sistema politico ha perso contatto con la realtà sociale.

Poi c’è il terzo tipo d’astensione, ed è quella che, dal 1996, determina le nostre sorti elettorali: quella di chi è schierato da una parte, ma, qui ed ora, non condivide quel che fanno i propri paladini, sicché li punisce non votando. E’ molto diversa dalle altre due, perché è frutto di una scelta politica. I sondaggisti lo dicono anche oggi: chi s’è disamorato per una parte non va a votare per l’altra. Noi lo sappiamo, per esperienza: la sinistra ha perso due volte, nelle elezioni nazionali, perché abbandonata dai propri elettori, e al centro destra è già capitato una volta. Il significato, pessimo, di questa astensione è che sono in tanti a non sentirsi liberi di scegliere, a non credere che l’alternativa consista nel far governare l’opposizione di ieri. I leaders politici lo sanno e, difatti, si rivolgono ciascuno alla propria parte, al proprio presunto popolo, sperando di portare tutte le truppe in battaglia, ma, con questo, rinunciando a far breccia nell’elettorato altrui. Ecco perché, da noi, le campagne elettorali estremizzano lo scontro, anziché selezionare quelli che convergono sui contenuti, per contendersi l’elettorato oscillante.

Il caos delle liste, dicono i sondaggi, ha fatto crescere i propensi alla rinuncia. Lo capisco. Perché chi ha visto i pasticci e gli scontri interni al centro destra non s’accontenta di una versione che dice: non abbiamo commesso alcun errore, è tutta colpa degli altri. E perché chi guarda con simpatia al centro sinistra, sperando che sia la forza capace di assicurare il rispetto delle regole, rabbrividisce nel vedere la cieca faziosità con cui si occultano i colpi di mano giudiziari, in aule dove si usano due pesi e varie dismisure. E capisco gli uni e gli altri, che quando vedono un giudice con il ritratto di Che Guevara nella stanza si attendono che a quel genere di persone sia impedito stare nei tribunali, perché non si può amministrare giustizia elevando a mito chi non credeva né nella democrazia né nella giustizia (anzi, avrei chiesto a quel giudice di dirci chi è il Che, con il rischio di sentirsi rispondere che trattasi di un pacifista cubano, anziché d’un sanguinario argentino). Se l’ufficio elettorale di Milano accetta un ricorso non presentabile, se quello di Roma impedisce il deposito di una lista, senza nulla togliere ai torti ed alle ragioni politiche, la gente civile s’attende che lo si dica, senza posporre la verità istituzionale alla faziosità.

Invece, non solo non s’è visto quel che si sarebbe dovuto, ma Pier Lugi Bersani è giunto a dire: rinunciamo tutti ai ricorsi. Sì, vabbe’, e chiudiamo anche i tribunali. E dove decidiamo le controversie, giù in cortile? O in piazza, dove ciascuno cercherà di dimostrare che l’altro è così terribilmente brutto da rendere necessario andare a votare, anche per quel che non piace?

L’astensionismo non ha, in sé, nulla di terribile o devastante. La cosa triste e che una certa quota dell’elettorato, talora maggiormente di destra e talaltra maggiormente di sinistra, lo vive come unica alternativa al ripersi del sempre uguale, come immobilità destinata a contrastare l’immobilismo. Un’illusione, com’è evidente, ma non necessariamente diversa da altre.

1 commento:

consasmi ha detto...

Leggo con interesse lo scritto di Giacalone. Condivido in buona parte. Voglio comunque sparare un colpo salvifico nei confronti di altri poveri e dimenticati astensionisti. La quarta categoria: quelli "esterrefatti". Si tratta di un miscuglio eterogeneo di gente che si domanda perché tutti, da destra e da sinistra, cavillano sulle acquisizioni di dubbia onestà di case mastodontiche negli anni 70 (Casati Stampa), sui trascorsi degli affitti scandalosamente ridotti o inesistenti ed altri più o meno evidenti privilegi dei vari trinariciuti che non sono da meno dei loro detratti e vilipesi antagonisti, sulla incapacità generale di proporre un comportamento serio e costruttivo per migliorare le cose a livello locale (che é poi quello che dovrebbe, in queste elezioni, interessare il cittadino.
Che so: un piano dettagliato di miglioramento per la pulizia delle città (vergognose nella maggioranza dei casi), un repulisti di tutti i disgraziati che in numero sempre maggiore si sparpagliano nelle strade dei nostri centri elemosinando, spacciando o addirittura peggio, una seria politica di contenimento costruttivo dell'immigrazione con una guerra senza quartiere ai clandestini ed a coloro (che sono tutto meno che clandestini) che a caro prezzo li muovono come "livingfood" ... VERGOGNA!
E dato che, haimé, tutto ciò che ci circonda nel continuo aumento del degrado non é imputabile ad una sola parte ma a tutto il coacervo di impenitenti profittatori delle posizioni di privilegio che la "politica" consente a tutti (belli e brutti) ecco che gli astensionisti del quarto tipo non si domandano che tipo di astensionisti sono: non votano, e basta! Non perché sono schifati da tutto e tutti (come mi pare sia il secondo gruppo del Giacalone) ma perché non riescono neppure a capacitarsi di vivere in questa nazione stracciona e pomposa, mesta e giuliva, coraggiosa ma vile. E' come vivere in un incubo dal quale, purtroppo, non c'é nessuna possibilità visibile di risveglio!