Tremonti “per una volta” parla di Palazzo e di Forza Italia . “Nel Cav. c’è più calcolo e raziocinio che istinto”. “Lo spazio per uno sfondamento elettorale è al centro”. Guiderebbe un movimento per promuovere le sue idee? “Sì”
Roma. Giulio Tremonti è intelligente e scaltro, un genio scaltro. Non si cura delle voci che lo rincorrono: bisbigliano i retroscenisti che è incazzato nero per la storia della Michela Vittoria Brambilla, ha portato al Cav. il suo esplicito dissenso, e quello di tanti che gli chiedono di reagire, ribisbigliano i soliti noti, minacciando di fare le valigie. “Dei bisbigli non mi occupo, anche perché non sono veri. Per una volta – dice al Foglio – vorrei parlare di politica anche da un punto di vista interno, il Palazzo, il movimento o partito che si chiama Forza Italia, il suo sistema di alleanze, la sua funzione di rappresentanza politica e sociale nella realtà italiana e non solo italiana”.
Tremonti, si sa, è uomo di frontiera. Sui rapporti con la Lega di Bossi ha saputo dare per tempo consigli strategici decisivi per la vittoria del 2001, e anche costruire una trama di relazioni cruciale, e ha gestito al governo il terzo debito pubblico del mondo, per riconoscimento ormai unanime, piuttosto bene. Si è anche guadagnato (dice che “è un giudizio preciso, nevrotico, ma preciso e qualificante”) l’epiteto di “delinquente politico” da parte di Prodi, e questo nel fuoco dell’ultima campagna elettorale che per un soffio poteva essere vinta, e politicamente è stata vinta, dalla coalizione berlusconiana, proprio sul tema delle tasse che ora (vedi l’Ici) ridivide goffamente il governo in carica, che può bensì continuare a vivacchiare ma allo stremo. Così ora Tremonti ci affida le cose che pensa, parlando direttamente di politica, di leadership, del suo partito e dei suoi alleati e avversari. Ragionando ovviamente sull’Italia, sulla sua storia politico-istituzionale recente, sul berlusconismo, sul futuro (con un accenno perfino al suo, di futuro).
“Al contrario di voi del Foglio, io non credo nella logica dell’antropomorfismo politico. La persona conta, il carattere del leader è importante, ma non è tutto. Anzi, prevale sempre la struttura, l’effettiva natura delle cose economiche, sociali e politiche. Non faccio esegesi né discorsi iniziatici, non è il mio stile, non è il mio compito. In Berlusconi, in quello del 1994 come in quello di oggi, vedo un continuum di assoluta razionalità. In lui certo c’è il pragmatismo lombardo, l’istinto dell’imprenditore, ma la razionalità, in senso nobile, di un freddo calcolo delle forze e delle opportunità prevale sempre. Con qualche elemento di imprevedibilità o di fantasia, che non offusca il filo interno di questa continuità nella ragione”.
A noi il Cav. sembra il soggetto di una grande eterogenesi dei fini e dei mezzi, l’istinto al servizio della ragione, più che la ragione oltre l’istinto. Ma Tremonti la spiega così, la faccenda. “Forza Italia è una monarchia ovvero una forte leadership legata al carisma del fondatore, ma ha come altra faccia l’anarchia ovvero una libertà diffusa in cui si cresce o non si cresce, fino ad ora, in proporzione alle responsabilità generali che ci si assume e alla capacità di realizzare risultati. Questa alternanza di monarchia e anarchia, così spiegata, è anche nella persona di Berlusconi, non nella sua psicologia, che non è così importante come sembra, ma nella sua storia, e anche nei suoi legami, nelle sue diverse squadre di governo e di opposizione, di partito e di movimento. Guardate al caso di Firenze. E’ stato criticato, sembrava l’imprevedibilità fatta persona, offrire e prendere applausi nella tribuna dell’avversario, e sotto elezioni amministrative. Un’imprudenza istintuale? Invece no. C’era come al solito la ratio ex ante. Ha omologato i Ds, normalizzandoli a destra contro la loro volontà. Ha fatto emergere come novità vera del congresso non la sinistra moderata, pallide buone intenzioni, ma la sinistra comunista, antagonista. Ha compiuto una brillante operazione politica, aperta, non dissimulata, e alla fine utile alle sue idee sull’insieme della situazione”.
Vero. Ma è appunto istinto e un po’ anche follia al servizio di una ragione del dopo, il tutto come sempre indecifrabile con categorie non antropomorfiche, non legate all’effetto personalità. Tremonti dissente e argomenta: “No, io non vedo l’esplosione di irrazionalità combattiva nemmeno nel grande fenomeno del ’94. Berlusconi è diverso dalla politica convenzionale, ma sempre calcolato. Anche nell’uso, di cui oggi si riparla, di mezzi di marketing e di invenzioni della tecnopolitica. Sui sondaggi l’irrazionale non era lui, ma gli altri, i De Mita e compagnia che non li usavano e non li conoscevano. De Gaulle usava il metodo Gallup negli anni Sessanta. Ora si tende a esasperare la ‘cifra’ pre-razionale di Berlusconi, come dite voi la psicologia dadaista, la body art nella costruzione dei candidati, il suo parco giochi scintillante, la teatralità da Re Lear, i marchingegni antropologici del Ramo d’Oro, i suoi totem e tabù, l’idea di un suo doppio, di una sua reincarnazione femminile. Non vedo tutto questo. Per attualizzare, vedo un esperimento di Berlusconi per modificare la geografia politica, queste cose qua, una volta è l’operatore di massa Scelli, un’altra volta i circoli. Il suo è un duttile empirismo da laboratorio per superare la staticità attuale”.
