domenica 7 ottobre 2012

Confondi Italia. Davide Giacalone

              
  
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La riforma del mercato del lavoro è stata approvata il 28 giugno scorso ed è entrata in vigore alla metà di luglio. Dopo due mesi il governo, per decreto, già la modifica, intervenendo su un punto, l’elasticità all’ingresso, che noi individuammo come un errore. Bene? Può darsi, ma ciò pone due questioni: una di metodo legislativo, l’altra di sostanza occupazionale e produttiva.
L’ultimo decreto si chiama “Trasforma Italia” ed è l’ennesimo di una serie che porta nel titolo il brand nazionale, enuncia principi e ne differisce la reale applicazione. Sono cose che Alessandro Manzoni avrebbe definito “grida”. I veicoli legislativi sono dei decreti la cui omogeneità del testo e della materia trattata è affidata esclusivamente a un generico intento di innovazione, semplificazione, digitalizzazione e così via fantasticando. Se si esclude quel mirare al bene e al bello, resta il fatto che i vari articoli e le varie previsioni si riferiscono a materie che non hanno nulla, ma proprio nulla in comune. Tanto che è impossibile commentarli nell’insieme.

E non basta, perché in molti casi si tratta di cose non solo già esistenti, ma già previste dalla legge vigente. Ad esempio il passaggio ai libri di testo digitali, salvo il fatto che il ministro precedente, come l’attuale, anziché provvedere all’adozione esclusiva di questi ultimi non fanno che prorogare il passato, travestendolo da adozione di libri anfibi, sia stampati che digitali, in questo modo dando fiato alla lobby degli stampatori (chiamarli “editori” è troppo nobilitarli). Quindi: la norma c’è già, non viene applicata, si proroga il passato e si fanno decreti per scriverci quel che già è norma. Non solo “grida”, ma anche strampalate. Il che vale anche per molti servizi digitali, alcuni dei quali già c’erano, sono stati soppressi e ora li si vuole affermare per decreto. Sarebbe bastato non chiuderli.

Veniamo alle norme sul lavoro. Scrivemmo, già durante la discussione, che la legge Fornero avrebbe reso più difficile l’ingresso nel mondo del lavoro. Il che, in un periodo di recessione e aumento della disoccupazione, è l’esatto contrario di quel che serve. I contratti a tempo determinato sono stati resi più difficili e asfittici, l’apprendistato non ne ha sostituito alcuno, l’obbligo di assunzione a tempo indeterminato ha disincentivato le imprese, piccole e grandi, dal chiamare nuovi lavoratori. Ripeto: il tutto è entrato in vigore due mesi fa. Ora il governo dice l’opposto: per le sturt up (imprese appena nate e innovative) si deroga, quella legge non vale e, quindi i contratti semestrali possono essere prorogati per tre anni, giungendo fino a quattro, nel mentre la retribuzione può essere negoziata anche in termini di partecipazione al capitale sociale, nel qual caso scattano delle agevolazioni fiscali. Il tutto in capo a imprese che devono essere iper-nane, avere un fatturato inferiore a 5 milioni l’anno, non distribuire utili, investire il 30% in ricerca e sviluppo, avere tra i collaboratori molti dottori o dottorandi (nella mente dei burocrati ministerializzati l’esempio di Bill Gates e Steve Jobs non riuscirà mai a far breccia).

Tutto ciò contiene diversi errori: a. si rinuncia ad un modello contrattuale unico, con garanzie inizialmente basse, anche inesistenti, ma crescenti nel tempo; b. si fa risorgere la giungla contrattuale; c. si offre il fianco all’uso fraudolento della norma; d. si incentiva non la crescita, ma la coltivazione d’imprese bonsai. L’Italia ha bisogno della ricetta opposta, dando a tutti più libertà, lavoratore compreso, diminuendo il differenziale fra costo del lavoro e retribuzione effettiva, incentivando fiscalmente chi cresce e non chi non ci riesce, promuovendo l’espansione delle imprese e la loro internazionalizzazione (perché dobbiamo galoppare in quel mercato globale dove dimostriamo di essere più bravi di altri, ma per farlo abbiamo bisogno di cavalli forti, non di cavallucci a dondolo).

Sarebbe sciocco far colpa al governo Monti delle cose che non riesce a fare, perché il tempo è stretto, i problemi sono grossi e le forze politiche in preda a ubriachezza molesta. Alcune delle idee contenute nell’insalata dei decreti sono giuste. Ma allevare un governo di tecnici per assistere a un tale coacervo di contraddizioni ed errori, senza che vi sia coordinamento governativo e con ciascun ministro che pensa d’essere il solo governante esistente, giungendo a far leggi che si correggono ancora prima di applicarle, legiferando su roba che è già legge, promuovendo innovazioni che esistono di già, ecco, tuto questo non è uno spettacolo edificante. Non vorrei che la raccolta di questi decreti possa andare sotto al titolo: Confondi Italia.

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