martedì 19 aprile 2011

Ma si! Se non possiamo fare la rivoluzione facciamo un golpe. Piero Sansonetti

Sansonetti lo accenna nel finale, ma la conclusione più ovvia è che questa sinistra orfana dell'antifascismo ha trovato una ragione di sopravvivenza nell'antiberlusconismo

Io penso che – paradossalmente – la sinistra italiana, o comunque la sua parte maggioritaria, sia oggi vittima dell’antifascismo. Cioè dell’elemento ideale e storico che per molti decenni ne è stato il pilastro. Sia in termini di “valori” sia in termini tattici, e cioè di unità politica.

Provo a spiegarmi, confessandovi che prendo spunto dall’uscita di Alberto Asor Rosa che – come sapete – ha auspicato un colpo di Stato contro Berlusconi. Ieri, su queste colonne, il direttore Cappellini ci ha offerto una analisi molto chiara – e per me largamente condivisibile – sul fenomeno politico del quale l’uscita di Asor è frutto e testimonianza. Puntando il dito, giustamente, contro il giustizialismo, e cioè l’idea che l’etica politica imponga il diritto dei “giusti” a governare, e che questo diritto, di conseguenza, debba essere tolto dalle grinfie delle “pastoie democratiche”.

Io però, come avete capito dalle prime righe, vorrei andare un po’ oltre. Perché ho l’impressione – che oggi mi limito ad accennare, e so che scandalizza molto a sinistra e forse anche al centro – che il giustizialismo non sia un fenomeno sbocciato dal nulla ma sia figlio di una degenerazione precedente della sinistra italiana, e che questa degenerazione dipenda in larga misura, appunto, dalla degenerazione dell’antifascismo.

Perché? L’antifascismo ha avuto una funzione formidabile e positiva nella nascita della sinistra italiana dopo la guerra – e nei decenni precedenti, in clandestinità – perché ha permesso alla sua componete maggioritaria – comunista o socialcomunista – legata all’Unione Sovietica e a regimi dittatoriali, di mantenere una sua componente fortissimamente democratica e antiautoritaria. Antifascismo, dagli anni trenta in poi, voleva dire lotta per la libertà, lotta per la democrazia, lotta contro l’autoritarismo, lotta contro il potere eccessivo delle istituzioni, del governo, della polizia, della magistratura, dell’esercito, della scuola. Senza l’antifascismo, la componente più forte della sinistra italiana, e cioè quella comunista, sarebbe diventata una infrequentabile roccaforte stalinista, violenta e antimoderna. L’antifascismo è stato la chiave della modernità del Pci e il punto di partenza di tutte le sue strategie, e il carburante – ideale ma anche tattico-politico – del suo riformismo.

Poi è successo qualcosa. Cosa? Che il fascismo, nel mondo occidentale, per fortuna è morto. Difficile stabilire una data. Forse il 1976, con la caduta del franchismo in Spagna, cioè dell’ultimo governo fascista in Europa. Forse una quindicina di anni più tardi, con la caduta delle dittature in America latina e quindi la definitiva rinuncia da parte del capitalismo a ogni forma di governo dittatoriale. Scegliete voi la data. Il problema è che da quel momento anche l’antifascismo è morto. Perché è restato privo del suo principale fattore vitale: la lotta alla dittatura, la lotta contro il regime. Naturalmente c’era un modo per riciclare l’antifascismo: trasformarlo in antiautoritarismo, e cioè in moderna dottrina libertaria. Oppure si poteva fare la scelta burocratica di mantenerlo in piedi, come simulacro vuoto, e di usarlo come antidoto alla mancanza di strategie politiche e dunque di identità politiche. Come si fa a surrogare una identità non più sostenuta da una idea strategica? Con la retorica, con le bandiere. E l’antifascismo può funzionare all’uopo. C’è solo un problema: bisogna inventare un nemico, un regime.

La sinistra italiana ha compiuto questa seconda scelta. E in particolare l’ha compiuta dopo l’ottantanove, quando si è posto il problema drammaticissimo che non solo l’antifascismo era diventato parola vuota, ma che il comunismo era morto anche lui. Era il momento giusto per una grande svolta. Liberale, libertaria. Invece si è compito la scelta vuota e antifascista.

Diciamo – schematizzando molto – che la sinistra era segnata da due fortissime pulsioni: quella alla radicalità sociale, e cioè alla “lotta di classe”; e quella alla radicalità politica, e cioè un certo illiberalismo (seppure temperato). La fine del comunismo rendeva impossibile tenere insieme questi due elementi. Bisognava rinunciare a qualcosa per tornare “spendibili” nella battaglia politica. Sarebbe stato un grande fatto se la sinistra avesse mantenuto la sua vocazione alla lotta di classe e avesse scelto il libertarismo. Invece la parte più grande della sinistra italiana – in varie forme – ha deciso di rinunciare alla lotta di classe e di mantenere il suo illiberalismo. Ed è rimasta, di conseguenza, stalinista. Cioè ha affidato le sue speranze di vittoria non alla propria strategia politica, non alla propria radicalità o alla propria capacità di lotta sociale, ma all’armata rossa. Che non era più rossa ma poteva essere la magistratura, o poteva essere l’aiuto di una componente moderata, o poteva essere Cordero di Montezemolo o poteva essere… Ecco, l’altro giorno siamo arrivati al capitolo finale di questa corsa: la polizia, l’esercito, il golpe rosso.

Badate che Asor Rosa non è affatto un fesso. E spesso, assai spesso, nella sua vita ha detto cose paradossali e giuste. Che erano nel solco della linea della sinistra e la forzavano. E’ stato così quando era operaista, è stato così quando ha svolto la funzione di “collegamento” tra il Pci e il sessantotto, è stato così quando, con grandissimo acume, ha svolto – in piena epoca terroristica – l’analisi sulle “due società” – contrapposte e incapaci di comunicare – nelle quali si era divisa l’Italia. Oggi Asor si limita a portare alle estreme conseguenze la linea della sinistra. E scava dentro il giustizialismo. E si accorge che non ha molto a che fare con la sete di giustizia, con la sete etica (che forse riguarda la componente non tradizionale e non ex comunista della sinistra) ma è concepito solamente come un “mezzo”, uno strumento per prendere il palazzo d’Inverno. Con l’idea fissa che esista l’ora X. E se non può essere rivoluzione sarà golpe. E se non c’è il fascismo lo inventiamo e lo chiamiamo berlusconi. (il Riformista)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

IL GOLPE di Asor Rosa:

"Ciò cui io penso è invece una prova di forza che, con l'autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall'alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d'emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d'autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d'interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce l'Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale."

da Il Manifesto

Anonimo ha detto...

abbassa le tasse pagliaccio!!!