Una buona cosa, dunque? “Non ho niente contro lo spirito sperimentale, ma il problema è che non tutto è volontà, modificare la realtà vuol dire prima di tutto valutarne la struttura, capirne l’essere. La mia valutazione è questa. Dai tempi del big bang della Prima Repubblica e della politica, ma anche da prima, in un certo senso, la politica italiana è statica. La geografia politica riflette la geografia dell’Italia. Le modalità di voto sostanzialmente non cambiano, neanche con il passare delle diverse leggi elettorali. Contano due sole vere dinamiche: le alleanze (vinci o perdi a seconda della ampiezza e forza delle tue alleanze coalizzate), e le astensioni (vinci o perdi a seconda della capacità di motivare il tuo elettorato innanzitutto, e poi quello marginale). Abbiamo ottomila comuni, filiere di votanti che procedono generazione dopo generazione praticamente all’unisono con i padri, con cambiamenti di forma ma non di sostanza. Forza Italia è sostanzialmente quel luogo che fu la Dc, senza il cattocomunismo e con un di più di liberalismo che è l’eredità del Psi e di molto altro ancora. Noi non abbiamo la grande area metropolitana che intercetta e orienta giganteschi movimenti e mutamenti di opinione”.
Questo valeva certamente nel ’94, sebbene la rottura delle forme politiche sia stata assai forte. Ma vale ancora adesso? “Sì. I sondaggi dicono che siamo al culmine felice dei nostri voti, il trenta per cento più o meno. Difficile pensare a un avanzamento ulteriore, prodotto da geniali scelte di marketing politico. In giro c’è una forte protesta, di fondo e senza visibili segni di remissione, contro il governo, contro la cultura di governo di una classe dirigente gravemente inadeguata. Fanno tutto loro, davvero. La tattica di stand by è perfetta, se ben interpretata, perché il fenomeno di oggi è la massimizzazione della rendita di opposizione. Inoltre, la società civile non tende all’impegno politico, per tante ragioni diverse che sarebbe lungo analizzare, prevale la divaricazione. Intorno al nostro movimento o partito esistono consistenze (Lega, Udc, An) non cancellabili”.
E allora che si deve fare, seguire il filo della staticità sociale e politica del sistema in transizione? Non è un po’ poco? “C’è uno spazio di penetrazione verso il centro sociale e politico, ma un’avanzata in quella direzione richiede mezzi e cultura raffinati. Un messaggio o altri messaggi tipo il 5 per mille, per esempio: fraternità, solidarietà reale contro solidarismo virtuale, una moralità superiore e liberale dell’agire politico, un liguaggio di aspra moderazione, per così dire. La via non è la rappresentanza degli interessi di categoria, l’esasperazione e radicalizzazione degli interessi di settore. Tutti i sindacati, comprese le associazioni degli artigiani e dei commercianti, sono colpiti da una crisi di rappresentatività. Dunque lo spazio per una certa voce che rinverdisca la nostra capacità critica partendo dal punto di vista delle categorie colpite dall’egualitarismo fiscale dissennato del prodismo c’è, ma un vero sfondamento elettorale è ipotizzabile solo al centro. Contano buone idee generali e il saper dirle a tutti. Voi del Foglio avete analizzato con intelligenza, e per tempo, il fenomeno Sarkozy, che proprio questo è. Lo spirito repubblicano, che unisce nell’esaltazione della parità di diritti e doveri, contro la radicalizzazione dei meri interessi sociali parziali”.
Costruire classe dirigente
Insomma, Tremonti non crede in un’operazione politica imperniata su persone, leadership da promuovere, e marketing massmediologico… “C’è spazio per tutto, ma Forza Italia e i suoi alleati sono movimenti di libertà di idee, un Dna di politica alta quanto è chiara e forte. Non sono mezzi e basta. I mezzi sono mezzi, non si possono confondere con la costruzione di una vera classe dirigente”.
Forza Italia sembra pur sempre un leader senza stato maggiore, un cartello di personalità e di forze ma un cartello, non un partito politico a tutti gli effetti. “C’è un leader, c’è un popolo, c’è un contenitore ovvero una forma politica, ed è Forza Italia. In questo contenitore deve e può crescere una novità politica, non lo nego. Bisogna realizzare una cifra alta di democrazia e una meccanica organizzativa sulla linea dal movimento al partito. I congressi sono in corso e ogni settimana, da due mesi, con il pieno consenso di Berlusconi, i leader si vedono e discutono. Sarà un organismo informale, sarà un meta-organismo, ma è qualcosa che sta nella via della novità. E anche i coordinatori regionali, la classe dirigente diffusa, sono ormai di qualità, più che competitivi con il personale politico del sistema italiano”.
Ci sembra che le idee di Tremonti siano una linea o il suo abbozzo, certamente sono un’analisi interessante. Siamo interessati a sapere se, a parte questo colloquio eccezionalmente incentrato su questi temi, nel futuro prossimo Tremonti intende promuovere politicamente le sue idee, queste sue idee. Se intenda muoversi come leader di un movimento, con Berlusconi. La prima risposta è “nei limiti del possibile e dell’utile, sì”. Alla contestazione: “Questa sembra una frase del tardo Forlani”, la risposta sorridente di Giulio Tremonti è: “Sì”.
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