martedì 9 marzo 2010

Qualcuno deve spiegarci perché Silvio Scaglia si trova ancora in carcere. Tiziana Maiolo

Che cosa ci fa Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb, in una cella di Regina Coeli? Si è consegnato spontaneamente, poco dopo la mezzanotte del 26 febbraio, alla Guardia di finanza all’interno dell’aeroporto di Ciampino, provenienza Antille. Era venerdi notte, qualcuno avrebbe dovuto dirglielo che nelle carceri, come spesso negli ospedali, nel fine settimana la vita si ferma. Meglio consegnarsi di lunedi, se proprio si deve. Infatti il dottor Scaglia è stato interrogato solo a weekend concluso, ha spiegato la sua posizione e riteneva, da uomo ligio alla legge e fiducioso nella giustizia quale è, di poter tornare alle sue attività.

Perché era così fiducioso? Prima di tutto perché ben tre anni fa era stato già interrogato da un Pubblico Ministero nella stessa inchiesta e riteneva di aver già chiarito tutto, soprattutto perché le imputazioni riguardavano fatti accaduti, secondo l’accusa, tra il 2003 e il 2007. In quegli anni Silvio Scaglia era stato amministratore delegato e presidente di Fastweb, oggi è di fatto fuori e i chiarimenti di quel primo interrogatorio d’allora gli si sono rivoltati contro, quasi una vendetta postuma.

Le accuse, che coinvolgono anche Sparkle, società controllata di Telecom Italia, riguardano il sospetto di una colossale truffa internazionale sull’Iva per un importo di due miliardi di euro e un danno al nostro erario di 365 milioni. Come prima cosa occorre dire che il dottor Scaglia è indiziato di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio, oltre che, conseguentemente, di evasione fiscale. E già qui pare legittimo domandarsi se, visto che è stato emesso un mandato di cattura, ci sia, oltre al reato associativo e alla finalità che ne consegue ( il riciclaggio ) un fatto concreto imputabile al fondatore di Fastweb.

Negli anni in cui ancora non si era tacciati di golpismo quando si chiedevano le riforme radicali dei codici penale e procedurale, sia le camere penali che una parte del parlamento tentarono l’abolizione dei reati associativi, proprio perché consentono ai Pubblici Ministeri di tenere in carcere le persone senza dover contestare un fatto concreto. E’ sufficiente dire che l’associazione è “finalizzata” alla commissione di un reato. La dilatazione massima ( e abnorme ) è stata raggiunta con l’invenzione di un reato associativo che non è scritto nel codice penale: il concorso esterno in associazione mafiosa. Che ha consentito l’ assassinio politico di Calogero Mannino, assolto in via definitiva dopo 18 anni, e che consente di tenere sulla graticola da anni Marcello Dell’Utri. Il reato associativo è un contenitore vuoto, una cornice cieca. Ma è lo strumento d’accusa principe per prendere tempo e aspettare la “confessione”.

I legali di Silvio Scaglia hanno presentato ricorso al tribunale del riesame perché revochi la custodia cautelare del loro assistito per “mancanza di indizi”. E’ loro diritto. Ma prima ancora di esaminare gli indizi, il giudice dovrà spiegare, anche a noi cittadini, se il mantenimento della custodia in carcere di Silvio Scaglia trovi fondamento nei casi previsti dal codice di procedura penale. Sicuramente non esiste pericolo di fuga di una persona che si è fatta arrestare spontaneamente. Impossibile per il dottor Scaglia ripetere il reato, visto che non è più né presidente né amministratore delegato di Fastweb.

Inquinamento delle prove, dopo anni dai fatti e dopo che l’indagato è stato interrogato due volte? Improbabile. E allora lo si scarceri, ci dice l’art.274 del codice di procedura penale.

Invece no, perché Silvio Scaglia non si è “ravveduto”. Ora questa parola che fa venire i brividi in quanto evoca i processi alle streghe, arriva dritta dritta dalla scuola dell’ex Pm Antonino Di Pietro, quando negli uffici della Procura della repubblica di Milano si teorizzava la possibilità di scarcerazione solo quando si era vuotato il sacco. Il che comportava non solo una presunzione di colpevolezza gravemente in violazione del dettato costituzionale, ma anche l’aspettativa, da parte dei magistrati, di chiamate in correità. In modo da andare a scoprire quei reati ( o presunti tali ) che potessero riempire i contenitori vuoti del reato associativo.

Ecco, se fossimo ancora nel secolo in cui, nonostante Di Pietro, si poteva parlare di garanzie e di procedure senza essere sospettati di complicità con affaristi e mafiosi, in tanti potremmo chiedere a voce alta, senza rubare il lavoro agli avvocati, che a Silvio Scaglia, innocente o colpevole che sia, venga revocata la misura di custodia cautelare. Vada mandato a casa, insomma. Non ci sono i presupposti di legge per tenerlo in carcere. Ma siamo in un altro secolo, è il circo mediatico-giudiziario che comanda. E che impone ancora qualche vagonata di intercettazioni, possibilmente a sfondo sessuale, prima che si possa cominciare a ragionare.

Non ci resta a questo punto, che il paradosso. Cari signori giudici che un giorno ( forse ) processerete Silvio Scaglia, per favore condannatelo! Siate coerenti, non fateci aspettare diciotto anni per comunicarci che vi eravate sbagliati. Vi prego, condannatelo. Così almeno non penseremo che una volta di più avete abusato del vostro potere e che avete commesso l’ennesima ingiustizia. (l'Occidentale)

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