Il nostro sistema istituzionale marcia verso un punto di rottura. Sarebbe bello fosse una discontinuità virtuosa e consapevole, più probabilmente si tratterà di un sussulto vizioso e occulto. Le debolezze del sistema sono divenute brecce dalle quali passano interessi in contrasto con quelli collettivi. Dal sistema giudiziario crollato, al potere legislativo impantanato, a quello governativo che dispone di maggioranze parlamentari larghe ma non coese, tutto parla di un tragitto vicino al capolinea. Ma mentre la politica è assente, incapace di parlare la lingua del futuro, gli interessi reali sono presenti, spesso egoistici, sovente miopi e qualche volta stranieri. Tutti pronti a usare le debolezze del sistema per strappare qualche ultimo brano di carne al corpo economico e sociale dell’Italia.
Non è normale, ne abbiamo scritto, che chi è stato presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica, come chi è stato, o è, capo della lotta alla mafia, prenda a parlare di connivenze politiche, di stragi ordinate, d’interessi coincidenti, come se potessero essere argomenti di normale confronto. Questo è già un piede, con tutta la gamba, nel baratro. E non è normale che il dettato costituzionale sia divenuto un optional, pieghevole a tutte le pressioni della politica, fino a consentirsi la nascita di contropoteri irregolari. Mi riferisco alla poco commendevole scena che ha accompagnato il varo del decreto economico, quello che si chiama “manovra”. Lasciamo da parte il merito, che in parte ho già commentato e in gran parte continua a cambiare. Riflettiamo sul costume istituzionale, osserviamo quanto l’impalcatura costituzionale è stata rottamata.
Il potere di fare le leggi è del Parlamento (articolo 70 della Costituzione). Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica (art. 73), che, se ha qualche cosa da ridire, può inviare un messaggio alle Camere. Se le Camere riapprovano il testo, egli firma e tace. In caso contrario si tratta di alto tradimento e attentato alla Costituzione (art. 90). Anche il governo può legiferare, sebbene in “casi straordinari di necessità e urgenza” (art. 77), se lo fa, però, ha l’obbligo di presentare i decreti alle Camere, il giorno stesso. La ragione è evidente: se il loro contenuto non è condiviso, il Parlamento può immediatamente cancellarli, anche se già entrati in vigore. Lo stesso articolo non fa cenno ad alcun potere specifico del Presidente della Repubblica, anzi, il fatto che i decreti vadano depositati in giornata esclude che il Quirinale possa tenerseli in lettura, per studiarli.
Ebbene, osservate la scena che si è svolta fino a ieri, fino alla firma di Giorgio Napolitano in calce al decreto economico, è ditemi cos’ha a che spartire con la Costituzione. Siamo giunti al punto che il Consiglio dei ministri si riunisce e approva un testo (ammesso che lo abbiano avuto e che lo abbiano letto), che poi cambia nel giro di poche ore, salvo poi inviarlo al Quirinale e far sapere a tutti che dal Colle sono giunte delle osservazioni, successivamente recepite, quindi chiudere il testo, così rimaneggiato, e farlo divenire legge, senza neanche riconvocare il Consiglio dei ministri. La responsabilità del governo è collegiale (art. 95), vale a dire che ciascuno è responsabile di quel che si decide in Consiglio dei ministri, ma noi abbiamo dei componenti che lamentano d’essere stati “esautorati” e, comunque, il testo discusso, di cui devono rispondere, è certamente diverso dal testo definitivo, negoziato con un soggetto costituzionalmente irresponsabile, il Capo dello Stato.
Tutto questo ha ragioni politiche, ma anche gravi conseguenze istituzionali. Il Presidente della Repubblica formula osservazioni che, in via teorica, il governo potrebbe rigettare, o prevenire sottoponendo un testo chiuso, come la Costituzione prevede, ma questo presupporrebbe un governo forte e un Quirinale non dedito all’uso un po’ ruvido di quella che, con multa generosità, si può definire “moral suasion”. Nel nostro sistema costituzionale il governo tende naturalmente ad avere buoni rapporti con la Presidenza, in modo anche da resistere ad eventuali debordamenti quirinalizi. Più recentemente, invece, incaponimenti sbagliati hanno indebolito Palazzo Chigi, ulteriormente danneggiato da una compagine non unita e, in qualche caso, non irreprensibile. Detto in sintesi: il governo è troppo debole, anche per colpa propria, finendo con il lasciare spazio a poteri impropri.
E’ vero che il governo (tutti i governi) abusa della decretazione d’urgenza, ma è anche vero che i regolamenti parlamentari sono concepiti apposta per indurre in questa tentazione. Ed è evidente che, in assenza di un’opposizione che sappia battersi sui temi concreti, Napolitano esercita un’innaturale supplenza. Ne consegue, però, che a forza d’entrare nel merito dei provvedimenti, nascono movimenti tesi a suggerirgli di “non firmare”, quindi a dare valore politico a un atto che dovrebbe essere pressoché notarile. Del che il governo approfitta (dopo avere subito), perché tende a rispondere alle proteste di piazza obiettando: ha firmato Napolitano. E che significa? E’ la Costituzione a prevederlo.
Non sono fra quanti si recano in pellegrinaggio e accendono ceri alla Costituzione, considerandola una divinità intoccabile. Anche perché è stata modificata già tante volte, e più che altro dagli stessi che dicono di volerla conservare vergine. Anzi, ritengo che la nostra Carta mostri segni vistosi di vecchiezza, ideologica ancor prima e ancor più che architetturale. Ma è pericolosissimo violarla e stravolgerla senza avere il coraggio e la forza di cambiarla. E siccome tutto questo avviene alla luce del sole, senza che dottrina e coscienza sembrino aver da obiettare, è uno dei segnali che si avvicina un punto di rottura. Lo sottolineo con forza, rompendo la cappa asfissiante di conformismo e viltà, nella speranza che non sia necessariamente un punto di caduta e che, magari, sia l’occasione per avviare la rinascita istituzionale.
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2 commenti:
Giacalone ha perfettamente ragione ma ha sorvolato su un dettaglio imoìportantissimo e cioè che il presidente della repubblica(senza alcuna intenzione di offenderlo) é di nascita origine ed ducazione comunista.Non può essere poiliticamente neutrale come lo sono le altre due cariche maggiori dello Stato.
Non stiamo parlando di un notaio "che zitto e firma", ma di un garante, che esprime giudizi conformemente alla costituzione su leggi circa la loro manifesta incostituzionalita'.
Ricordate il rifiuto di firma per mancanza di copertura finanziaria??
La costituzione non basta leggerla dal bignami, va anche compresa.
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