In anni lontani - molto lontani, si risale al 1948 - imperversava un tormentone: una serie di vignette per deridere i comunisti e la loro prona credulità nei confronti del partito. Un personaggio faceva notare ad un altro un’ovvia verità, per esempio che aveva il cappio al collo, e quello rispondeva: “Compagno, l’Unità non lo dice”. “Hai ragione, dunque è una cravatta”.
Oggi si ha la tendenza a credere che quei comunisti fossero grezzi e stupidi e a sorridere di ricordi così remoti. Ma sarebbe meglio astenersene. Non ci sono più i comunisti di allora ma gli italiani non sono molto cambiati. Giovannino Guareschi negli Anni Cinquanta si sgolava a denunciare le atrocità commesse dai partigiani ma nessuno gli dava ascolto. E non parliamo della sordità contro cui urtavano le denunce degli sconfitti. Erano vere ma l’Unità non lo diceva e non sono state vere per mezzo secolo. Poi, anni dopo la caduta dell’Unione Sovietica, è intervenuto Giampaolo Pansa: un giornalista della provenienza giusta, basti dire che ha scritto per circa tre lustri sulla Repubblica di Eugenio Scalfari, e ha raccontato le stesse cose con un famoso libro, “Il Sangue dei Vinti”, e finalmente “l’Unità lo ha detto”.
Non abbiamo il diritto di sorridere di quelle vignette.
Sulla storia di Antonio Di Pietro, Filippo Facci (del “Giornale”), il “Foglio” di Giuliano Ferrara ed altri hanno scritto instancabilmente, per anni, denunciando vicende poco chiare, intrecci discutibili e un’amministrazione quanto meno dubbia del denaro ricevuto dal partito. Queste contestazioni hanno avuto anche forma giudiziaria con denunce soprattutto di ex sodali del Tonino nazionale: arrivando in un caso ad una denuncia di falso materiale che si concluse con un’assoluzione di tutti gli interessati che va al di là delle mie competenze giuridiche. Scusate l’autocitazione: “Qui esiste un dilemma o, come diceva un burlone, un trilemma. O la firma sul verbale è falsa e Di Pietro è colpevole di falso e truffa. Proprio per questo risulta incredibile che la Procura non abbia acquisito l’originale del verbale, per ordinare una perizia calligrafica. Misteri dell’amministrazione della giustizia. O la firma sul verbale è vera e Di Domenico è colpevole di calunnia (reato del quale attualmente non è indiziato). Oppure niente di tutto questo è vero, e il “Giornale” dovrebbe essere denunziato per diffamazione a danno di Di Pietro e di Di Domenico. Ma non risulta neanche questo. A voi la parola”. Ma l’Unità rimase in silenzio e noi rimanemmo col dubbio.
Per anni Di Pietro è uscito pulito da tutte le inchieste e da tutte le denunce. Anche quando sono state scagliate da ex soci ed ex amici, per esempio Elio Veltri o l’avv.Di Domenico. Non gli è più andata bene, almeno come immagine, quando ad attaccarlo è stata la Rai Tre di Milena Gabanelli. Allora è cambiato tutto. Se lo dice l’Unità, sono dolori. I titoli dello stesso pilatesco Corriere della Sera sono squilli di tromba. “«Tonino, che delusione!» Idv nella bufera dopo Report - I fan di Di Pietro lo accusano «Troppa incertezza sui conti». E al voto in Sicilia è flop”. Ma quale delusione? Qual è la novità? La novità è soltanto che la notizia sia sul Corriere. Infatti il quotidiano para in anticipo l’irrisione dei colleghi: “Nessuna accusa nuova. Il problema è stata la reazione titubante, un po' incerta, dell'ex pm”. Ma questo significa soltanto che il leader dell’Idv è stato interrogato con brutalità e senza i riguardi di altre volte.
In un secondo articolo dal titolo sprezzante, “Gli Insaziabili”, l’intervistatrice di Report, Sabrina Giannini, scrive con stile pesante: “Antonio Di Pietro, contrariamente ai suoi proclami anticasta, non è diverso dagli altri politici. Almeno quando si tratta di soldi. Il suo partito ha introiettato cento milioni di euro di finanziamento pubblico in dieci anni e la gestione della cassa del partito è stata in mano a sole tre persone fino al 2009: lui, la tesoriera e deputata Silvana Mura e la moglie Susanna Mazzoleni”. A parte l’uso del verbo introiettare, che la giornalista confonde con “introitare”, dov’è la notizia, ripetuta in tutte le salse dal giornale di Giuliano Ferrara? “Lo stesso Di Pietro, nel corso dell'intervista, contraddice più volte sé stesso”. E perché oggi glielo si rimprovera, mentre tante volte si è sorvolato un po’ su tutto?
C’è da rimanere disgustati. In Italia la verità è tale se è a denominazione d’origine controllata. Se ha in tasca la tessera di un partito. (il Legno Storto)
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